Il discorso di Deng Xiaoping sul tumulto di Tienanmen (1989)

Il discorso di Deng Xiaoping sul tumulto di Tienanmen (1989)

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In occasione del 30° anniversario del tumulto di Tienanmen (terminato il 4 giugno 1989), la redazione di Marx21.it propone il discorso tenuto da Deng Xiaoping agli ufficiali di rango generale e superiore al comando delle truppe in applicazione della legge marziale a Pechino. Traduzione a cura di Giovanni Spina.


9 Giugno, 1989


Compagni, siamo reduci da un momento molto duro!


Innanzitutto, desidererei esprimere il mio profondo dolore per gli uomini e gli ufficiali dell'Esercito Popolare di Liberazione, della Forza di Polizia Armata del Popolo e della Polizia di Pubblica Sicurezza che sono morti eroicamente in questa lotta. Voglio anche esprimere la mia profonda vicinanza alle migliaia di uomini e ufficiali dell'E.L.P., P.A.P. e P.P.S. che sono rimasti feriti. Estendo i miei saluti cordiali a tutti i vostri ufficiali e agli uomini che hanno preso parte allo scontro.



Rendiamo un omaggio silenzioso ai nostri martiri!

Coglierei l'occasione per dire alcune parole.


Questi disordini sono stati determinati dal contesto internazionale e interno, e presto o tardi sarebbero comunque accaduti. Che lo desiderassimo o no, erano destinati a succedere; le uniche incognite erano il momento e la portata. Il fatto che tutto ciò sia accaduto adesso volge a nostro favore, soprattutto se si considera che abbiamo un gran numero di compagni veterani ancora in buona salute, che hanno fatto esperienza di molti disordini e comprendono le differenze dei diversi modi di fronteggiarli. Costoro supportano l'azione risoluta che abbiamo intrapreso contro la ribellione. Al momento presente, alcuni compagni non comprendono questa azione, ma alla fine la comprenderanno e appoggeranno la decisione delle autorità centrali.


L'editoriale del 26 aprile del Quotidiano del Popolo ha descritto i disordini come un tumulto. La parola “tumulto” è piuttosto appropriata. È proprio questa la parola che alcune persone contestano e cercano di cambiare, ma i fatti dimostrano che si tratta di una valutazione corretta. Era oltretutto inevitabile che il tumulto degenerasse in una sollevazione contro-rivoluzionaria. Disponiamo di un certo numero di compagni veterani ancora in buona salute, di cui qualcuno nell'esercito, e di un numero di altri quadri dirigenti che si sono uniti ai ranghi in periodi differenti. È stato perciò relativamente facile far fronte allo scatenarsi dell'incidente.


La difficoltà maggiore nel gestire la vicenda è stata che non ci eravamo mai imbattuti in una situazione in cui un pugno di malintenzionati si dissimulasse tra così tanti giovani studenti e una folla di curiosi. Considerato che in quel momento non eravamo in grado di distinguere tra innocenti e responsabili, avremmo a stento potuto intraprendere le azioni necessarie. Senza il supporto di così tanti veterani del Partito, sarebbe stato difficile persino determinare la natura dell'incidente. Alcuni compagni non la comprendono e pensano che stessimo avendo a che fare soltanto con le masse popolari. In realtà, non stavamo solo avendo a che fare con persone che non erano in grado di distinguere tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, ma anche con un certo numero di facinorosi e molti individui provenienti dalla feccia della società. Sono stati loro a tentare di sovvertire il nostro Stato e il nostro Partito. È questo il nodo cruciale della questione. Se non riusciamo a comprenderlo, non saremo mai chiari riguardo la natura dell'incidente. Credo che se ci lavoriamo, possiamo guadagnarci l'approvazione della stragrande maggioranza dei compagni di Partito, per quanto riguarda il nostro giudizio sulla natura dell'incidente e sulle misure che abbiamo adottato per farvi fronte.


La natura dell'incidente sarebbe dovuta risultare ovvia sin dal primo momento. Quel pugno di malintenzionati aveva due slogan fondamentali: rovesciare il Partito Comunista e abbattere il sistema socialista. Il loro obiettivo era quello di instaurare una repubblica borghese, un vassallo dell'Occidente in tutto e per tutto. Naturalmente, abbiamo accettato la richiesta popolare di ingaggiare una lotta alla corruzione, e abbiamo persino dovuto prendere per buoni i cosiddetti slogan anticorruzione dei malintenzionati. È ovvio che non erano che pretesti, il cui fine ultimo era quello di rovesciare il Partito Comunista e abbattere il sistema socialista.


