G8, Diaz e Bolzaneto: a 20 anni dalla “macelleria messicana, giustizia non è ancora stata fatta”

G8, Diaz e Bolzaneto: a 20 anni dalla “macelleria messicana, giustizia non è ancora stata fatta”

Parlano i pochi poliziotti accusati dei massacri

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Era la sera del 21 luglio 2001.

L'allora Vicequestore aggiunto del Primo Reparto mobile di Roma, Michelangelo Fournier, quando entrò nella scuola Diaz e vide quello che stava accadendo lo paragonò a una “macelleria messicana”.

Per Amnesty International quello che lo Stato italiano permise al G8 di Genova fu “la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Guerra Mondiale” e che “i fallimenti e le omissioni dello Stato nel rendere pienamente giustizia alle vittime delle violenze del G8 di Genova sono di tale entità che queste condanne lasciano comunque l'amaro in bocca”.

 

Dopo la “macelleria messicana” tutti i novantatré manifestanti che si trovavano all'interno della Diaz per passarci la notte vengono fermati. Di questi, 85 sono feriti, 63 portati in ospedale e tre finiranno in prognosi riservata riportando fratture multiple. Alcuni di loro escono in barella dalla scuola e molti vengono trasferiti alla caserma di Bolzaneto, dove insieme ad altri manifestanti troveranno l'inferno: “A Bolzaneto fu tortura”, questo scrive la Corte di Strasburgo in una sentenza del 2017.

 

Il giorno prima, in Piazza Alimonda, alle ore 17:27 era stato ucciso Carlo Giuliani con un colpo di pistola sparato dal carabiniere Mario Placanica.

 

Il 17 luglio, a pochi giorni dal ventennale di quei drammatici e orribili crimini perpetrati da diversi reparti di polizia, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da alcuni poliziotti che erano stati condannati per l'irruzione alla Diaz.

 

Angelo Cenni era uno dei sette capisquadra del VII Nucleo del Reparto Mobile di Roma condannati per quei fatti. Dopo il pronunciamento della Corte Europea ha rilasciato una dichiarazione all'Adnkronos dove dice che “giustizia non è ancora stata fatta”.
Cenni parla anche di un libro dal titolo “G8, processo al processo” scritto da Roberto Schena, sul quale dice che
«lì ci sono delle belle verità emerse dalle carte processuali, carte di cui però non si è mai tenuto conto nelle sentenze emesse. Ci sono responsabili mai cercati nonostante ci fosse già tutta la documentazione per poterli individuare con nomi e cognomi. Ma di fatto siamo stati condannati solo noi sette. [...] Una macelleria che si poteva evitare se all’interno di quella scuola ci fossimo stati soltanto noi, ma di fatto c’erano altre centinaia di poliziotti mai chiamati in giudizio, né mai è stata svolta una seria indagine per scoprire che cosa hanno fatto. Le sentenze prendono atto della loro presenza, ma non sono mai stati indagati. [...] Occorrerebbe trovare i veri responsabili, che a distanza di 20 anni non sono mai stati trovati. Anche il Pm Zucca ha dichiarato che i veri responsabili sono ai vertici. [...] Se oggi incontrassi le vittime della scuola Diaz, direi loro che quello fu un vero e proprio orrore, ma non fatto da noi. Anche se il processo dice un’altra verità, i fatti non sono mai stati approfonditi. Noi non siamo gli autori di quell’orrore, di quello che è successo. E la stranezza di tutta questa storia è che hanno trovato solo sette persone su quasi 400. È allucinante. Eppure noi abbiamo fatto solo il nostro dovere».

 

Anche Gianluca Salvatori, conosciuto come “Drago”, che nella irruzione alla scuola Diaz faceva parte del VII Nucleo Antisommossa, dichiara «In quella scuola entrarono tantissime persone, non ci conoscevamo neanche fra noi. Era impossibile identificarli tutti. Io stesso non ne sarei in grado. Alla fine, però, hanno colpito l’anello debole della polizia. Canterini fu molto chiaro, disse che non c’era bisogno di entrare. Noi del Nucleo speciale sconsigliammo di entrare, ma purtroppo dall’alto, e non dai vertici della polizia, ma “dall’alto”, decisero l’intervento. Quelle persone hanno vissuto un’esperienza tragica, come l’ho vissuta io, perché anche noi abbiamo preso le botte. Ma di una cosa sono certo: quello che accadde 20 anni fa al G8, oggi non accadrebbe più, per il semplice motivo che molte cose sono cambiate proprio a seguito di quei fatti. E probabilmente è cambiata anche la politica, che quasi sempre è responsabile di ciò che accade nelle strade, per il semplice motivo che la polizia non fa altro che fungere da “tamburello” delle diatribe politiche».

