La guerra «di nuovo tra noi». La stampa italiana ha passato il Rubicone

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La guerra «di nuovo tra noi». La stampa italiana ha passato il Rubicone

 

 

di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Si dividono i titoli dei componimenti da svolgere in classe, ma l'argomento è comunque sempre il medesimo: Mosca non si fermerà all'Ucraina e di sicuro aggredirà qualche altro paese europeo, perché “lo zar” vuole restaurare l'impero – zarista o “sovietico”, per loro non fa differenza – e l'economia russa riesce ormai ad andare avanti solo con la guerra; conclusione: gli europei devono prepararsi alla guerra e spendere in armi ogni risorsa, per “difendersi” dalle mire del “dittatore russo”.

Non passa giorno che i giornalacci di regime non ribattano su questo trito e pericoloso ritornello: «Il dittatore russo ha avuto innumerevoli occasioni di far finire la guerra, e di ottenere compromessi molto favorevoli. Non ha mai voluto farlo perché vuole continuare» (La Stampa; 29 agosto) - a “fare strage di civili ucraini”, si sottintende, nemmeno troppo velatamente - dal momento che il suo è un potere buono solo ad «attingere essenzialmente dal culto bellico»; un «potere così terrorizzante e totale» (idem) che è «difficile fidarsi di Putin», rincara la dose il signor Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (29 agosto).

E a fare da corifeo si presenta in più occasioni l'ex comandante delle forze yankee in Europa, generale Ben Hodges, quello che qualche mese fa dava indicazioni “tecniche” su come distruggere il ponte di Crimea, o che ancora pochi giorni fa parlava di fornire a Kiev missili a lungo raggio per colpire la Russia. Intervenendo ora sulla britannica Times Radio, Hodges ammonisce la “coalizione dei volenterosi” a essere pronti a una contrapposizione militare con la Russia. Rivolto direttamente al pubblico britannico, ha avvertito che «non disporrete a lungo della ricognizione americana... la decisione se coinvolgere la RAF spetterà al vostro Capo di Stato Maggiore... i russi non permetteranno agli aerei NATO di sorvolare lo spazio aereo ucraino. Quindi bisogna essere preparati al fatto che l'aviazione dovrà distruggere le difese aeree nemiche».

Non è da meno l'ex direttore di The Economist e ora editorialista de La Stampa, il signor Bill Emmott, che il 30 agosto, sul foglio torinese, elargisce precise istruzioni di guerra, affermando che Kiev dovrebbe «passare da semplici attacchi sporadici in territorio russo, anche se di successo, a una campagna sostenuta di guerra aerea». Con più missili americani e soldi europei, i nazigolpisti potrebbero «far decollare tale campagna in autunno, ma sarebbe di gran lunga meglio se i Paesi europei potessero fornire a Kiev un numero maggiore dei missili che hanno nei loro arsenali». E parlano di pace, ovviamente.

Dunque: armarsi e prepararsi alla guerra, fin da bambini. Ne dà lezione il signor Marco Bresolin, ancora su La Stampa (29 agosto) che, illustrando le varie “specialità” nazionali di tali “tirocini”, sembra indicare al lettore italiano i diversi modi in cui anche i moderni “avanguardisti” potrebbero allenarsi a imbracciare i moschetti. «Fabbriche di munizioni e di polvere da sparo che aumentano esponenzialmente le loro linee produttive. Confini blindati con campi minati e bunker per la popolazione. Governi che lanciano programmi per insegnare ai civili, bambini compresi, a pilotare un drone. Piani per allestire ospedali militari nei pressi degli aeroporti. E poi i grandi progetti nel campo dell’industria della difesa per arrivare ad avere un unico carro armato e per sviluppare aerei da combattimento di nuova generazione». Se ne parla come si enumerassero piani di incremento della natalità o della scolarizzazione infantile; e invece si sollecita l'adattamento a un futuro letale.

