Fulvio Grimaldi - Il disumano tra Knesset e Bilderberg. Culti di guerra. Culti di Dittatura. Culti biblici?

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Fulvio Grimaldi - Il disumano tra Knesset e Bilderberg. Culti di guerra. Culti di Dittatura. Culti biblici?

 

di Fulvio Grimaldi

Medioriente, ma non finisce qui

A dispetto della conclamata volatilità del carattere e delle pronunce di Trump, di cui è diventato luogo comune rilevare lo stop and go, il tutto e il contrario di tutto, il no di oggi e il sì di domani, le due settimane di meditazione sull’attacco all’Iran che diventano 24 ore per una decisione evidentemente già presa, in tutto questo c’è coerenza e logica. È il muoversi necessariamente erratico di un soggetto che, come Arlecchino, deve rispondere a due padroni.

 Trump, con le due settimane aperte a ogni ipotesi, aveva rassicurato il suo elettorato, nazionalista, isolazionista, manufatturiero, ceto medio declassato, mondo operaio e sottoproletario, il cui orizzonte sta in quanto è racchiuso tra Oceano Atlantico e Oceano Pacifico. Ora, con la decisione presa (apparentemente) nel giro di 24 ore, ha placato le ansie dell’altro suo referente, l’ebraismo sionista che gli ha garantito due elezioni e che costituisce la massima potenza economico-finanziaria mai apparsa sulla Terra.

La tragedia planetaria è che nell’equilibrio tra MAGA e Sion, il peso maggiore sta sul secondo piatto della bilancia, tanto da fare di Trump il vero, inesorabile, ostaggio di Netanyahu. MAGA non gli si rivolterà conto, la sua avversione a guerre esterne è temperata da quanto riveste i caratteri di una vera idolatria: è il capo e ci sta bene tutto, a prescindere.

Si aggiunga che dall’Europa, dalla quale ci si sarebbe potuti attendere una presa di posizione alternativa, razionale, finalmente riferita ai propri veri interessi economico-politico-sociali, si sentono le stesse voci che risuonano a favore di Israele e di Netanyahu. Quelle di Blackrock, Merz, di Rothschild, Macron, e della City, ormai dependance di Wall, Street, Starmer.

Ma non finisce qui. Gli imprevisti si moltiplicano. Si arriverà, forse, in un Consiglio di Sicurezza e in un’Assemblea Generale dell’ONU, dove certe cose non passano, a più miti consigli. Almeno qui, due grandi potenze, altrimenti alla finestra, possono pesare. Più probabile è lo sconcerto arabo, al di là dell’allineamento, che potrà essere totale, dei petrotiranni minori, Qatar, UAE, Bahrein, integrati nel sistema sion-occidentale. Allineamento che, invece, mostra divaricazioni crescenti, per quanto mimetizzate, nei due attori principali della regione: Turchia e Arabia Saudita. E forse Egitto. I cui interessi nulla hanno da guadagnare dall’impazzimento atlanto-sionista.

Rimane aperta la domanda: come reagiranno, pur tra le loro ontologiche astuzie, Sauditi di bin Salman, turchi di Erdogan, egiziani di Al Sisi? Tre grandi Stati che hanno messo in campo da anni propri importanti protagonismi, sempre più segnati da visioni geopolitiche autonome e più favorevoli a una pacificazione della regione, a partire da buoni e produttivi rapporti con Teheran, che a nuove lacerazioni dagli esiti imprevedibili.

Su questa considerazione va imposta una riserva. Se con Trump di nulla si può essere certi, di niente si deve essere certi con Erdogan, massimo e totalmente inaffidabile campione planetario di doppio-triplo-quadruplogiochismo. Qualità connaturata alla Fratellanza musulmana di cui il sultano è capofila col Qatar. Complice-rivale di Israele nella spartizione della Siria frantumata, con Israele e le sue armi ha collaborato nella riduzione all’obbedienza dell’Armenia e nella costruzione del bastione antirusso Azerbaijan, cuneo strategico piazzato tra Iran e Russia. In Libia il suo corpo di spedizione ha messo al sicuro da una reazione nazionalista e di popolo le bande criminali che si pretendono governo a Tripoli. Cose che, a non vederle, ci si rivela ingenui, o ci si conferma garzoni di Ankara.

