L’irrealismo del vassallo europeo e la demagogia del grande boss

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L’irrealismo del vassallo europeo e la demagogia del grande boss

 

di Alessandra Ciattini

Sommario: Molte sono le manifestazioni della politica irrealistica dell’Ue: dalla brama di sconfiggere la Russia all’inefficace tentativo di continuare a far parte del ristretto cerchio delle potenze mondiali. In particolare, facendo riferimento ad un’analisi specialistica, l’articolo mostra che essa non è in grado di comprare tutte le risorse energetiche, come la signora van der Leyen ha promesso a Trump. D’altro lato, in questo caso, gli Usa non riceveranno tutto quel denaro con cui il presidente Usa ha cercato di placare il suo ormai disilluso seguito. È il caso di dire: tanto rumore per nulla.  

In varie occasioni ho avuto modo di esprimersi sull’irrealismo della politica euro-atlantica, condiviso da molti, che mi pare decisivo per comprendere l’effettiva raggiungibilità dei suoi obiettivi dichiarati, e sull’immagine fantasiosa che questi leader da due soldi hanno di loro stessi e di una civiltà ormai agli sgoccioli, alimentata dal meccanismo psicoanalitico della negazione, in base al quale quanto è spiacevole e inaccettabile viene cancellato o rimosso. Per questi ridicoli e patetici personaggi la Federazione russa deve essere esclusa dal cosiddetto mondo civile, e quest’ultimo deve rinunciare ad intessere relazioni con la Cina e con gran parte del Sud globale, a meno che questi paesi non facciano atto di piena sottomissione e di vassallaggio.

Eppure non è che manchino analisi e dati su tutti questi temi cruciali (come nel caso delle fantomatiche terre rare in Ucraina), basterebbe informarsi e documentarsi, ma sembra un’impresa troppo difficile per personaggi abituati a improvvisare e a farsi fotografare felici vicino al loro papy, così Rutte ha chiamato il grande Trump. Ma purtroppo i peones europei si rifiutano di vedere le contraddizioni dei loro progetti: la guerra in Ucraina è perduta, Trump si svuole sfilare e lasciare il carico del conflitto ai suoi subalterni (sempre con qualche giravolta), che da soli non sono in grado di far nulla, nonostante tutta la loro ingiustificata russofobia. D’altra parte, gli Usa si trovano di fronte a un groviglio di problemi assai difficili da risolvere: riconquistare l’egemonia (almeno nelle intenzioni), confrontarsi a suon di rumorose minacce con giganti come la Cina e l’India, continuare a sostenere Israele ormai allo sbaraglio, affrontare la grave crisi interna, continuare a cercare di destabilizzare la Russia, suscitando conflitti ai suoi confini e tutto ciò senza una strategia lucida e chiara. Del resto, chi vende mattoni e grattacieli, ha fatto il playboy per lungo tempo, gioca a golf, coltiva vari diletti può di punto in bianco trasformarsi in uno statista solo perché è un miliardario, nonostante i suoi noti fallimenti finanziari?

Il noto analista novergese Glenn Diesen ha recentemente scritto: “Europe will spend $100 billion it does not have, to buy weapons from America that it does not have, to arm soldiers that Ukraine now lacks. This is to confront Russia, which for 30 years warned it would respond to NATO militarizing its borders”.

Se la classe dirigente europea fosse saggia, smetterebbe di istigare l’Ucraina alla guerra, anche perché non la può sostenere in questa impresa, si preoccuperebbe di ricostruire il paese, evitando un’ulteriore fuga in massa dei suoi abitanti, e accetterebbe di trattare sul tema della Sicurezza indivisibile e reciproca, come richiede la Russia e come è previsto da numerosi trattati, del tutto ignorati.

Inoltre, essa dovrebbe anche tenere conto del fatto che (altra macroscopica contraddizione), per ricostruire il loro sistema armamentistico, in parte devoluto all’Ucraina e in parte obsoleto rispetto a quello russo, gli Usa  hanno bisogno di materie prime che solo la Russia e la Cina possono loro  fornire. Evitando minacce e parole grosse (can che abbaia non morde), quest’ultima si sta disfacendo del debito pubblico Usa e nello stesso tempo lo scorso 4 aprile 2025 ha introdotto restrizioni all’export di sette terre rare e magneti utilizzati nei settori della difesa, dell’energia e del settore automobilistico, per rispondere all’aumento dei dazi statunitensi su prodotti cinesi.

