Finanziamenti USA e Ucraina: perché il partito della guerra non esce sconfitto

Finanziamenti USA e Ucraina: perché il partito della guerra non esce sconfitto

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PICCOLE NOTE



I titoli dei media sulla cessazione dei finanziamenti USA all’Ucraina sono alquanto esagerati. In realtà, il Congresso, per far fronte all’opposizione di una pattuglia di repubblicani contraria al finanziamento, ha votato in extremis una legge di bilancio provvisoria nella quale tali fondi sono assenti, ma che vale solo 45 giorni, durante i quali i parlamentari sono chiamati a trovare un accordo sulla norma finanziaria vera e propria.


Congresso USA: il finanziamento all’Ucraina ancora sul tavolo

In parole povere con un accordo bipartisan, raggiunto in extremis grazie alle manovre del capogruppo alla Camera Kevin McCarthy, il partito della guerra ha trovato un modo per disinnescare l’opposizione di un manipolo di repubblicani avversi al finanziamento in questione, che erano riusciti nella loro azione di ostruzione portando il Congresso sull’orlo del baratro – dello shutdown – per costringerlo, pur di evitare l’abisso, a votare un testo privo di quel capitolo di spesa.

Il Congresso, infatti, era chiamato ad approvare la legge di bilancio entro la fine di settembre, pena lo shutdown, da cui l’inevitabile capitolazione alle richieste dei ribelli. Ma l’accordo parallelo, che prolungava i termini per il licenziamento della legge di bilancio e stabiliva che si potesse approvare una norma transitoria, ha tolto le castagne del fuoco al partito della guerra.

Ora il partito della guerra ha tutto il tempo di esercitare pressioni debite e indebite sui parlamentari recalcitranti a dare soldi a Kiev, i quali hanno davanti a loro giorni difficilissimi. Difficile che tengano, anche se non per questo impossibile. Vedremo.

Da vedere, peraltro, quale sarà il futuro dello speaker della Camera, che i repubblicani in questione considerano un traditore. Non è escluso che possa essere esautorato, ma anche qui la battaglia non è affatto scontata.

Curioso il caso del deputato democratico Jamaal Bowman che dare più tempo ai suoi compagni di partito per analizzare la legge di bilancio provvisoria, ha premuto il pulsante dell’allarme antincendio procurando il panico.

Bowman si è difeso spiegando di non sapere a cosa servisse il pulsante, giustificazione alquanto labile dato che, prima di arrivare alla Camera, era preside di una scuola piena di presidi similari. Una nota di colore che si attaglia più a una repubblica delle banane che alle auguste aule nelle quali si decidono le sorti dell’Impero.

Le elezioni in Slovacchia e la politica del gas

Più di impatto per il futuro di Kiev, almeno per quanto riguarda il lungo termine, appare il successo di Robert Fico in Slovacchia, che ha vinto le elezioni politiche grazie a un programma nazionalista e alla promessa di non dare più armi al Paese confinante. Una vittoria nella quale, al solito, sono stati smentiti i sondaggi dei media mainstream, che si sono poi affannati a etichettarla come un successo di Putin, dimenticando che a votare sono stati i cittadini, come prevede la democrazia sulla quale pure dicono di vigilare. C’è, però, incognita, sul fatto che Fico non trovi gli alleati necessari a godere di una maggioranza di governo, ma al momento sembra che ce la debba fare.

A tale vittoria, però, si contrappone il passo della Moldavia, che oggi ha decretato la cessazione delle importazioni di gas dalla Russia. Dall’inizio della guerra, la Moldavia si è progressivamente distaccata da Mosca, ma ha evitato di strappare i rapporti, anche per via della forte opposizione interna, sia in ambito politico che sociale, non ostile alla Russia.

La decisione di oggi appare, invece, una netta rottura e arriva dopo il viaggio in America di Maia Sandu, presidente della Moldavia in quota liberal, ospite d’onore al Forum Center for European Policy Analysis, che nella precedente nota avevamo riferito come fuori registro e foriero di un ingaggio più risoluto del Paese nelle dinamiche Nato. Non pensavamo che la previsione si avverasse così in fretta.

La decisione della Moldavia – via Washington – arriva in controtendenza. Così su Policy europe: “La Commissione europea suggerisce di eliminare il divieto permanente di importazione di gas dalla Russia, proposto dal Parlamento europeo, in favore della soluzione meno restrittiva proposta dal Consiglio Ue che introduce per gli Stati membri la possibilità di decidere un divieto temporaneo di importazione dalla Russia e dalla Bielorussia ‘qualora ciò sia necessario per tutelare i loro interessi essenziali di sicurezza’”.

L’oracolo di Delfi

Si può notare come l’Ucraina sia diventato il punto nodale della politica internazionale: la guerra aperta s’intreccia con quella geopolitica che si combatte in tutto il mondo e in tutte le sedi, con altri mezzi ma la stessa ferocia.

Presso i greci, l’onfalo (ombelico) del mondo era situato a Delfi e qui le autorità delle varie città Stato si recavano per ottenere divinazioni sul destino futuro, proprio e altrui.

A quanto pare l’onfalo si è spostato e il luogo di divinazione ormai è sito a Kiev, dove si sono recati dei confusi ministri degli Esteri della Ue, costretti in una guerra per procura dai vincoli discendenti dal vassallaggio americano (e NATO) che sta devastando i Paesi che pure dovrebbero guidare.

Nell’offrire la loro per nulla libera solidarietà a Kiev (a parte eccezioni), sperano in qualche divinazione che in qualche modo illumini il loro cammino, che li vede costretti a portare i propri Paesi a sprofondare nello stesso precipizio in cui è sprofondata Kiev a gestione Zelensky.

Non è farina del nostro sacco, ma del presidente polacco Andrzej Duda, che ha ricordato come nel tentativo di salvare un uomo che sta affogando rischia di affogare anche lo sprovveduto salvatore. Tant’è.

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