Molto dipenderà dalla capacità dell’Iran e dei suoi alleati a reggere nel tempo il confronto, rendendo, come già sta succedendo, l’avventura dei due demoni di guerra molto costosa, in particolare per quello sul luogo. Ricordiamo la guerra Iraq-Iran: è durata 8 anni, la si diceva contro un Iran debole e lacerato, ma non è prevalso l’Iraq. C’è poi un’ulteriore incognita, quella illustrataci dalle manifestazioni contro la guerra, il genocidio palestinese, i sette fronti dell’aggressività israeliana, che abbiamo rivisto a Roma e che rispecchiano gli umori della maggioranza delle popolazioni del pianeta.

A forza di bugie

Tutto questo riesce a funzionare, rispetto a consensi e dissensi dell’opinione pubblica più o meno mondiale, solo a condizione di essere costantemente immerso in una sconfinata palude di menzogna e falsificazione.

Avendo passato quattro anni a marcire e a rischiare la pelle in varie trincee, Marc Bloch, fondatore della più prestigiosa e rivoluzionaria scuola di storiografia del mondo, Les Annales, nel 1921 dà alle stampa “Le false notizie di guerra”. Un libro monumentale che, riprendendo il suo inedito modo di raccontare la Storia partendo non dai grandi eventi, dalle grandi battaglie, dai grandi uomini, ma dal vissuto, dal pensiero e dal costume dell’essere umano comune, sfronda dai ghiacciai delle menzogne della propaganda la verità viva di quanto veramente accade in un conflitto di quel genere. Come in quelli di oggi. Con le stesse menzogne da allora, nelle quali passa quello che chi prevale vuole che sappia la gente e si comporti e pensi di conseguenza.

Oggi, nel tempo delle guerre sion-atlantiche, mentre ogni briciola di realtà e verità viene disintegrata in miriadi di inquinanti micropolveri di falsità, con un sistema che nel propagare la menzogna opera su di noi come sul terreno una brigata di carri armati Leopard, dovrebbe arrivarci, come una mazzata in testa, una domanda. E’ mai possibile che, pur nella palude di un’etica giornalistica che riflette fedelmente i “valori” di questo Occidente noi ci si faccia ancora abbindolare? Ci si faccia raccontare, da primatisti mondiali della menzogna, che Khamenei è in fuga per Mosca mentre lui e il suo paese, compatto come non mai, si preparano, secondo la lezione di Mao, alla “guerra di popolo di lunga durata”, che rischiano di vincere? Come con l’Iraq che, pure, aveva sottovalutato l’Iran e s’è visto come è finita dopo 8 anni.

Dopo la provetta di Powell e “le armi di distruzione di massa di Saddam”, le fosse comuni e il viagra ai soldati di Gheddafi, dopo i viveur sauditi, prima, e gli ascetici afghani, poi, che hanno fatto venire giù a piombo (!) Torri Gemelle e Pentagono, dopo Putin mentecatto che fa combattere i suoi soldati con le vanghe e gli stracci, dopo Hamas che ha stuprato e decapitato i coloni israeliani trucidati dalla caotica risposta dell’IDF?

Con i comunicati di Tel Aviv sui sospetti gazawi, che dovevano essere mitragliati ogni volta che si avvicinavano ai posti di distribuzione del cibo, o sulle operazioni chirurgiche su obiettivi militari in Iran, che però comportavano stermini di civili in ospedali, centri radiotelevisivi e palazzi (crimini di guerra), è possibile che i discendenti di “cogito ergo sum” si facciano ancora prendere per i fondelli dai prostituti di questa multinazionale di lupanari mediatici?

E abbinando le menzogne ai silenzi, dobbiamo davvero sfarci trovare con scritto in fronte  “Giocondo”, quando diamo retta al “pericolo imminente della bomba atomica iraniana” pronunciato da chi ha in casa, fin dagli anni ’60, dalle 200 alle 500 bombe termonucleari e minacciò di usarle nel 2003, Guerra del Kippur. Vale la minaccia del duo Rutte-Merz, con i missili Taurus che gli escono dal taschino, che Putin attaccherà l’Europa tra 3, massimo 5, anni.

