La tendenza al declino del dollaro e l'ascesa dell'oro
di Domenico Moro
Recentemente si sono verificati degli eventi che confermano la tendenza al declino del dollaro come valuta mondiale di scambio commerciale e di riserva, definita anche come “dedollarizzazione”. Tale processo è sia causa che effetto dell’indebolimento dell’egemonia statunitense, a fronte della realizzazione di un fronte contrapposto all’imperialismo occidentale, rappresentato dai paesi del cosiddetto Sud globale, a partire da Cina e India, che si sono riuniti in organismi come i Brics e la Sco, l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai.
Sebbene non si possa ancora parlare di fine del dominio del dollaro e non ci sia attualmente nessuna valuta, tantomeno una valuta unica dei Brics, che possa sostituire il dollaro come valuta mondiale, l’indebolimento del dollaro è dimostrato dalla prevalenza dell’oro sui titoli di stato statunitensi (i Treasuries) nelle riserve delle banche centrali e dalla decisione dello Zimbabwe, ma anche di altri governi africani, di emanciparsi dal dominio del dollaro.
Dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso l’oro era andato calando nella composizione delle riserve delle banche centrali mentre, all’opposto, il peso dei Treasuries cresceva, fino a che nel 1996 i secondi hanno superato il primo. Nell’agosto 2025, dopo ventinove anni, l’oro ha di nuovo superato i Treasuries, con il 27% delle riserve contro il 23%[i].
Quali sono le cause del sorpasso dell’oro a danno dei Treasuries? Per le banche centrali i Treasuries non sono più titoli privi di rischio sui quali conviene investire. Da una parte, infatti, il debito pubblico statunitense è molto cresciuto, fino a 35 trilioni di dollari, e c’è il rischio di un default tecnico, dovuto all’esistenza di un limite legale al debito, che impedisce al Tesoro statunitense di emettere altri titoli di debito per finanziarsi senza consenso del Congresso. Inoltre, le politiche economiche di Trump, basate sui dazi e su forti tagli fiscali e aumento della spesa pubblica, indeboliscono la posizione del dollaro e dei Treasuries come beni rifugio. Dall’altra parte, pesa il rischio geopolitico: dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, Usa e Ue hanno “congelato” le riserve russe in dollari e Treasuries, per un valore di 300 miliardi di euro, e hanno trasferito all’Ucraina parte degli interessi maturati nel frattempo[ii]. Questo ha significato agli occhi di molti paesi non occidentali che le riserve in dollari non sono intoccabili.
Di conseguenza, le banche centrali di molti paesi emergenti si sono volte, in alternativa, ad acquisti di oro, mentre si liberavano dei Treasuries. Infatti l’oro, a differenza dei Treasuries, non è congelabile da alcun governo. In questo modo, gli acquisti dei paesi emergenti hanno superato le mille tonnellate l’anno, negli ultimi tre anni. La Cina, ad esempio, si è liberata di molti Treasuries e ha fatto massicci acquisti di oro. Oggi, con 2.302 tonnellate di oro, ha scalato molte posizioni nella graduatoria dei paesi che detengono più riserve in oro, posizionandosi al settimo posto. La Russia si è liberata del tutto dei Treasuries e possiede 2.329 tonnellate in lingotti d’oro. Oltre a quanto detto, l’oro è anche un bene rifugio ideale in tempi di alta inflazione, che erode i rendimenti dei titoli di stato. Per tutte queste ragioni l’oro ha progressivamente superato nel 2025 sempre nuovi record, arrivando recentemente a essere quotato oltre 3.600 dollari l’oncia.