Non temendo di apparire ridicolo, il Parlamento europeo, sempre ostile alla Cina, considera ingiustificate le misure cinesi, perché il grande paese ha pressoché il monopolio di queste materie, che a dire dei geni europei dovrebbe condividere con i suoi inconsistenti avversari. I deputati europei sono anche preoccupati perché la Cina ha dichiarato che renderà note le informazioni su chi chiederà il permesso all’importazione, e ritengono indispensabile concludere accordi bilaterali con paesi che rispettino standard elevati in materia di sostenibilità ambientale e diritti umani, il richiamo ai quali non manca mai.

Ovviamente sulla questione è intervenuto anche il presidente Trump, tronfio di quelle che lui considera vittorie diplomatiche come il teatrale vertice in Alaska, il quale dopo aver prorogato di 90 giorni la scadenza dei dazi alla Cina (sino al prossimo 10 novembre) con il solito pressapochismo ha ingiunto al paese asiatico di fornire agli Usa più magneti o “dovremmo imporle tariffe del 200% o qualcosa del genere”. Così scrive il 25 agosto Al-Jazeera, la quale rimarca che Pechino domina il 90% del mercato mondiale dei magneti, un settore fondamentale per prodotti chiave, tra cui i chip semiconduttori utilizzati in prodotti come gli smartphone, armi, prodotti altamente tecnologici. Questa stretta, poi addolcita, ha fatto crollare le azioni di Intel, corporazione nel settore informatico, il cui 10% è stato comprato dal governo Usa per sostenere la grande impresa troppo dipendente dalla produzione cinese e che ha già programmato numerosi licenziamenti.

Del resto, questo è uno dei tanti segni del declino Usa, documentato anche da un recente sondaggio presentato a giugno dalla Federal Reserve di Atlanta, secondo la quale le imprese dell’ex invincibile paese avrebbero scaricato circa metà dei costi tariffari sui consumatori, aumentando così i loro prezzi. Inoltre, i dati del Dipartimento del Lavoro informano che gli Stati Uniti hanno perso 14.000 impieghi nel settore manifatturiero dopo l'introduzione dei dazi da parte di Trump nel celebre giorno della “liberazione”; dazi la cui necessità, legata a un ipotetico stato di emergenza dichiarato da Trump, sarà valutata da una corte di appello. In totale, nel mese di agosto la perdita complessiva dei posti di lavoro nel grande paese ammonterebbe a 744.000 unità da aggiungersi a tutti quei lavoratori che, con il salario percepito e bloccato nonostante l’inflazione, non riescono a vivere.

Ma torniamo ai geniali leader europei e esaminiamo nel dettaglio uno degli aspetti più importanti del discusso accordo energetico tra Usa e Ue, il quale prevede che quest’ultima nei prossimi tre anni (fino al 2028) provveda ad acquistare dal suo padrone prodotti energetici (gas naturale, petrolio, combustibile nucleare e reattori) per un valore di 750 miliardi di dollari. Si tenga conto che nel 2024 gli Usa hanno esportato nell'UE circa 70 miliardi di dollari in prodotti energetici e che probabilmente tra il 2026 e il 2028 le esportazioni di petrolio e gas naturale verso gli Stati europei giungeranno a circa 207 miliardi di dollari. Pertanto, per obbedire al comando, l'UE dovrebbe più che triplicare le sue importazioni di energia (circa 250 miliardi l’anno) dalla traballante grande potenza per raggiungere l'obiettivo impostole.

Domanda: l’Ue sarà in grado di rispettare l’impegno preso dalla rassegnata e sottomessa Ursula nel lussuoso campo da golf scozzese di proprietà del suo boss? Quest’ultima ha subito dichiarato che tale decisione ha lo scopo di recidere tutti i legami di dipendenza energetica con la Russia, facendo diventare, tuttavia sempre, l’Unione più dipendente dagli Usa, in cui la produzione di gas con il fracking è in declino a causa dell’aumento dei costi degli impianti, senza poi menzionare il suo grave impatto ambientale.

Una ricerca elaborata dall’American Action Forum, organizzazione di centro-destra fondata nel 2010, sostiene che è altamente improbabile che la Ue possa rispettare i patti. Vediamo per quali  ragioni. In primo luogo, al momento ancora non è stato ancora siglato un accordo commerciale formale o giuridicamente vincolante, che dovrebbe risolvere numerose questioni controverse. Stabilita la cornice giuridica, i paesi membri della Ue dovrebbero ratificare l’accordo per renderlo effettivo e funzionante; cosa non facile a causa dei dissidi laceranti che li contrappongono.