Perché, nel reprimere la ribellione, così tanti dei nostri compagni hanno dato la vita o sono rimasti feriti o derubati delle loro armi? Anche questo è successo perché i facinorosi erano dissimulati tra le brave persone, e pertanto non abbiamo potuto adottare le misure più risolute. Fronteggiare questo incidente è stato una dura prova politica per il nostro esercito, ma i fatti hanno dimostrato che gli uomini dell'E.L.P. sono riusciti a superarla. Se i nostri carri armati si fossero aperti la strada attraverso la folla, sarebbe stato difficile per l'intera nazione distinguere tra bene e male. Pertanto voglio esprimere i miei ringraziamenti agli ufficiali e agli uomini dell'E.L.P. per il modo in cui hanno gestito la ribellione. Le loro perdite sono state numerose, ma ci hanno aiutato a conquistare la simpatia e l'appoggio del popolo, e hanno messo coloro che avevano confuso bene e male nelle condizioni di cambiare idea. Chiunque può rendersi conto, a partire da queste perdite, chi erano davvero gli uomini dell'esercito, se siano stati loro i responsabili d'aver trasformato Tian'anmen in un mare di sangue e chi abbia abbia causato gli spargimenti di sangue. Una volta chiarite tali questioni, abbiamo potuto prendere l'iniziativa. È un fatto doloroso che così tanti compagni abbiano sacrificato le loro vite, ma se la gente analizza obiettivamente il decorso dell'incidente, dovrà ammettere che l'E.L.P. è autenticamente l'esercito del popolo. Queste perdite aiuteranno anche il popolo a rendersi conto dei metodi che abbiamo utilizzato in questo scontro. D'ora in poi, ogni qualvolta che l'E.L.P. dovrà intervenire sui problemi che andranno presentandosi, sarà in grado di conquistarsi l'appoggio del popolo. D'altra parte, i nostri uomini non dovrebbero permettere di essere nuovamente derubati delle loro armi.


Insomma, questa è stata una prova e voi l'avete superata. Non ci sono molti compagni veterani nell'esercito, e la maggior parte dei soldati ha solo 18 o 20 anni, ma nell'esercito popolare ci sono ancora dei veri uomini. Quando le loro vite sono state messe a repentaglio, sono rimasti saldi, senza dimenticarsi del popolo, degli insegnamenti del Partito o degli interessi del Paese. Sono andanti audacemente incontro alla morte, degni di essere chiamati eroi. Affermando che avete superato una prova, intendo dire che l'esercito è rimasto l'esercito del nostro popolo. L'esercito ha superato questa prova rimanendo fedele alla propria natura di esercito popolare, erede delle tradizioni della vecchia armata rossa. Non era affatto facile superare questa autentica prova politica, una prova di vita o di morte! Tutto ciò dimostra che l'esercito popolare è davvero una grande muraglia d'acciaio posta a difesa del Partito e del Paese, che non importa quanto siano grandi le perdite che deve sopportare, che non importa come una generazione di dirigenti ne sostituisca un'altra: il nostro esercito sarà sempre un esercito guidato dal Partito, il difensore del nostro Paese, il guardiano del socialismo, il protettore degli interessi del popolo, nonché costituito dai nostri uomini più amati. Allo stesso tempo, non dovremo mai dimenticare la spietatezza dei nostri nemici, né concedere loro il minimo perdono.


Lo scoppio dell'incidente ci dà molto a cui pensare, e ci costringe a riflettere a mente lucida sul passato e sul futuro. Forse questo terribile avvenimento ci permetterà di portare a termine le politiche di riforma e apertura al mondo esterno in modo costante e persino più in fretta, di correggere i nostri errori più rapidamente e di sfruttare meglio i nostri vantaggi. Oggi non posso sviluppare molti temi, ma desidererei avanzare alcune questioni da sottoporre a discussione.


La prima questione è se la linea, i principi e le politiche formulate nella Terza Sessione Plenaria dell'XI Comitato Centrale, e la nostra strategia di sviluppo dei “tre stadi” siano corrette. La loro correttezza è stata messa in discussione a seguito del tumulto? Il nostro obiettivo è un estremismo di sinistra? Rimarrà un nostro obiettivo, in futuro? A questi problemi bisogna avanzare risposte positive e concise. Il primo obiettivo, di raddoppiare il prodotto interno lordo, è stato raggiunto. Il secondo, di raddoppiarlo ulteriormente, sarà conseguito nel giro di dodici anni. In altri cinquanta, dovremo riuscire a raggiungere il livello dei paesi moderatamente sviluppati. È questo il nostro obiettivo strategico. A tale riguardo, credo che la valutazione delle nostre possibilità non costituisca un estremismo di sinistra, e che l'obiettivo che abbiamo stabilito non sia troppo ambizioso. Dunque, in risposta alla prima domanda, dovremmo dire che l'obiettivo strategico che abbiamo stabilito non può essere descritto come irraggiungibile, almeno non adesso. Sarà qualcosa di meraviglioso, per un paese con una popolazione di 1,5 miliardi di abitanti, raggiungere il livello di un paese moderatamente sviluppato nell'arco di sessantuno anni. Dovremmo essere in grado di raggiungere questo obiettivo. Non dovremmo dire che abbiamo fissato un obiettivo strategico errato soltanto per via del recente incidente.