Nessun mistero: le azioni e i superprofitti dell'industria di guerra volano, spinti dai piani e dai proclami guerrafondai dei Macron, Merz, Meloni, Tusk e, in testa, von der Leyen, che proprio il 29 agosto è partita «per un tour che toccherà sette Paesi lungo il confine orientale proprio per vedere come procede la “messa a terra” del RearmEU». Già: il “confine orientale”; perché per i tagliagole euro-militaristi la loro “Europa” finisce là, in Polonia, nei paesi baltici, oltre i quali è schierata la nuova “orda d'oro”, pronta a invadere le pianure europee e dunque, «a prescindere da un eventuale accordo di pace», Mosca costituisce «la principale minaccia per la sicurezza nel Vecchio Continente. Che quindi è chiamata attrezzarsi per erigere le sue barriere protettive». E, notizia che riempie di orgoglio, «la NATO ha confermato che tutti gli Alleati hanno portato le loro spese militari al 2% del Pil», primo passo in vista del traguardo del 5% da raggiungere entro il 2035.

Ma, se per l'Italia ciò significa che stanzierà 45 miliardi per la guerra, attenzione a non rimanere troppo indietro rispetto alla Germania, «Paese in cui sono in corso i maggiori investimenti», capintesta la solita “Rheinmetall”, o addirittura alla Romania, che investe «mezzo miliardo di euro» per produrre polvere da sparo, o alla Bulgaria, in cui «una joint venture da un miliardo consentirà di produrre in loco proiettili d’artiglieria». Ci sono poi i tre Baltici, orientati non solo alla produzione di droni, ma all'addestramento al loro impiego finanche dei bambini, boreali “figli della lupa”. E l'Italia, cosa aspetta? sembra sottintendere il fogliaccio torinese, encomiando la lungimiranza polacca nel dotarsi di uno «Scudo Orientale, un sistema di fortificazioni per blindare tutta la frontiera e prevenire eventuali attacchi», in procinto poi di allestire «campi minati al confine con Kaliningrad», mentre nei “sabati fascisti” addestra i civili a sentirsi a proprio agio con le maschere antigas. E ancora: ecco il progetto “Scaf” franco-britannico; il “Gcap” (Global Combat Air Programme) italo-britannico-nipponico.

In sostanza, ricorda RIA Novosti, negli ultimi tre anni la produzione militare in Europa è aumentata del 31%, raggiungendo i 326 miliardi di euro e il Financial Times rileva che la superficie delle imprese del complesso militare-industriale europeo è triplicata, raggiungendo i 2,8 milioni di mq.

Perché, se guerra deve essere e, prima o poi, sarà senz'altro, parola di Andrius-Merlino-Kubilius, bisogna contare solo sulla loro “Europa”: non c'è troppo da far conto sul famoso articolo 5 della NATO, dice il signor Angelo Panebianco sul Corriere della Sera e bisogna «riflettere sugli strumenti di cui dispone l’Europa per difendere sé stessa in una fase in cui la guerra è di nuovo tra noi».

Insomma, un quadro del tipo di quello che il politologo Sergej Stankevic, su Radio Komsomol'skaja Pravda, descrive come «europeizzazione della guerra in Ucraina avviata da Trump» e che, prima o poi, porterà a un rivolgimento nei regimi russofobi della UE. «Il processo di europeizzazione del conflitto militare è stato avviato», dice Stankevic; gli USA hanno uno «schema classico per uscire da una guerra: prima, si deve in qualche modo “vietnamizzare” o “afghanizzare” il quadro. In questo caso, va “europeizzato”: gli USA prendono le distanze e scaricano le responsabilità. Dopo un po', il regime cliente crolla, magari non subito, ma ciò non riguarda più gli Stati Uniti... L'Europa intende fornire garanzie militari e inviare alcuni contingenti sul posto. Ma lo stato profondo europeo sa che non ce la farà: Kiev cadrà e quello si troverà ad affrontare il suo raccapriccio principale: una Russia nettamente rafforzata. E per adattarsi a una Russia rafforzata, dovrà sostituire le proprie élite».

