I cantori della pensione a 70 anni

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I cantori della pensione a 70 anni

 

di Federico Giusti

In Italia si va in pensione a quasi 70 anni, o meglio a quella età usciremo solo tra qualche anno visto che l’età pensionabile varia in base all’aspettativa di vita. E ancora oggi ci sono gli ultimi lavoratori precoci che hanno anni di contributi antecedenti alla maggiore età, in prospettiva futura tra sistema di calcolo contributivo e aumento del costo della vita posticipare di qualche anno l’uscita dalla produzione apparirà una scelta obbligata per evitare l’assegno da fame. Restare al lavoro diventa una scelta obbligata per una esistenza dignitosa.

L’aspettativa di vita è stata Introdotta nel 2010 per diventare operativa l’anno successivo con la Riforma Fornero, ogni due anni l’Istat  certifica l’aumento dell’aspettativa di vita, salvo che nel periodo del covid in cui c’è stato un decremento ai livelli pre 2020, questo meccanismo alla fine è stato fondamentale per posticipare gradualmente l’uscita dal mondo del lavoro e un eventuale anticipo è avvenuto solo per interventi legislativi e con decurtazioni del futuro importo dell’assegno previdenziale.

Non parleremmo tuttavia di rapporto stretto tra età del pensionamento ed evoluzione demografica, anche quando l’aspettativa di vita non è cresciuta non siamo andati rivedere l’età pensionabile limitandosi solo a non aggiungere ulteriori mesi per l’uscita dal mondo del lavoro.

L’aumento dell’età pensionabile e lo svantaggioso calcolo dell’assegno con il sistema contributivo non hanno mai prodotto in Italia proteste paragonabili a quelle di altri paesi Europei, vuoi per le norme antisciopero approvate con il sostegno sindacale a inizio anni novanta del secolo scorso sia perché i sindacati rappresentativi troppo a lungo si sono cullati sugli allori della concertazione o sul rapporto stretto con la politica (numerosi ex sindacalisti sono stati eletti come deputati negli opposti schieramenti) o hanno pensato che la previdenza integrativa alla fine rappresentasse l’antidoto alla erosione del potere di acquisto.

Il  2027 sarà un anno determinante perché dovrebbe scattare l’ incremento di altri tre mesi arrivando a 67 anni e tre mesi per la pensione di vecchiaia mentre per quella anticipata serviranno contributi ulteriori che passano da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 1 mese per gli uomini, da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 1 mese per le donne. 

E sempre nel 2027 l’aumento dell’età potrebbe creare qualche problema per gli esodati ossia per quanti avranno nel frattempo trovato un accordo con il datore di lavoro per la pensione anticipata, i requisiti certi se cambiano o chiedono semplicemente 3 mesi di lavoro in più potrebbero rappresentare un problema.

Molti ricorderanno che gli esodati negli anni passati rimasero senza stipendio e senza pensione, evitare situazioni analoghe in futuro dovrebbe essere nell’interesse di tutti sapendo che ci sono migliaia di dipendenti usciti con i fondi bilaterali o in isopensione o con i contratti di espansione, parliamo di quasi 100 mila uomini e donne che potrebbero ad esempio essere esentati dall’incremento della aspettativa di vita con una sorta di corsia preferenziale che alimenterebbe tuttavia le divisioni nel mondo lavorativo.

Ma restano irrisolti gli annosi problemi ossia la tendenza a spostare sempre più in avanti la uscita dal lavoro, di prevedere trattamenti diseguali tra generazioni, di aumentare gli anni di contributi versati trovandosi con una forza lavoro sempre più vecchia. E aggiungeremmo l’erosione del potere di acquisto delle pensioni che colpisce soprattutto chi è uscito dalla produzione da 15 o 20 anni.

In futuro uscendo a quasi 70 anni e con un logoramento psico fisico accresciuto nel tempo l’aspettativa di vita sarà ridotta come  gli anni di pensione e a quel punto il problema si risolverà da solo scaricando tutti gli oneri dei conti pubblici sulla forza lavoro.

In un paese nel quale le ore lavorate non crescono trovarsi con una forza lavoro anziana non è certo di aiuto soprattutto se pensiamo che in prospettiva futura avremo anche migliaia di lavoratori e lavoratrici con assegni tanto bassi da indurre lo Stato a entrare in campo con i necessari incrementi.

Nei calcoli di qualche anno or sono era prevista la riduzione della spesa previdenziale a partire dal 2035 ma non si era fatto i conti con le pensioni da fame, i vuoti contributivi e i part time incolpevoli, con la erosione del potere di acquisto.

Il sistema contributivo garantisce prestazioni più basse che in molti casi saranno inferiori anche alla soglia di povertà e qui entra in gioco la stretta relazione tra bassi salari, paghe orarie irrisorie e future pensioni da fame . Se poi aggiungiamo il posticipo dell’età pensionabile si deduce che dopo una vita agra ci aspetta una pensione assai magra e condizioni di vita ben poco dignitose, Tra la pensione e la morte ci saranno meno anni e quindi meno oneri per i conti statali.

Ma pensiamo che un paese possa uscire dalla crisi in cui si trova da anni tenendo in servizio la forza lavoro fino alle soglie dei 70 anni: In tutta sincerità diremmo di no ma attorno a noi il silenzio sulle questioni previdenziali sta diventando veramente preoccupante.

 

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