"Generazione Antidiplomatica" - Il neoliberismo è fascismo

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"Generazione Antidiplomatica" -  Il neoliberismo è fascismo

Generazione AntiDiplomatica è lo spazio che l’AntiDiplomatico mette a disposizione di studenti e giovani lavoratori desiderosi di coltivare un pensiero critico che sappia andare oltre i dogmi che vengono imposti dalle classi dirigenti occidentali, colpendo soprattutto i giovani, privati della possibilità di immaginare un futuro differente da quello voluto da Washington e Bruxelles. Come costruirlo? Vogliamo sentire la vostra voce. In questo nuovo spazio vi chiediamo di far emergere attraverso i vostri contenuti la vostra visione del mondo, i vostri problemi, le vostre speranze, come vorreste che le cose funzionassero, quale società immaginate al posto dell’attuale, quali sono le vostre idee e le vostre riflessioni sulla storia politica internazionale e del nostro paese. Non vi chiediamo standard “elevati” o testi di particolare lunghezza: vi chiediamo solo di mettervi in gioco. L’AntiDiplomatico vi offre questa opportunità. Contribuite a questo spazio scrivendo quanto volete dei temi che vi stanno a cuore. Scriveteci a: generazioneantidiplomatica@gmail.com

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Articolo di Pablo Baldi

 

Partiamo da un presupposto: "La filosofia è una lotta contro l’incantamento del nostro intelletto per mezzo del linguaggio” (Wittengenstein). Il mio obiettivo non è dimostrare l’uguaglianza tra neoliberismo e fascismo in modo retorico come chi attribuisce l’etichetta “fascista” a qualsiasi cosa non sia di suo gradimento. No: voglio dimostrare che dietro a queste due parole (che incatenano l’intelletto) si nascondono piú similitudini di quanto altre parole (che incatenano l’intelletto) ci farebbero credere. Autoritarismo, democrazia, libertà, diritti ecc sono astrazioni che ci fanno perdere di vista la sostanza materiale di ciò che descriviamo attraverso il linguaggio.

Purtroppo la reazione padronale degli ultimi decenni ha di molto diminuito la nostra capacità di analisi e di sintesi, ma negli anni ‘20 del ‘900 i comunisti hanno formulato un’analisi collettiva del fascismo che mette al centro il suo carattere reazionario-padronale e anti-proletario.

Usiamo la definizione che ne ha dato Gramsci in un suo discorso parlamentare nel 1925: "Il fascismo è stato ed è la guerra civile scatenata dalla borghesia industriale e agraria contro la classe operaia e i contadini poveri [...] per annientarne le organizzazioni e schiacciarne le conquiste economiche e politiche."

Il fascismo italiano è quello delle camicie nere e dei bracci tesi, ma fascismo come concetto astratto racchiude tutte quelle esperienze concrete volte ad annientare le organizzazioni dei lavoratori e a schiacciarne la conquiste economiche e politiche.

Questa reazione padronale ha luogo quando le contraddizioni economiche del capitalismo generano una crisi organica che mette in rischio la sopravvivenza stessa del capitalismo. Quando ci sono le condizioni rivoluzionarie ma i lavoratori non sono abbastanza organizzati per portarla a termine, la borghesia abbandona la parvenza di consenso chiamata democrazia borghese e passa alla difesa violenta della proprietà privata, il fascismo. La mancanza di organizzazione è di solito dovuta ad errori nella prassi o nella linea politica espressa dall’avanguardia del proletariato, cioè nell’impreparazione del Partito.

Questi elementi sono presenti sia nel biennio rosso (primo dopoguerra) che nel secondo dopoguerra. Il Partito Socialista Italiano non è stato in grado di guidare l’energia rivoluzionaria dei lavoratori nel primo dopoguerra. Il Partito Comunista Italiano ha abbandonato la dottrina rivoluzionaria deviando dal Marxismo-Leninismo, arrivando a fare compromessi con la borghesia nazionale (“non-sfiducia” alla democrazia cristiana) e internazionale (“il Patto Atlantico può essere anche uno scudo utile per costruire il socialismo nella libertà”) nel secondo dopoguerra.