La guerra «di nuovo tra noi», dice dunque il signor Panebianco, perché le cancellerie belliciste d'Europa, rispondendo agli interessi dell'industria militare, fanno di tutto per prepararla e i fogli di regime, altrettanto bellicisti, fanno di tutto per istillare nelle coscienze il tema della inevitabilità della guerra voluta da un Putin che, «dopo l'Ucraina», non intenda fermarsi, ma «prenda di mira un paese NATO (per esempio, l’Estonia) e che avanzi con i suoi carri armati per una trentina di chilometri in territorio estone» - è questa l'ipotesi, assicura il signor Panebianco, «che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, circola in ambienti NATO». Ma, anche in quel caso, con gli USA che non ne vogliono sapere, «quale altro paese NATO sarà disposto a rischiare l’olocausto nucleare per salvare l’Estonia? L’inazione sarebbe la scelta più probabile».

Ora, dato che «la guerra è di nuovo tra noi», afferma il signor Panebianco e che è «difficile fidarsi di Putin», meglio fidarsi di «chi pensa che l’Ucraina sia solo il primo atto, che l’imperialismo russo non si fermerà e che l’espansione verso Occidente sia parte integrante di un progetto neo-imperiale volto a rimediare alla dissoluzione dell’Unione Sovietica»; una tesi, questa, «confortata dalla conoscenza della storia russa: da Pietro il Grande a Caterina II, dall’Unione Sovietica a Putin». Sarebbe interessante sapere chi siano stati gli insegnanti di quella “storia” imparata dal signor Panebianco, in particolare a proposito dell'espansione “verso occidente” della Russia zarista, per non parlare poi di un presunto “imperialismo” sovietico, tradizionalmente di casa tra “politologi” e “storici” liberal-dozzinali.

A dar fede al Corriere, quindi, «solo il deterrente rappresentato da una credibile potenza militare» potrebbe «fermare la Russia», che senz'altro attaccherà. Dunque, passi che «l’Europa, al momento dell’invasione, fosse psicologicamente impreparata»; la cosa che preoccupa i guerrafondai di via Solferino, è che passati «tre anni di guerra, però, una parte è ancora impreparata». E, dal momento che è «difficile fidarsi di Putin», per trattare con Mosca è d'uopo mettere «una pistola carica sul tavolo... Se accettasse una tregua Putin lo farebbe solo perché la guerra sta mettendo a dura prova l’economia russa. La tregua gli servirebbe per riprendere fiato».

Già, per dire: proprio come ha fatto la loro “Europa” a Minsk a settembre 2014 e febbraio 2015, per “ridare fiato” ai battaglioni nazisti ucraini, praticamente liquidati a Ilovajsk e Debaltsevo e come tenta di fare di nuovo ora, quando ha bisogno di rimpinguare i propri arsenali e “ridare fiato” alla junta nazigolpista di Kiev.

Perché, come nota ancora RIA Novosti, non sarà l'Europa in prima persona a combattere, ma ha bisogno di una rapida militarizzazione per armare l'Ucraina contro la Russia, sapendo di non poter competere con Mosca per potenza militare.

Eccoli, i “volenterosi della pace” europeisti; hanno bisogno della guerra e fanno di tutto per affrettarla, canaglie sanguinarie.

«Altro che fidarsi» della loro “Europa”; vero, signor Panebianco?


FONTI:

https://politnavigator.news/general-ssha-naputstvuet-evropejjcev-gotovtes-voevat-s-russkimi.html

https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2025/08/29/news/putin_illusione_negoziati-15287029/?ref=LSHAE-BH-P1-S1-T1

https://www.lastampa.it/esteri/2025/08/29/news/europa_riarmo_munizioni_droni_confini_blindati-15287080/?ref=LSHA-BH-P1-S1-T1

https://pressreader.com/article/281526527169831

https://politnavigator.news/nam-konec-vstrecha-na-alyaske-vognala-v-uzhas-evropejjskikh-rusofobov.html

https://ria.ru/20250825/evropa-2037322332.html

https://www.lastampa.it/esteri/2025/08/30/news/europa_kiev_missili_lungo_raggio-15288191/?ref=LSHA-BH-P2-S4-T1

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