L’origine imperialistica dell’assalto alla Russia. Verso l’allargamento del conflitto ucraino?

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L’origine imperialistica dell’assalto alla Russia. Verso l’allargamento del conflitto ucraino?


di Alex Marsaglia

Mentre la russofobia in Italia si estende ormai non solo alla caccia ai celebri autori, così era partita nel marzo 2022 alla Bicocca con la censura del Dostoevskij di Paolo Nori, ma all’aperta persecuzione di qualsiasi artista di etnia russa come è accaduto nelle ultime ore a Gergiev a Caserta e a Romanovsky a Bologna. Occorre ricostruire le motivazioni profonde di questo preciso indirizzamento d’odio. L’annullamento delle esibizioni sulla base di ragioni etniche rientra nell’etimologia di “razzismo”, fino a diventare vero e proprio progrom da parte degli ucraini che hanno promosso raccolte firme e iniziative per bloccare la libera manifestazione di pensiero garantita dalla Costituzione Italiana e da tutte le Convenzioni per i diritti umani vigenti sul nostro territorio nazionale. Ebbene, le radici di un simile odio provengono da precise motivazioni economico-sociali. La crescente accumulazione di capitale del centro capitalistico occidentale, che negli ultimi anni è sfociata in più crisi sistemiche, ha determinato un vorace bisogno di espropriazione di materie prime al fine di ostacolare con rendite crescenti una tale caduta economica. In sostanza, il capitalismo occidentale sta cercando una via d’uscita sicura, mettendo in gioco la vecchia accumulazione per espropriazione, contribuendo a militarizzare sempre più il pianeta al fine di salvarsi.

Ovviamente la localizzazione di questo scontro non è affatto casuale, poiché Russia, Cina e Iran non rappresentano solo territori ricchissimi di materie prime per le corporation occidentali, ma sono anche, nell’analisi concreta della situazione concreta come direbbe qualcuno, un modello politico-sociale alternativo. Infatti, se in Occidente, a dispetto del velo democratico, si vive ormai sotto il modello unico neoliberista che cannibalizza le risorse statali a favore di quelle private operando la famosa “socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti”, in Oriente vige una «formazione sociale», cioè «un complesso organizzato di parecchi modi di produzione», totalmente differente dalla formazione sociale capitalistica centrale che è invece «fondata sull’allargamento e l’approfondimento del mercato interno» che determina lo sfruttamento delle formazioni periferiche. Così in definitiva ci troviamo di fronte «il modo capitalistico, dominante, che sussume gli altri e li trasforma, li priva della funzionalità loro propria  per sottometterla alla sua, senza per questo distruggerli completamente».

È evidente come l’Impero del caos negli anni seguenti al 1989 abbia operato, con il braccio armato della NATO, attuando tali obiettivi di sottomissione allo sfruttamento e al sottosviluppo, sussumendo intere nazioni al proprio modello economico predatorio neoliberista. L’accumulazione per espropriazione è stata portata anche in Russia, dove durante il crollo dell’Unione Sovietica è stato cannoneggiato il Parlamento e durante la Presidenza Eltsin è stata fatta razzia di ogni bene pubblico e risorsa comune. Ciò che ha contraddistinto la Russia dagli altri Paesi vittime di quell’attacco cannibalesco è stata la capacità di reazione, avvenuta sostanzialmente da parte dell’establishment sovietico che non era morto del tutto. La stessa Russia è consapevole oggi più che mai del pericolo avendo avuto un assaggio di cosa sarebbe il neoliberismo e di essere un appetitoso obiettivo, proprio per aver costituito un sistema di difesa a quel primo assalto neoliberista predatorio. Lo stesso Putin ha chiarito ultimamente di non aspettarsi “miracoli” dalle trattative di pace in corso in Ucraina. In Russia lo sguardo verso Occidente è ormai disincantato e non si nutrono più illusioni: troppo profonde le cicatrici degli atti predatori subiti e delle menzogne sugli accordi internazionali. 

Infatti, come ricordava Amin nel suo ultimo profetico libro: «la Russia, nonostante la sua scelta capitalistica, rimane un nemico potenziale nella misura in cui rifiuta di accettare lo status di periferia colonizzata che le potenze della triade vogliono imporgli». Di qui la scelta dell’Operazione speciale in Ucraina, per “denazificarla”: lasciare passare il nazismo in Ucraina avrebbe voluto dire lasciar vivere la Russia con una spada di Damocle sul capo.