Il secondo problema è se la formula “un compito centrale, due punti fondamentali”, avanzata al XIII Congresso Nazionale del Partito, sia corretta. In particolare, i due punti fondamentali - ovvero mantenere i Quattro Principi Cardinali e portare a termine le politiche di riforma e apertura – sono forse sbagliati? Ho riflettuto su questo problema, di recente, e credo che non lo siano. Non è affatto sbagliato mantenere i Quattro Principi Cardinali. Se un errore è stato fatto, si è trattato di non averli seguiti fedelmente e di non averli impressi, come idee fondamentali, nel popolo, negli studenti e in tutti i quadri e i membri di Partito. Il recente incidente ha avuto la natura di un conflitto tra la liberalizzazione borghese e l'aderenza ai Quattro Principi Cardinali. È vero, abbiamo discusso di mantenerli, di condurre un lavoro politico ed ideologico e di combattere la liberalizzazione borghese e la contaminazione delle idee, ma non abbiamo discusso di queste cose in modo conseguente; a ciò non è seguita nessuna azione e addirittura non vi è stata nessuna menzione della necessità di agire. L'errore non stava nei principi in sé stessi, ma nel non essere riusciti ad attenersi coerentemente ad essi e fare un buon lavoro nell'opera di educazione politica e ideologica.


Nel mio discorso alla Conferenza politica consultiva del popolo cinese, nel Capodanno del 1980, ho motivato il bisogno di fare quattro cose, incluso mantenere lo spirito pionieristico di lotta dura. Abbiamo una tradizione di lotta dura. Durante i prossimi sessanta o settanta anni dovremo perseverare nell'educazione al duro lavoro e alla frugalità. Più si sviluppa il nostro Paese, e più abbiamo bisogno di questo spirito. Sin dalla fondazione della Repubblica Popolare, abbiamo sempre enfatizzato il bisogno di costruire il Paese all'insegna di questo spirito. In seguito, quando le cose sono migliorate leggermente, abbiamo incoraggiato un più alto livello di consumi, a cui è conseguita una diffusione di stravaganze e di sprechi in ogni campo. È proprio a causa di ciò, così come del nostro scarso impegno nel lavoro ideologico e politico, e del nostro sistema legale incompleto, che sono emerse la violazione della legge e della disciplina, le pratiche di corruzione, etc. Ho detto ai nostri ospiti stranieri che il nostro più grande errore è stato fatto nel campo dell'istruzione, primariamente ideologica e politica – non solo degli studenti ma di tutto il popolo. Non abbiamo detto loro abbastanza della necessità del duro lavoro, di come era la Cina nei giorni passati e che paese sarebbe diventato. È stato un grave errore da parte nostra.


Che dire dell'altro punto fondamentale, di attenersi alle politiche di riforma e apertura al mondo esterno? È forse sbagliato? Non lo è. Come avremmo potuto ottenere il successo odierno senza la politica di riforma e apertura? Negli ultimi dieci anni gli standard di vita sono stati incrementati in modo considerevole, o in altre parole, la nostra economia è stata portata ad un nuovo stadio. Anche se si sono avuti inflazione e altri problemi, non dobbiamo sottostimare i successi dell'ultima decade. Naturalmente, nel portare a termine queste politiche, in Cina si sono fatte sentire diverse cattive influenze occidentali. Non abbiamo mai sottovalutato questa tendenza. Nei primi anni Ottanta, quando vennero istituite le zone economiche speciali, dissi ai compagni di Guangdong che avremmo dovuto portare avanti due tipi di lavoro contemporaneamente: completare le politiche di riforma e apertura, da un lato, e schiacciare il crimine economico dall'altro, includendo il lavoro ideologico e politico. Ciò è conforme alla dottrina secondo cui ogni cosa ha due aspetti. Ma, guardando indietro negli anni, possiamo notare gli ovvi errori che abbiamo commesso. Non siamo riusciti a dare uguale importanza a entrambi i tipi di lavoro, e non c'è stata una corretta coordinazione tra essi. Ho chiarito questo punto nella speranza che in futuro sarà utile nella formulazione di principi e politiche.