Ritengo che la mancata identificazione tra fascismo e neoliberismo sia dovuta alla totale mancanza di coscienza di classe da parte dei lavoratori, i quali hanno perso il concetto di classe e conseguentemente di lotta di classe. Invece la grande borghesia era ben cosciente di ciò che stava avvenendo: “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi” (Warren Buffet).

Il neoliberismo trova uno dei suoi fondamenti teorici nel rapporto della commissione trilaterale (Crozier, Huntington e Watanuki) del 1975 dal nome “la crisi della democrazia”, pubblicati con un’introduzione di Giovanni Agnelli e una prefazione di Brezinski.

Questo testo individua il problema (per la grande borghesia) in un eccesso di democrazia che provoca un’ingovernabilità (da parte del capitale sulla politica). La soluzione sta nel ridurre la partecipazione democratica e il conflitto di classe:  “Quando l’ideologia viene meno, viene pure meno la possibilità dei sindacati di ottenere dei risultati. Inoltre, i processi di contrattazione collettiva ordinata (la concertazione n.d.r), anche quando danno dei risultati, tendono a diventare così complessi e burocratici da produrre disaffezione. [..]più i sindacati e i partiti operai accettano procedure regolari, più s’indebolisce la loro capacità di mobilitare i propri seguaci e fare veramente pressione sul sistema”. La distruzione dell’ideologia e dell’organizzazione comunista è stata premeditata e attuata con metodi più subdoli rispetto a quelli del fascismo col manganello, ma esattamente con lo stesso obiettivo.

La reazione padronale neoliberista è guidata dalla paura della democratizzazione del sistema politico. In particolare, dalla paura che questa potesse portare al massimo grado di democrazia, la democrazia sul posto di lavoro, ovvero la presa del potere da parte dei lavoratori per gestire collettivamente e in modo pianificato l’economia. A ciò si risponde con il suo opposto: il ristabilimento dell’anarchia del mercato, il predominio del capitale sulla politica attraverso la deregolamentazione e la possibilità di spostare liberamente il capitale, dandogli la possibilità di eludere il controllo statale democratico: “Il funzionamento efficace di un sistema politico democratico richiede, in genere, una certa dose di apatia e disimpegno da parte di certi individui e gruppi [...]ciò è intrinsecamente antidemocratico, ma ha anche costituito uno dei fattori che hanno consentito alla democrazia (ndr borghese) di funzionare efficacemente. [...]È necessario quindi sostituire la minore emarginazione di alcuni gruppi con una maggiore autolimitazione di tutti i gruppi”.
L’apatia e il disimpegno politico sono stati premeditati, anche se ottenuti non solo attraverso il manganello come nel fascismo storico.

Il neoliberismo ha distrutto l’organizzazione dei lavoratori minando le sue premesse ideologiche, mettendo l’individuo come fondamento di qualsiasi cosa e quindi eliminando il concetto di classe. Se l’individuo è povero è colpa sua e deve salvarsi da sé, non è colpa del sistema e la liberazione non si ottiene attraverso la presa del potere da parte dei lavoratori ma attraverso l’arricchimento individuale.

L’individualismo imperante mina il concetto di organizzazione e di intellettuale collettivo. Far parte di un’organizzazione non è visto come essere parte di un qualcosa di piú grande che rende piú grande anche ogni suo singolo membro ma come una limitazione esterna dell’individualità interna attraverso l’imposizione di idee e pratiche. Interpretare qualsiasi influenza esterna dal sé come un’imposizione, una limitazione dell’autonomia individuale, rende impossibile il confronto, la condivisione e la socialità che sono alla base della formulazione di nuove idee e dell’arricchimento reciproco.

Partire in ogni interpretazione della realtà dalla prospettiva individuale è funzionale alla limitazione del ragionamento sistemico. L’oppressione causata dalle contraddizioni strutturali viene vissuta quotidianamente ma la sua causa viene individuata in un cattivo governante (il fascista di turno) o nella malvagità di qualche gruppo segreto (massoni, illuminati, rettiliani ecc).

