Gli Usa scaricano la crisi del loro impero su di noi

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Gli Usa scaricano la crisi del loro impero su di noi


di Paolo Desogus*

Gli USA scaricano su di noi la loro crisi, che è doppia: è una crisi sia interna, diremmo simbolica, relativa cioè alla perdita di identità, alla prevalenza del non-senso, e sia imperiale, legata al rapporto che gli USA hanno con il resto del mondo sul piano commerciale, geopolitico e militare.

Le due crisi sono intimamente connesse. La crisi imperiale deriva infatti sia dall’insostenibilità del modello economico e della necessità di usare la forza per mantenerlo, e sia dall’incapacità di rispondere alla domande sull’orizzonte di senso in cui si iscrive l’azione americana in quanto stato e nazione. I miti americani sono crollati: chi ha raggiunto il benessere non gode di quella agognata promessa di felicità, cioè quella iscritta nella costituzione americana.

Stessa cosa per il mito della frontiera: agli americani non interessa più andare oltre, cercare nuovi spazi se non per imporre il loro dominio coloniale. Di là dal loro backyard non vedono nulla e non sono interessati a cercarvi qualcosa di nuovo. Il mondo esterno è nemico e va assoggettato. E noi europei ne siamo pienamente vittime.

Trump è il prodotto di queste crisi. Per molti versi ne è anche un acceleratore. La soluzione che propone, quella di un ulteriore benessere materiale, raggiunto esplicitamente a spese degli altri, oltre che difficilmente realizzabile, non è la soluzione per la ricostruzione di una società che nella propria autorappresentazione nasce da un forte vincolo solidale e comunitario, quello dei padri fondatori, dei pellegrini, degli emigrati…

Quel mondo non esiste più. Non esiste più da tempo, anche se nelle innumerevoli narrazioni viene ancora spacciato come attivo nelle tradizioni, nell’ideale di famiglia, nei tanti riti collettivi. La competizione selvaggia, l’idea che l’impresa individuale debba essere difesa sopra ogni cosa, insieme ai numerosi altri aspetti dell’ideologia americana, con la loro torsione e neoliberale si sono trasformati in uno strumento annientamento.

Quella statunitense è infatti una società che divora sé stessa. È quella in cui il desiderio di realizzazione e di felicità si tramuta in autodistruzione. Non c’è paese al mondo in cui si vive in così grande solitudine come negli USA. Numerosi studi indicano il crollo delle reti familiari e amicali. Larghissime fette della popolazione vivono nel completo isolamento e nell’abbrutimento morale e psicologico. Questa precarietà si traduce in un malessere estremamente diffuso. Gli USA sono il paese che fa più largo uso di psicofarmaci, quello in cui la tossicodipendenza è diffusissima. È il paese che vanta un numero di omicidi e di stupri tra i più alti d’Occidente. È un paese malato, il paese del fentanyl.

Gli stessi istituti democratici sono contraffatti. Gli schieramenti sono due, democratici e americani, due partiti sotto controllo delle lobby. Non deve dunque stupire che la percentuale dei votanti è sia bassissima. E tutto questo a dispetto della vomitevole retorica nazionalistica e dell’uso autocelebreativo della bandiera americana.
 
Gli USA sono paese disperato, triste e violento che non sa immaginare alternative, che si attacca a ciò che lo sta trascinando verso la rovina. È il paese che ha trasformato il troppo pieno del consumo in un vuoto nichilistico.

Allo stesso tempo sono oramai incapaci di criticarli, e questo monostante la grande tradizione letteraria e cinematografica che invece aveva mostrato grandi capacità auto introspettive. Ciechi e sopraffatti scaricano il proprio malessere all’esterno, soprattutto verso l’Europa, divenuta una vera e propria colonia a cui imporre i propri prodotti ai prezzi decisi da loro stessi e non dal mercato, a cui dettare ordini sulla politica estera e sulle scelte militari.

Tutto questo non basterà però a salvarli. Gli Stati Uniti dovranno prima o poi fare i conti con il loro declino imperiale, con la loro profonda violenza, con il loro vuoto simbolico e culturale. Il paese più guerrafondaio e rapinatore della storia dell’umanità avrà quello che si merita.


*Post Facebook del 29 luglio 2025

Paolo Desogus

Paolo Desogus

Professore associato di letteratura italiana contemporanea alla Sorbonne Université, autore di Laboratorio Pasolini. Teoria del segno e del cinema per Quodlibet.

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