Naturalmente la disponibilità di una prossima bomba dell’Iran  negata dall’Intelligence USA a dispetto di Trump e, finalmente, a mezza bocca, perfino dal discutibile capo AIEA, Grossi,  è la colossale copertura, sostenuta da tutti i domestici politico-mediatici dell’Occidente, del motivo vero della settima aggressione condotta dallo Stato sionista, Tutti, come questo, attacchi contro popoli che hanno il torto di difendersi: Copertura dell’ambizione storica dello Stato sionista in continua guerra d’espansione: l’assoluta egemonia di Israele sulla regione e oltre, con la rimozione di ogni entità che possa intralciarla.

Bugie come cavallette d’Egitto per farci credere che si tratti di nucleare iraniano piuttosto che l’annosa strategia della finanza sionista, un po’ anche UE e USA, di impiantare un impero ebraico tra Africa e Asia e, nella contingenza, eliminare lo scoglio che poteva arginare il mare e che garantiva sul loro fianco sud i nemici mortali Russia e Cina. I corifei arruolati lo chiamano “Il diritto di Israele a difendersi”.

E poi se guardi e non vedi niente, non è che non ci siano bugie. Ci sono, ma a volte si chiamano silenzi. Autentico ammollimento è quello che ha sepolto nello sprofondo, meglio che i reattori nucleari iraniani nella montagna di Fordow, da appena martedì 10 giugno l’affare più brutto mai discusso al Knesset e la vicenda più schifosa mai inflitta da israeliani  a bambini- Stavolta ai SUOI bambini.

Cito letteralmente dal più noto quotidiano israeliano, Jerusalem Post, come NON ripreso, per quanto il mio giro d’orizzonte è riuscito a vedere, da alcun media nella nostra parte di mondo. Ma prima faccio un salto indietro di una sessantina di anni. Serve a valutare che razza di darwinismo alla rovescia ha subito il sistema dell’informazione in Occidente.

Londra, primi anni ’60, la BBC è universalmente considerata la magistra informationum, sia per i contenuti, imparziali e competenti, che per la forma vocale. Pensate che, prima di farmi andare in diretta o registrare un servizio, il mio capo mi ha tenuto tre mesi a fare prove di dizione davanti al microfono, a eliminare cantilene, vocali sbagliate, intonazioni balzane, consonanti, mancanti, scorie dialettanti. Vi figurate la RAI, o le altre emittenti, di adesso, dove si bela, si pigola, si romaneggia, si sparano o ed e calabresi, o piemontesi, si estenua l’ascoltatore con infinte esitazioni da incertezza, eee, eee, eee.

Non solo massacri del pane. Messe nere alla Knesset

Scoppia un enorme scandalo che coinvolge ministri e membri del parlamento. Qualche giornale d’opposizione, laburista, osa farvi velato riferimento. Mi si rifila un microfono e un registratore, il celebrato UHER e mi si manda a sentire chi ne sapeva: testimoni, altri cronisti, i luoghi, i vicini. Si trattava del Hellfire Club, nome impiegato in club libertini del ‘700, risuscitato da libertini un po’ estremi dei circoli della classe politica di Westminster. Ne succedevano di tutti i colori. E tutti vennero fuori, nei miei servizi, come poi in quelli di tanti colleghi.

E’ successa una vicenda analoga a Tel Aviv, in quello dei parlamenti delle onorate democrazie all’occidentale. Solo che si è andati un po’ più in là del libertinaggio nel secolo dei lumi. Ma ci fosse stato un solo inviato, non necessariamente della BBC che, da lunga pezza, non è più quella, a riferirci su un qualche tg, giornale radio, paginone, magari accanto ai fattacci di Garlasco! Non so voi, io nulla trovai.

Eppure la storia è altro che Garlasco. E l’apprendiamo nientemeno che dal giornale israeliano in lingua inglese, il Jerusalem Post, accessibile anche alla nostra categoria di non proprio poliglotti. Il 10 giugno si riuniscono alla Knesset il Comitato per la Parità dei Generi e il Comitato Speciale per Giovani Israeliani. La riunione è convocata dopo che Israel Hayom, un tabloid gratuito, ma autorevole, aveva pubblicato una storia di severi abusi. La relativa cronaca del collega Noam Barkan aveva incoraggiato moltee vittime a raccontare quanto gli era successo. Storia poi ripresa dal Jerusalem Post.