Non bisogna dimenticare che è il regime politico di Zelensky ad essere l’autocrazia, avendo sospeso le elezioni ed essendo passato alla coscrizione forzata per supplire alla carenza di carne da cannone. La popolazione ucraina solo oggi sembra risvegliarsi, dopo essersi decimata negli anni del post-89 e ancor più velocemente dal 2014. Solo oggi infatti, dopo aver perso oltre 13 milioni di cittadini dal 1991 per via della denatalità e oltre 7 milioni solo dall’inizio dell’aggressione del governo centrale al Donbass, iniziano a scendere in piazza in massa gli ucraini per la nuova legge del regime che indebolisce le agenzie anticorruzione. La popolazione si raduna e lo fa nonostante la repressione brutale: i partiti politici sono stati chiusi d’imperio, compreso il Partito Comunista, arrestati gli esponenti di partito e chiusi i giornali, ma questo non viene detto dai nostri cantori delle delle libertà occidentali.  

Dall’altra parte resta una Russia che sta avanzando nella sua Operazione militare speciale, tale obiettivo è stato perseguito sinora in nome della denazificazione del regime che ha tirato dentro di sé Pravy Sector e tutti i bandiresti che i nostri definivano “estimatori di Kant”. Questo però potrebbe non bastare, vista la spinta ormai sempre più esplicita e formalizzata che viene data da NATO e Ue al regime ucraino in rotta. E soprattutto data la capacità dimostrata dalla NATO di attivare gli altri Stati nati dalla dissoluzione sovietica, come cluster in grado di destabilizzare il fianco russo, un’attivazione che segue per filo e per segno la politica estera nazista che vedeva come alleati Finlandia, Polonia e Repubbliche Baltiche, ieri come oggi alleate per il Lebensraum europeo. 

Come ricordava Amin nella sua ultima analisi, proprio sull’assalto alla Russia: «I poteri della triade non hanno mai promosso la democrazia in nessun luogo. Al contrario, hanno sempre sostenuto i più accaniti oppositori della democrazia, compresi i fascisti». «Questo è un momento drammatico. Il nuovo imperialismo è ancora all'offensiva, anche se sta perdendo vigore e si sta impantanando in conflitti che non è stato in grado di controllare», e le linee di faglia sono chiaramente identificabili sin dal 2016, anno della sua ultima pubblicazione, poiché «l'offensiva contro la Russia, iniziata con il tentativo di colonizzare l'Ucraina, è al suo apice. Ma non è l'unica. Il conflitto con la maggiore potenza emergente, la Cina, è latente. L'offensiva degli Stati Uniti e dei suoi alleati europei subalterni richiede la distruzione sistematica del mondo arabo, dell'Iran e, oltre a ciò, del mondo musulmano dell'Asia e dell'Africa subsahariana».

Insomma, seguendo il del lavoro di Amin possiamo dire che qualsiasi stato-nazione che si identifichi come una formazione sociale con un livello di statalismo più elevato, in cui le risorse vengano gestite e amministrate dallo Stato non in diretto e funzionale interesse delle aziende private multinazionali ed estere è visto come un nemico del modo di produzione capitalistico e non fa altro che riprodurre la “vecchia conflittualità con l’Unione Sovietica” che, come ha ricordato Putin nella sua ultima intervista, “sembra non essersi mai spenta”. La crescente cooperazione di queste forze nei BRICS, che negli ultimi anni di assalto imperialistico alla Russia hanno accelerato nella dedollarizzazione, ha poi fatto il resto, avendo scatenato di contrappunto la furia della guerra commerciale trumpiana. Una guerra che seppur nata da intenti assolutamente difensivi per il mercato interno statunitense, non farà altro che creare nuova conflittualità a livello internazionale. Soprattutto si deve tener conto che i dazi colpiranno anche i quisling europei così assorti nella guerra e devoti alle più strenue politiche sanzionatorie sul piano economico proprio nei confronti della Russia. Ora queste forze collaborazioniste europee si troveranno ad essere frustate dal padrone americano, come schiavi improduttivi in una sua piantagione di cotone e probabilmente riverseranno tali rincari, oltre che in nuovi tagli ai servizi sul piano interno, in nuove sanzioni ed espropriazioni alla Russia. Il lettore potrà capire come, nel contesto attuale, il cappio economico alla Russia si stringerà sempre più. La cultura, dal canto suo, da troppo tempo omologata, non farà altro che seguire il passo con ulteriori ondate di russofobia, sinofobia e islamofobia in vista di un allargamento del conflitto europeo che potrebbe essere dietro l’angolo con la capitolazione ucraina, soprattutto se questa dovesse avvenire in maniera scomposta.

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