Invece, per quanto riguarda i rapporti tra dollaro e Africa, va ricordato che, secondo il Cameroon Economic Policy Institute, quasi la metà del commercio interno all’Africa è fatturato in dollari (secondo altre fonti è il 70%), il 45% dei pagamenti transfrontalieri passa attraverso il sistema interbancario Swift, controllato dagli Usa, e il 60% del debito pubblico è denominato in dollari. Questa dipendenza dal dollaro determina la fragilità delle economie africane nei confronti della politica monetaria degli Usa e dell’apprezzamento del dollaro, nonché le inefficienze tipiche di un mercato interno dominato da una valuta esterna, che determinano 5 miliardi di costi all’anno di conversione da valute forti[iii]. Secondo molti africani, inoltre, il regolamento in dollari degli scambi è inadeguato, anche perché l’interscambio commerciale dell’Africa con gli Usa è di soli 70 miliardi annui, a fronte dei 400 miliardi con India e Cina e dei 355 miliardi con la Ue[iv].
Per tutte queste ragioni, la banca centrale dello Zimbabwe ha dichiarato che entro il 2030 si emanciperà dall’uso del dollaro. Ad ogni modo, a livello generale, fra i governi africani stanno crescendo il dibattito e le azioni per sottrarsi al dominio del dollaro e per la ricerca di alternative. Fra l’altro, oltre che dal dominio statunitense, va rimarcata anche la volontà dei paesi dell’Africa occidentale di affrancarsi dal dominio della Francia, l’ex potenza coloniale, che si esprime attraverso l’adozione del Franco CFA, agganciato all’euro. Infatti, nel 2027 entrerà in vigore nell’Africa occidentale una nuova valuta, l’Eco.
Una delle soluzioni possibili ai problemi legati all’uso del dollaro è un avvicinamento dei paesi africani alla Cina e al polo dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). In particolare, i paesi africani potrebbero volgersi verso i panda bond (titoli di stato cinesi) e convertire parte del debito nella valuta cinese, lo yuan renminbi. Bisognerà anche vedere quale sarà il destino del Pan African Payment and Settlement System (PAPSS), l’infrastruttura digitale creata nel 2022 per consentire pagamenti in valuta locale tra i 50 paesi africani, le cui economie sono sempre più integrate.
A tutto questo, si aggiunge il fatto che, a partire dalla guerra in Ucraina e dalle sanzioni contro la Russia, si è diffuso l’uso di valute diverse dal dollaro (yuan, rupia, rublo e real) nelle transazioni, specie di materie prime energetiche, tra Russia, Cina, India e Brasile. Lo ripetiamo, quanto detto in questa sede non significa che siamo davanti alla fine del ruolo mondiale del dollaro ma piuttosto alla riduzione del suo monopolio, che va di pari passo con l’uso, sempre più diffuso, di altre valute per le transazioni commerciali e dell’oro come riserva delle banche centrali.
La dedollarizzazione, oggi, non è un fatto acquisito ma una tendenza. Tuttavia, si tratta di una tendenza importante, che testimonia come il mutamento dei rapporti di forza tra Occidente e Brics stia procedendo non solo a livello di Pil e produzione industriale ma anche a livello valutario. La realtà che si sta formando sotto nostri occhi, anche a causa delle politiche tariffarie introdotte da Trump, si sviluppa in modo contradditorio e richiede, da parte nostra, l’attenta valutazione di tutte le tendenze che si stanno producendo.
[i] Sissi Bellomo, “Oro batte Treasury: nelle riserve delle banche centrali pesa di più”, il Sole24ore, 3 settembre 2025.
[ii] A. Conner e David Wessel, “What is the status of Russia’s frozen sovereign assets?”, Brookings, 27 June 2025. https://www.brookings.edu/articles/what-is-the-status-of-russias-frozen-sovereign-assets/?utm_source=chatgpt.com
[iii] “Africa Loses $5 Billion Annual Due to Foreign Currency Trade”, KSBC Journal, 17 March 2025. https://ksbcjournal.com/2025/03/28/new-pension-remittance-platform-pencom-sets-june-1-deadline-for-full-compliance/
[iv] Alberto Magnani, “Africa: l’addio al dollaro Usa tra shock di Trump, tassi e integrazione finanziaria”, il Sole24ore, 4 settembre 2025.