Per non indulgere nel crudo, macabro e immorale, come piace a tanti nostri colleghi delle cronache nere, la faccio breve. A partire da Yael Ariel, che riferisce di prolungati abusi a partire dai suoi 5 anni nel contesto di cerimonie rituali. Veniva costretta a subire violenze e a infliggerne ad altri bambini. “Ho ricevuto minacce da quando ho reso pubblica la mia denuncia”, ha aggiunto. Ariel ha poi raccolto le testimonianze di molte donne che riferiscono di esperienze analoghe. Ne risultano accusati medici, insegnanti, poliziotti e parlamentari della Knesset, ex e attuali.

Di vicende simili racconta ai due Comitati, tra le lacrime, anche Yael Shitrit. Sarebbe stata portata in luoghi diversi e coinvolta nello stesso tipo di “cerimonie” comprendenti non solo violenze fisiche e sessuali, ma anche manipolazioni psicologiche. Le autorità di Polizia sarebbero state messe al corrente di alcuni di questi casi da almeno un anno, ma avrebbero mancato di assumere le relative iniziative.

Avendone avuto preventiva conoscenza, Naama Goldberg, direttrice dell’Associazione di assistenza alla donna Lo Omdot Menegged (“Non assistere inerti”), rivela che, fin da cinque anni fa, avrebbe consegnato alla Polizia le testimonianze scritte di cinque donne e, anche in quel caso, non vi sarebbe stata alcuna reazione.

Un’impunità-immunità paragonabile a quella che la famigerata “comunità internazionale” assicura ad altre nefandezze del regime sionista, tipo genocidi, guerre d’aggressione, torture di prigionieri, o trappole per topi grazie alle quali si mitragliano soggetti inscheletriti a cui si è agitato davanti del pane.

Bilderberg, chi era costui?

Non so se ancora l’anno scorso, ma certamente mai prima, una riunione a porte chiuse e serrande blindate del Club Bilderberg, la 71esima dal 1954, è rimasta avvolta in un così totale silenzio. Neanche uno spiffero dall’albergo iperlusso dei soliti Wallenberg a Stoccolma, dal 13 al 16 giugno. Neanche un trafiletto su Repubblica, TG1, la 7. Eppure si tratta dell’ennesima scandalosa conventicola di super-ricchi occidentali che si propongono, come ogni anno, di elaborare tattiche, strategie e mezzi per frantumare quanto resta di democrazia qua e là nel mondo.

Un’accolita di feudatari, militari, banchieri, amministratori delegati, aristocratici residui, ma non rassegnati, intriganti e complottari d’alto bordo (complottari sono quelli che danno del complottista a chi gli butta l’occhio), con tanto di personale di servizio mediatico, il cui unico obiettivo e togliere ogni limite, freno, pastoia, al potere assoluto della ricchezza. Whatever it takes, come ben formulato da uno dei loro operativi, Mario Draghi.

Tutto questo, come ogni anno, assicurato da un silenzio tanto profondo quanto è altissimo il tasso di menzogna che ne accompagna l’operato sul campo. Equivalenze. Il vincolo che unisce i 132 partecipanti alla congiura anti-umana che si ripete, incontestata, attraverso le ere della democrazia, della quasi democrazia, della non più democrazia, dell’autocrazia tout court, il segreto. Si soddisfa la curiosità, congenita e impertinente, delle plebi, annunciando qualche altosonante tema all’ordine del giorno, di solito dalla nobile risonanza, ma ci si impegna con poco meno di un giuramento sui propri valori più cari, dollaro, sterlina, franco, euro, a tenere ogni parola pronunciata, o ascoltata per sé. In eterno. Anche se si è giornalisti, come Lilli Gruber, o Stefano Feltri, partecipanti, ma tenuti dal silenzio alla più pervicace violazione dell’etica della propria professione.

La coreografia attorno al Grand Hotel di Stoccolma è banalmente ripetitiva, tale da impedire al più sofisticato e penetrante strumento di sorveglianza e spionaggio, quelli di cui sono riconosciuti maestri gli israeliani, anche solo di meditare di scoprire qualcosa. Intelligenze artificiali all’opera assieme al più rozzo armamentario di transenne, barriere metalliche ed elettroniche, truppe armate, mezzi pesanti. Zona rossa, rossissima. Niente di sconveniente deve entrare, niente, neanche un fiato di servitore di cocktail, deve uscire.