Inoltre, dobbiamo continuare a combinare la pianificazione economica con la azione regolatrice delle forze di mercato. Questo non dovrebbe mai essere messo in discussione. Nella pratica, durante il periodo di riequilibrio prevale la pianificazione mentre, nelle altre circostanze, prevalgono le regole di mercato e vi è maggiore flessibilità. La combinazione di piano e mercato continuerà ad essere portata avanti. La cosa importante è non riportare mai la Cina a essere un paese con le porte chiuse. Una simile politica di chiusura andrebbe a nostro grande svantaggio; non avremmo nemmeno rapido accesso all'informazione. La gente dice che l'informazione è importante, giusto? Di certo lo è. Un amministratore senza accesso all'informazione è come se fosse mezzo cieco, duro d'orecchi e avesse il naso tappato. E per nessuna ragione dobbiamo ritornare alla vecchia pratica di mantenere l'economia sotto un rigido controllo. Desidero che la Commissione Permanente dell'Ufficio Politico studi l'intera questione. È un problema urgente che bisogna affrontare.


Questo è un prospetto del lavoro degli ultimi dieci anni. Le nostre idee fondamentali sono corrette, dalla strategia dello sviluppo ai principi e alle politiche, incluse le politiche di riforma e apertura al mondo esterno. Nei casi in cui i nostri sforzi non si sono rivelati all'altezza, è stato perché non abbiamo fatto abbastanza per l'implementazione di queste politiche. Abbiamo incontrato molte difficoltà sia nella riforma che nel processo di apertura. Per quanto concerne la riforma della struttura politica, una cosa è certa: dobbiamo aderire al sistema di assemblee popolari e non applicare, seguendo il modello americano, la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. È una questione di fatto, non tutti i paesi occidentali seguono questo modello. Gli Stati Uniti ci hanno condannati per aver represso gli studenti. Ma non sono proprio gli Stati Uniti che hanno fatto ricorso alla polizia e all'esercito per affrontare gli scioperi studenteschi e i disturbi, e ciò non ha forse condotto ad arresti e spargimenti di sangue? Loro hanno represso gli studenti e il popolo, mentre noi abbiamo sedato una ribellione contro-rivoluzionaria. Che diritto hanno di criticarci? D'altra parte, dobbiamo accertarci che in futuro nessuna tendenza avversa arrivi a quel punto.


Cosa dovremmo fare da ora in poi? Secondo la mia opinione, dovremmo continuare a seguire con fermezza la linea principale, i principi e le politiche che abbiamo formulato. Non ci dovrebbero essere cambiamenti, eccetto che nella formulazione, se necessario. La questione di cosa fare da adesso in poi è stata posta, e spero che la prenderete attentamente in considerazione. Per quanto riguarda dove dovrebbero essere indirizzati gli investimenti e stanziati i fondi, sono favorevole ad utilizzarli per potenziare l'industria di base e l'agricoltura. Dovremmo incrementare i nostri investimenti nell'industria di base – materiali grezzi e semi-lavorati, trasporti ed energia – e continuare a farlo per dieci o venti anni. E dovremmo continuare anche a costo di indebitarci. Chiedere prestiti è, a suo modo, un modo di aprirsi all'esterno. Al riguardo dovremmo mostrarci più audaci; non faremo nessun errore rilevante. Potremo realizzare molte cose avendo più energia elettrica e costruendo più ferrovie, autostrade e porti. Gli stranieri prevedono che nel prossimo anno avremo bisogno di 120 milioni di tonnellate d'acciaio, mentre la nostra produzione attuale è di 60 milioni, soltanto la metà. Se rinnoveremo le imprese esistenti e produrremo 20 tonnellate di acciaio in più, potremo tagliare le importazioni di prodotti d'acciaio. Chiedere denaro all'estero per questo scopo fa parte della riforma e dell'apertura. La questione che abbiamo davanti non è se queste politiche siano corrette, o se non avremmo dovuto implementarle, ma come portarle a termine, cosa aprire e cosa chiudere.


Dobbiamo portare fermamente avanti la linea, i principi e le politiche formulati dalla Terza Sessione dell'XI Comitato Centrale, ed esaminare attentamente la nostra esperienza, mantenere ciò che è giusto, correggere ciò che è sbagliato e porre rimedio a ciò che è inadeguato. In breve, dobbiamo imparare dal passato e guardare al futuro.


Deng Xiaoping, Selected Works, vol. III, Foreign Languages Press, Beijing, 1994, pp. 294-299

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