Le radici culturali del patriarcato

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Le radici culturali del patriarcato

 

di Giuseppe Giannini

L'autorevole filosofo Cacciari, purtroppo noto per le trasformazioni politiche (da Potere Operaio alla Margherita) , e le ambiguità  – l'attacco al green pass mentre decideva di ricorrere alla terza dose vaccinale - , dice che il patriarcato non esiste più da duecento anni.

Per il ministro dell'istruzione Valditara, invece,  dopo la riforma del diritto di famiglia del '75 è inopportuno parlarne ancora. Il rischio è di farne una questione ideologica. Quest'ultima affermazione unite alle dichiarazioni di altri esponenti del governo secondo cui la maggior parte delle violenze sessuali coinvolgono i migranti, dà il quadro di quanti, anche attraverso la demonizzazione dell'aborto e il sostegno al fanatismo della cd. famiglia tradizionale ( non la loro) vogliono far arretrare la società. Il conservatorismo tipico degli ambienti clericali e fascistoidi, dove viene fatta la predica ai sudditi, che sono meno uguali di quelli dettano legge.

Ora, a parte il fatto che disciplinare delle condotte illecite ed immorali può servire da deterrente ma non elimina il problema, la questione è innanzitutto culturale.

Le opposte fazioni vogliono arrogarsi il diritto di parlare in nome di tutti. E, l'ennesima violenza sulle donne, diventa il pretesto per evitare riflessioni più accurate. La stessa sentenza della Corte di Assise di Milano, che commina una pena esemplare (addirittura l'ergastolo!)  per il brutale femminicidio, facendosi condizionare dalla gogna mediatica in ricorrenza della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, più che una coincidenza, sa di gesto riparatore. Per il singolo caso, poichè attenziona al momento, ma al di là di un eventuale intervento legislativo, che poi richiederebbe misure concrete – fondi per i consultori familiari, un reddito di autodeterminazione, la vigilanza delle forze dell'ordine verso i soggetti destinatari di misure interdittive e cautelari – sono le pseudo motivazioni dietro questi gesti che ci interrogano.

Innanzitutto è il comportamento di chi è bramoso di potere. Voler avere il controllo sulle persone, la disponibilità dei corpi e delle menti, attraverso atti di violenza fisica,  minacce, ricatti. Ed anche la dipendenza economica e le segregazioni. Gelosie che danno luogo ad atteggiamenti morbosi. Frustrazioni, magari conseguenti al senso di inadeguatezza all'interno di un insieme sociale  e lavorativo che mette pressione, in cerca di riparazione rendono oggetto la donna.

Volendo intendere il patriarcato secondo l'accezione classica,  che chiama in causa direttamente i padri, in questo senso il fenomeno è in un certo senso superato, se inquadrato nella dinamica padrone-servo. I diritti e i doveri menzionati dal codice civile (art.143, 144 e 147) portano ad un piano di parità formale, ma nessuno sa cosa accade all'interno delle mura domestiche.  Tuttavia, cercando di approfondire, estendendone il significato a tutte quelle situazioni di dominio su una persona ( ma anche su cose e territori) esso riguarda il potere maschile. Ogni violenza del maschio sull'altro sesso non è semplice degenerazione del suo pensiero (misoginia), ma coinvolge il sistema complesso di regolazione della società fondata sulla proprietà, tipico del capitalismo. L'uomo intende la donna come oggetto esclusivo del suo possesso, qualcosa che gli appartiene o di cui vuole appropriarsi. E, alla quale, non intende rinunciare.

La logica proprietaria produce competizione e violenza. Ed è causa di guerre. Pertanto, ascoltare le esponenti del pensiero liberal, spesso espressioni proprio del potere maschilista di attribuzione, che hanno introiettato per il carrierismo personale  – Von Der Leyen, Metsola, Picierno – parlare in maniera astratta di patriarcato, svincola la portata emancipatrice del femminismo, conducendolo su altre strade più consone a quel potere stesso che dicono di condannare.

Ad esempio, fare il tifo per la guerra è sintomo del machismo; sostenere le poltiche neoliberiste, che delegano i servizi di cura ed assistenza alle donne, ma che sono anche alla base della differenza di retribuzioni va in direzione contraria all'autonomia individuale.

La condizione sociale fa la differenza ancora una volta. Certo, ci sono stati casi eclatanti di violenze riguardanti personaggi di Hollywood, o le compagne di calciatori, ma in genere parliamo di persone indipendenti economicamente e benestanti.

Dopodichè, andrebbe analizzato anche un altro aspetto. Possiamo osservare come nell'ultimo quarto di secolo nella società dei social e di internet, l'immagine e l'apparenza, merce-corpo da esibire e far fruttare, in tanti pensano solo ad esibirsi. Questo non vuole minimente giustificare ogni episodio di violenza, però chi decide di esporsi deve farlo in maniera libera e consapevole. C'è un decadimento generale, relativo al modo di pensarsi, e con esso alle relazioni.

Quando siamo circondati da gente rifatta di qualsiasi età, o che lucrano con le nudità, carne al servizio del miglior offerente, e quando i modelli di riferimento sono appunto persone dalle fattezze rivisitate, che vogliono sembrare eternamente giovani e prestanti, evidentemente c'è qualcosa che non va. Un male radicato all'interno della società del tutto subito, e in disgregazione, che induce a comportamenti fuorvianti, e genera violenza.

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