Tuttavia possiamo dirci gratificati che questi generosi esponenti di una combriccola di demolitori del diritto umano a conoscere quanto succede agli umani, ci concedano il beneficio di conoscere di cosa dicono di parlare, mentre mirano alla distruzione globalista degli Stati nazione, inopportuno rigurgito di morbose istanze popolari dell’Ottocento. Di tutti, tranne uno o due, che servano da santuario e monopolio della forza.

Ecco l’Ordine del giorno elargito al popolino: Guerra in Ucraina, guerra in Medioriente, come evitarle. Ma poi la ciccia per una gestione oligarchica globale: Sicurezza (leggi sorveglianza, controllo, repressione), Intelligenza Artificiale, leggi dominio su corpi e menti e relativi utili, economia, Difesa (guerre a chi disturba, guerre per chi deve guadagnare), terre rare a tutte le risorse strategiche, ben oltre la manipolazione green, farmaceutica e climatica. E non menzionata, ma messa al centro dalla presenza di Samuel Paparo, Comandante USA nell’Indopacifico, la Cina. E chi sennò.

Più dei concettuali, abituati da millenni all’ombra, si conoscono gli operativi di questo che, se vogliamo un paragone, può essere considerato un gigantesco congresso di Vienna, quello del 1815, dopo i lumi, dopo la rivoluzione e dopo Napoleone (e prima della “Primavera dei Popoli” e degli Stati nazione).

E allora, noblesse dei tempi in corso oblige, potevano mancare Mark Rutte, sergente di ferro del capitalismo oligarchico-globalista? Il suo predecessore segretario NATO, Jens Stoltenberg, per meriti ucraini assurto addirittura a copresidente del Gruppo, poi gli AD della tecnocrazia dominante: Nadella di Microsoft, Thiel di Palantir, Schmidt già capo Google, Schimpf di Anduril? E si poteva rinunciare ai massimi comandanti delle Forze Armate USA, ai capi delle più importanti industrie delle armi, tra cui Marcus Wallenberg, hotelier e padrone della prima industria armaiola svedese, SAAB? E, di particolare interesse per noi, trattandosi di sicurezza, leggi sorveglianza e ceppi, ecco che ritroviamo un caso amico di Giorgia Meloni: quel Henry Kravis di KKR, fondo pirata qui il nostro governo sovranista e patriottico ha appena ceduto la rete di TIM, l’asset più strategico dell’amata nazione.

Per sapere con chi prendersela dalle nostre parti quando il regime e la sua finta opposizione, le due destre oligarchiche, ci avranno ridotto a plaudenti spettatori di sfilate del 2 giugno, di consolatori Angelus papali e di festose riprese dai giardini del Quirinale, ecco chi a Stoccolma complotta contro di noi: Alverà di “zhero.net”, Bini Smaghi di Societé Generale, Della Vigna di Goldman Sachs, Giuliano da Empoli, politologo, Lilli Gruber che a Otto e mezzo azzanna chi secondo Bilderberg stona, l’eterno Bilderberg. Stavolta non c’è Prodi, “’progressista” come tutti, si devono accontentare del suo spirito.

Ripeto, credo di ricordare che ancora l’anno scorso, a Madrid, qualcuno aveva provato a ronzare attorno alle porte sprangate della Bilderberg. Qualche avventuroso aveva provato a carpire, in difesa della fama di giornalista investigativo, almeno una fuggente immagine di partecipante, una minuscola indiscrezione, se non altro sul menu. Ed era riuscito a portare a casa la prova della complicità sudtirolese di Lilli Gruber e dell’inverosimile “collega” Gianni Riotta, quelle dell’assassinio del pubblico per mano del privato di sicari come Gentiloni, Monti e Prodi.

Stavolta zero, via zero. Ci siamo abituati a genocidi e ospedali sostituiti da arsenali. Come non accettare la normalità della bugia-silenzio? Per il macabro, ci stiamo accontentando di cadaveri nei parchi e riesumazioni di macchie sull’intonaco a Garlasco. Stiamo facendo il callo a tutto.

 

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