Così la violenza del sistema viene attribuita a singole persone. Per esempio: l’uccisione del manager di UnitedHealthcare Brian Thompson da parte di Luigi Mangione è stato un atto violento individuale che ha causato la morte di una persona. Come gli individui colpevilizzono sè stessi per l’oppressione che subiscono, finiscono ad identificare la causa dell’oppressione in altri singoli individui, provocando tragedie sterili che non mutano i rapporti di forza tra capitale e lavoro, cioè la vera causa dell’oppressione.

La violenza nell’uccisione di una persona è evidente a tutti, ma non dobbiamo sottovalutare la violenza insita nel capitalismo. Quante persone sono morte mentre i miliardari accumulavano ricchezze spropositate indirizzando la produzione di valore da parte dei lavoratori in questa direzione invece che negli investimenti in sanità? Dietro ogni email da parte della compagnia assicurativa che rifiutava di concedere (fa male usare questa parola) l’assistenza sanitaria ad una persona, quanta violenza si nascondeva? Quanta violenza c’è nelle (circa) 1000 morti sul lavoro all’anno in Italia dovuti all'abbattimento dei costi della sicurezza sul lavoro per aumentare i profitti? Quanta violenza c’è nella sottrazione del tempo ai lavoratori i quali non possono dedicarlo a sè stessi e ai propri cari? Quanta violenza c’è nella sottrazione dei frutti del proprio lavoro che genera miseria, affitti non pagati, pance vuote, malattie non curate ecc? Potrei continuare per ore.

Le politiche neoliberiste hanno l’obiettivo di distruggere le organizzazioni e le conquiste dei lavoratori e quindi sono una forma di fascismo, con una minore dose di manganello ma altrettanto violente.

Il 47,7% della ricchezza nazionale italiana è nelle mani del 5% piú ricco. Dal 2010 al 2024 il 10% piú ricco della popolazione è passato da controllare il 52,5% della ricchezza nazionale al 59,7% e non ha intenzione di fermarsi qua. Nel 2023 c’erano 5,7 milioni di poveri assoluti, cioè il 9,7% della popolazione. L’accentramento della ricchezza è l’altra faccia dell’aumento della povertà e dei tagli a sanità, istruzione, pensioni, cultura ecc. Ecco le conseguenze della distruzione delle premesse ideologiche dell’organizzazione dei lavoratori: lo schiacciamento delle sue conquiste economiche e politiche, il fascismo.

Ma oltre a tutte le componenti ideologiche di cui abbiamo parlato, il fascismo è un modo molto concreto di superare le contraddizioni generate dal capitalismo: l’espansionismo.

Quando la caduta tendenziale del saggio del profitto minaccia l’accumulazione capitalista non c’è niente di meglio (per la grande borghesia) che inventarsi un nemico, convertire l’economia alla funzione bellica e “chiedere sacrifici” in nome della “patria”, cioè aumentare enormemente il grado di sfruttamento e l’esproprio della ricchezza generata dai lavoratori in quanto “ci troviamo una situazione emergenziale di vita o di morte”. Ai profitti generati dalle armi seguiranno i profitti generati dalla ricostruzione di ciò che le armi hanno distrutto, come abbiamo imparato dai “gloriosi trenta” e non solo. Un ciclo riempiamo gli arsenali e un ciclo riempiamo i granai. 

Se non facesse piangere, la giustificazione di questo riarmo in nome della democrazia che il neoliberismo ha azzerato farebbe ridere.

Il neoliberismo distrugge l’organizzazione dei lavoratori, elimina le sue conquiste e li manda a morire in guerra in nome degli interessi imperialisti. Il neoliberismo è una forma di fascismo. Resistergli è un dovere. La lotta di classe non è mai finita, non combatterla significa subire le vessazioni imposte dall’alto. Riprendiamoci il nostro tempo, riprendiamoci il prodotto del nostro lavoro, organizziamoci per costruire la pace e il socialismo!

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