Jorit, la prof. Di Cesare e la scura notte del liberalismo italiano

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Jorit, la prof. Di Cesare e la scura notte del liberalismo italiano



di Clara Statello per l'AntiDiplomatico

“Non condivido quello che dici, ma darò la vita affinché tu possa dirlo”. Questa massima, erroneamente attribuita a Voltaire, nello scorso decennio era diventata virale tra i liberali, che la utilizzavano a sproposito sui social come bandiera della propria superiorità morale. Dall’estremo sacrificio per difendere l’altrui libertà di espressione alle liste di proscrizione, alle sanzioni per gli artisti e ai licenziamenti per i professori universitari, è bastato un attimo.

Per l’ennesima volta l’ipocrita maschera liberal nasconde il volto schiumoso di rabbia cripto fascista. Una visione alternativa al liberalismo, per i liberali, semplicemente non ha diritto di esistenza. La vice presidente dell’Europarlamento, Pina Picierno, giovedì ha chiesto l’adozione di sanzioni contro l’artista italiano di fama internazionale Jorit. Il motivo? Una foto scattata con il presidente russo Vladimir Putin durante il festival della Gioventù di Sochi.

Oltre alla richiesta avanzata alla Commissione europea e al Consiglio, Picerno auspica che “le amministrazioni pubbliche italiane ed europee revochino immediatamente finanziamenti e commesse”. Gli attivisti di Casa Pound sono su una linea simile. Più o meno contemporaneamente Primato Nazionale, la rivista del movimento postfascista, scrive di aspettarsi “mozioni municipali per far rimuovere le opere di un'”artista” che sta collaborando attivamente alla propaganda filo-russa in Italia”. Il tempismo suggerisce una (neanche troppo) impressionante “corrispondenza d’amorosi sensi” tra l’eurodeputata del PD e l’estrema destra italiana, affratellata con le formazioni più retrive che combattono in Ucraina sotto l’effige dell’esercito di Stepan Bandera.

La campagna d’odio dà immediatamente i suoi frutti: il giorno dopo, l’8 marzo, un murales di Jorit che raffigura una donna palestinese, viene vandalizzato con vernice bianca. Succede ad Ischia. Gli autori si firmano con una bandiera ucraina lasciata a sfregio sul posto, nonostante lo street artist non abbia mai espresso una parola di odio verso gli ucraini. Questo dettaglio insinua un sospetto sui responsabili: nel napoletano risiede una grande comunità ucraina. I contatti tra CPI e i settori più politicizzati della comunità, di ideologia ultranazionalista, sono arcinoti. A pensar male si fa peccato, ma ci si azzecca sempre. Ad ogni modo, la destra radicale e Pina Picerno saranno soddisfatti.

La macchina del fango, naturalmente, non si conclude qua. La Santa Inquisizione dei giornalisti liberal mette in piedi processo mediatico a Jorit. Repubblica dedica due pagine - a firma Castelletti, De Rosa, Cappellini - allo "scandalo" consumato a Sochi. E’ difficile stabilire se questa attenzione sia più preoccupante o più grottesca. L’artista viene definito un fan di Putin, uno strumento della propaganda del Cremlino, un sostenitore dell’invasione russa. E ovviamente viene citato a sproposito Navalny.  Su La Stampa viene definito da Cagliastro “l’amico di Putin”, mentre Jacopo Jacoboni perde il suo tempo a redigere una lista degli agenti del Cremlino (“consapevoli o meno precisa” per non incorrere in diffamazione) di cui, oltre a Jorit, fa parte anche la scrivente, in buona compagnia di Andrea Lucidi, Vincenzo Lorusso, OttolinaTV, Ornella Muti, Al Bano, Alessandro Di Battista, Salvini e altri personaggi a caso più o meno noti.

La gogna mediatica messa in piedi dai soliti paladini della libertà (con il contributo di CPI) si è attivata solo perché Jorit, un antifascista legato ai movimenti di sinistra, ha messo in crisi la principale narrazione della propaganda di guerra. Mostrandosi a fianco del presidente russo, il giovane artista napoletano ne ha infranto il principale dogma: Putin non è Hitler, è un essere umano come tutti noi. Con lui si può parlare, si può dialogare, si può negoziare. La guerra non è la strada per la pace. Chi vuole la democrazia deve essere un costruttore di ponti, non di muri. Deve portare arte, bellezza, amicizia, non armi. Siamo parte della grande tribù umana, restiamo umani.

E’ perfettamente comprensibile che gli attivisti di CPI non condividano questo messaggio. Jorit però è stato bravo a strappare il velo di Maya ai liberali, mostrando che non sono poi tanto diversi dai cosiddetti “fascisti del terzo millennio”.

Impediscono la libertà di esistenza a tutti quei pensieri, tutti quegli intellettuali, artisti, scienziati, gruppi che non si inquadrano all’orizzonte politico UE e nella NATO dell’Italia. Chi si pone fuori dal campo liberale deve pagarne le conseguenze, prima di tutto con la perdita del lavoro. E’ questo che traspare nelle intenzioni dell’eurodeputata del PD Picerno. E’ questo ciò che rischia la professoressa Donatella Di Cesare, accusata di filo-terrorismo per aver scritto un necrologio in morte dell’ex Br Barbara Balzerani.

“La tua rivoluzione è stata anche la mia, le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia, addio compagna Luna”, questa la pietra dello scandalo che scatena una bufera mediatica. .

Il crimine di opinione della Di Cesare è quello di aver mostrato il volto umano e gentile della Balzerani, non la feroce terrorista spinta dal cieco odio antisociale. Il nuovo umanesimo liberale (quello di cui tanto si riempiono la bocca gli eurocrati) non consente neanche una parola di compassione verso i defunti. L’Università La Sapienza valuta misure contro la docente, incluso il licenziamento, mentre il MIUR parla di incompatibilità con l’insegnamento.

Chi attacca Putin per la persecuzione della libertà di pensiero, di stampa e dell’opposizione, non è poi molto diverso dai “dittatori” contro cui si scaglia.

“Le dittature cercano in tutti i modi di promuovere un’arte e una cultura di Stato, che non sono altro che un’arte e una cultura fittizia, di regime, che premia il servilismo dei cantori ufficiali e punisce e reprime gli artisti autentici”, afferma il presidente della Repubblica in occasione della Giornata Internazionale della Donna.

Sembra quasi che Sergio Mattarella stia parlando del crepuscolo della democrazia in Italia, del servilismo degli intellettuali di regime e della corte di nani e ballerine della scena artistica nazionale, talmente inginocchiati e proni al potere da aver rinunciato persino all'ultima arma attraverso cui lo schiavo cerca la libertà: l'ironia.

E invece no, le dittature sono sempre gli altri Paesi. La libertà di opinione, di pensiero, di manifestazione, di ricerca, di stampa sono da far rispettare in Russia, Bielorussia, Cuba, Iran e Cina. In Italia, sebbene i principi di libertà siano incisi con il sangue dei nostri partigiani sulla Costituzione, è la Santa Inquisizione del PD e delle testate di proprietà Elkann-Agnelli a stabilire cosa dobbiamo e non dobbiamo pensare.

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