 

Mentre Canterini, ex comandante del Reparto mobile di Roma, che fu a condannato a 3 anni e 3 mesi afferma che «non siamo noi i poliziotti della macelleria messicana. Ho sempre gridato ai quattro venti la mia innocenza e quella dei miei uomini.

In quella scuola, contemporaneamente, sono arrivati 200 o 300 poliziotti con la pettorina che nemmeno conoscevo. La “macelleria messicana” è a loro che si riferisce, a quegli agenti che non ho mai capito perché fossero lì e nemmeno si sapeva chi fossero. I miei, come risulta agli atti, sono stati dentro all’edificio meno di cinque minuti».

 

Un turbinio di affermazioni dove ognuno si dichiara “innocente” ma allo stesso tempo ammette di aver visto qualcosa di indicibile, fino incolpare altri reparti e affermare che “la macelleria messicana è di quei 200 o 300 poliziotti con la pettorina che non ho mai capito perché fossero lì”, per finire che “i veri responsabili sono ai vertici ma che non sono stati mai cercati nonostante ci fosse già tutta la documentazione per poterli individuare con nomi e cognomi”.

 

Sono sicuro che molte di queste dichiarazioni corrispondano al vero, a prescindere dal fatto che ognuno cerchi di non assumersi le proprie responsabilità.

Le loro affermazioni non sono avulse dalla realtà, però vanno ad aggiungersi e a sovrapporsi alle migliaia di voci, articoli, deposizioni e colonne di faldoni depositati nei tribunali; e forse per questo perdono perfino l'importante peso specifico che dovrebbero avere; quel peso specifico che, anche per altre dichiarazioni, alcuni non hanno voluto misurare, altrimenti certe carriere personali avrebbero preso un diverso percorso.

Penso a quello che era il Capo della Polizia, Gianni Di Gennaro, vertice di comando di quel corpo che ha eseguito la “macelleria messicana” e che è stato definito compartecipe della “più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Guerra Mondiale”. In seguito fu “premiato” facendogli ricoprire diversi ruoli istituzionali, tra cui quello di Direttore del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza; poi da Sottosegretario di Stato alla Presidenza dei ministri; fino a diventare Presidente di “Leonardo”, la decima più grande impresa di difesa al mondo e la terza in Europa. Oggi Di Gennaro è “solo” presidente di una banca.

 

Dopo le indicibile vergogne delle “Stragi di Stato” e delle loro indagini, processi e sentenze, a distanza di anni, su Genova, abbiamo visto il ripetersi di una storia processuale che già conoscevamo e che vedremo poi ripetersi dopo l'uccisone di Federico Aldovrandi e di Stefano Cucchi.

 

Sul G8 di Genova si è detto di tutto, si è scritto, si è documentato e rappresentato tanto. 

Nonostante questo, mi viene in mente una frase detta da “Zerocalcare” in un'intervista rilasciata esattamente un anno fa al direttore de L'Espresso Marco Damilano, dove il giovane fumettista di Rebibbia, parlando del G8 di Genova, diceva: «Ho l'impressione che è qualcosa di cui abbiamo parlato tanto ma per cercare di non parlarne mai bene e, come allora, quella repressione alle istanze sociali (per un altro mondo possibile N.d.A.) anche oggi si rispecchia, metaforicamente, nel modo in cui vengono affrontate le tematiche attuali che ancor di più si sono esasperate».

Roberto Cursi

Roberto Cursi

Sono nato a Roma nel 1965, passando la mia infanzia in un grande cortile di un quartiere popolare. Sin da adolescente mi sono avvicinato alla politica, ma lontano dai partiti. A vent'anni il mio primo viaggio intercontinentale in Messico; a ventitré apro in società uno studio di grafica; a ventiquattro decido di andare a vivere da solo. Affascinato dall'esperienza messicana seguiranno altri viaggi in solitaria in terre lontane: Vietnam, Guatemala, deserto del Sahara, Belize, Laos... fino a Cuba.

Il rapporto consolidato negli anni con l'isola caraibica mi induce maggiormente a interessarmi della complessa realtà cubana.

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