Italia, il 5% più ricco possiede lo stesso del 90% più povero. Come siamo arrivati a tutto questo?

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di Sergio Scorza - Contropiano


L’Oxfam*, nel suo annuale rapporto “Bene pubblico o ricchezza privata”, diffuso come ogni anno alla vigilia del World Economic Forum di Davos, scrive che, in Italia, il 5% più ricco degli italiani è titolare da solo della stessa quota di patrimonio posseduta dal 90% più povero e che il 20% più ricco possiede il 72% del patrimonio totale, mentre il 60% più povero ha appena il 12,4% della ricchezza nazionale.

Ma come siamo arrivati a questo fantastico risultato? Con un lungo e meticoloso lavoro di distruzione di tutte le conquiste precedenti, durato 40 anni e portato avanti nei decenni invariabilmente da tutti i governi che si sono succeduti in questo lasso di tempo, con il sostegno attivo delle burocrazie sindacali.

Se facciamo un bel salto indietro nel tempo, ritroviamo quei dirigenti del PCI che, nel 1976, decisero di collaborare con la Democrazia Cristiana e di proporre poi, nel 1978, un proprio ingresso nella maggioranza di governo.

Il ministro degli Interni, Francesco Cossiga, riteneva che la condizione per far entrare il Pci nella maggioranza fosse data “dalla capacità o meno di far accettare alla classe operaia i sacrifici necessari per uscire dalla crisi economica”, ovvero, l’adesione del PCI alla linea di austerità che era stata imposta al paese a partire dal 1976 dal governo Andreotti.

Il 24 gennaio 1978, su la Repubblica, comparve la storica intervista di Scalfari all’allora segretario generale della CGIL, Luciano Lama, intitolata “Lavoratori, stringete la cinghia” in cui Lama si dichiarò in “totale accordo” con Andreotti con queste parole: “se vogliamo esser coerenti con l’obiettivo di far diminuire la disoccupazione, è chiaro che il miglioramento delle condizioni degli operai occupati deve passare in seconda linea”.

Dunque, il lavoro per Lama tornava ad essere una semplice variabile dipendente dal capitale. Fu l’annuncio dell’avvio della così detta “politica dei sacrifici” che portò di lì a poco alla “svolta dell’Eur”, formalizzata nella conferenza sindacale della Cgil che si svolse, per l’appunto, al palazzo dei congressi dell’Eur, nel febbraio del 1978.





La svolta sindacale si realizzò nella Conferenza dei 1.500 delegati che consolidò la linea della moderazione salariale e di una maggiore flessibilità del lavoro con la richiesta di “riforme” nel settore dell’edilizia, dei trasporti, del fisco e della finanza pubblica.

La “svolta” però morì prima della “solidarietà nazionale” che aveva contribuito a preparare, prima che Andreotti rassegnasse le dimissioni a seguito del disimpegno del PCI nel gennaio ’79. Contro di essa si scagliò una parte consistente della base che fece pesare il suo dissenso nel corso della vertenza per i rinnovi contrattuali del ’78-’79.

La nuova linea di PCI e CGIL prevedeva moderazione salariale in cambio di un “programma di investimenti per garantire l’occupazione”.

Dicevano che i maggiori sacrifici dei lavoratori avrebbero permesso ai padroni di accumulare il capitale necessario per gli investimenti e favorire, così, l’occupazione.

Ovviamente la maggiore occupazione non arrivò mai, ma i sacrifici restarono, divenendo anzi una costante nei decenni successivi; e la retorica dei sacrifici in cambio del “miglioramento dell’economia e nell’interesse generale” fu usata per smantellare progressivamente tutto il sistema di diritti conquistato dai lavoratori in precedenza.

Lo avevano capito benissimo gli studenti ed i compagni che avevano cacciato a pedate dall’università di Roma Lama ed i suoi tirapiedi, nel febbraio del 1977.

La fine della “scala mobile” ed il successivo accordo sul costo del lavoro del 1993 tra i sindacati Cgil-Cisl-Uil, la Confindustria e il Governo Ciampi, furono il completamento della svolta dell’Eur, con la definitiva cancellazione della scala mobile e l’ancoraggio dei futuri aumenti contrattuali all'”aumento della produttività”. Un accordo che diede l’avvio ad una sfrenata corsa, da parte dei padroni, all’intensificazione selvaggia dei tassi di sfruttamento ed al crollo verticale di salari e stipendi.
La cancellazione dell’art. 18 dello Statuto del lavoratori, il Jobs Act e lo smantellamento del welfare svenduto alle assicurazioni private hanno fatto il resto ed hanno portato i lavoratori italiani prossimi ad una condizione di semi-schiavitù e ad avere il triste primato delle retribuzioni più basse dell’Europa occidentale, l’età pensionabile più alta e servizi pubblici sempre più cari e scadenti.
 

* Oxfam è una confederazione internazionale di organizzazioni no profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo

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