Bisogna anche tenere conto del fatto che Il commercio tra gli Usa e la UE di prodotti petroliferi e di gas naturale è determinato da tre fattori: la richiesta energetica europea, l’offerta di produzione energetica del venditore e infine dall’andamento del mercato mondiale del petrolio e del gas. E certamente la Commissione Europea non può obbligare le sue imprese a comprare certe quantità di prodotti energetici imponendo anche da chi comprarli.

Queste imprese hanno stipulato contratti a lungo termine con altri paesi, come per esempio la Norvegia e il Kazakistan, e certamente non hanno intenzione di romperli, anche perché in questo caso dovrebbero pagare salate penali. Inoltre, per incrementare questo commercio, non certo favorito dalla pesante crisi in cui versano gli Stati europei, gli Usa dovrebbero costruire nuovi terminali di esportazione GNL assai costosi  e che non possono essere allestiti in tempi brevi. Ancora più problematica è l’importazione di prodotti nucleari, per la semplice ragione che gli Usa sono tra i maggiori importatori di uranio (non esportatori) e intendono anche rilanciare l’impiego di questa energia.

Un ulteriore aspetto problematico della questione sta nel fatto che, dall’avvio dell’operazione speciale in Ucraina, l'UE ha già ridotto le sue importazioni di energia dalla Russia da 124 miliardi nel 2022 a 25 miliardi di dollari nel 2024. Se dovesse  rinunciare anche a questa ultima tranche e sostituirla con prodotti statunitensi, aggiungerebbe solo altri 20 miliardi all’anno alla spesa. Spesa che  - come ci ricorda il Prof. Volpi – costituirà un salasso per il nostro paese, che già paga tantissimo per l’energia prodotta sia dal gas americano (il 40% più caro di quello russo) sia dalle rinnovabili, che ci vengono fatta pagare al costo altissimo del primo.

Per tutte queste ragioni, pur non menzionando il fattore “grave crisi economica” che sta impoverendo sempre più l’Europa e che certo non agevola l’espansione dei consumi, gli estensori dell’analisi ritengono assai improbabile che l’accordo vocale preso nella brumosa Scozia si trasformi in qualcosa di concreto.

Tuttavia, essi trascurano un ulteriore aspetto da non sottovalutare: la vendita clandestina di energia, probabilmente difficilmente quantificabile, che avviene in mare aperto attraverso il trasferimento di petrolio russo o almeno di origine russa a navi intestate a società private, che poi lo rivendono a prezzi più bassi di quello Usa. Non si tratta di mere chiacchere tanto che, per quanto riguarda il nostro paese, la Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Catania ha dato il via ad un’inchiesta. Se questo commercio assai difficile da controllare continuasse a prosperare, parte degli investimenti europei in energia seguirebbero ad esser dirottati verso la Russia.

Come ricaviamo sempre da Al-Jazeera, da notare che uno degli attori principali dell’importazione del petrolio greggio russo via mare è il gruppo indiano Reliance Industries (RIL), guidato dalla persona più ricca dell'Asia, Mukesh Ambani e che le importazioni di questa materia prima da parte dell’India sono aumentate dal 3% del 2021 al 50% di agosto 2025. A ciò aggiungiamo che l’India non si è fatta intimidire dalla sanzioni indirette imposte da Trump (50%), giacché coltiva buone relazioni con la Federazione russa, da cui compra gran parte del suo equipaggiamento militare.  Pertanto, se da un lato l’Ue non sarà nelle condizioni di fare gli acquisti energetici spropositati imposti da Trump e da chi per lui, anche l’altra faccia della medaglia non è soddisfacente per il dionisiaco Narciso, come lo definiscono alcuni riferendosi alla molto più seria mitologia greca: non riceverà tutti i miliardi che aspettava, a suo dire, a beneficio del popolo americano.

Se poi pensiamo ai risultati dello spettacolare incontro Putin-Trump in Alaska, già ricordato, che secondo anche i più fedeli trasmettitori della politica euroatlantica, sono nulli per quest’ultimo, comprenderemo che l’irrealismo europeo si coniuga tristemente con la grottesca demagogia di un pericoloso personaggio convinto che lusinghe, minacce urlate e gesti teatrali possano raggiungere qualche obiettivo, probabilmente solo quello di garantirgli la permanenza sulla scena dello spettacolo mondiale.

È proprio il caso di dire: tanto rumore per nulla, se non la nostra permanenza in una strada senza uscita. 

 

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