Multipolarismo in marcia: l’effetto della vittoria russa
di Alex Marsaglia
Gli eventi delle ultime ore rivelano la vittoria russa sul campo del conflitto ucraino. Il tentativo di Trump con il suo piano in 28 punti di far riprendere il volo alla colomba della pace è stato di fatto sabotato dall’Unione Europea che ha elaborato un suo contro-piano. La mediazione tra questi due piani è poi avvenuta a Miami, con il Segretario neocon Rubio che ha messo assieme la proposta da portare a Mosca. Il 2 Dicembre il delegato americano Witkoff, introdotto dal delegato russo alle trattative Kirill Dmitriev, ha presentato le proposte direttamente al Presidente Putin che aveva già messo in chiaro i punti chiave con i quisling europei poche ore prima, mentre alla delegazione americana veniva fatta fare anticamera dopo una fresca passeggiata per la Piazza Rossa.
Infatti, prima di sedersi alla tavola rotonda delle trattative - in cui è plasticamente risaltata la differenza abissale con un Macron tenuto a debita distanza, poiché disposto a sedersi a quel tavolo solo per intavolare uno scontro frontale - le cose sono state subito messe in chiaro davanti alla stampa: “se l’Europa inizia una guerra con la Russia, presto non ci sarà nessuno rimasto con cui negoziare” e “se l’Europa inizia una guerra, la Russia è pronta subito”. Insomma, la Russia non è in guerra, sta portando a termine l’Operazione Militare Speciale per liberare il Donbass e la Crimea e denazificare l’Ucraina, dimostrando disponibilità a trattare con chi vuole riconoscere questi elementi, ma se all’Unione Europea non sta bene e ha intenzione di intervenire direttamente contro la Russia per via militare così sia. Come è stato rimarcato più volte questa diventerebbe una vera e propria guerra, senza gli accorgimenti dell’Operazione Militare Speciale in termini di estensione dei bombardamenti e loro precisione chirurgica su obiettivi militari.
Gli americani oggi hanno ben capito che il punto di discrimine è la cosiddetta “integrità territoriale” dell’Ucraina che non esiste più dall’autodeterminazione della Crimea e del Donbass avvenute tra il marzo e il maggio del 2014 tramite i referendum. L’élite dell’Unione Europea che mosse ai tempi il golpe di Euromaidan, assieme ai neocons e ai democratici americani, ancora oggi non se n’è fatta una ragione e continua a richiamarsi a un non ben precisato diritto internazionale che vieterebbe l’autodeterminazione dei popoli per mezzo dell’acclamazione popolare referendaria. Questa posizione è degenerata dalla decisione della Russia di intervenire in difesa delle popolazioni secessioniste che venivano massacrate dai battaglioni nazisti Azov, Aidar e dalle milizie di Pravy Sector portando l’Unione Europea ad approvare piani di spesa militare sempre più ingenti.
Un keynesismo militare sempre più imponente si è sbilanciato verso la contribuzione europea con il progressivo ritiro degli Stati Uniti di Trump, arrivando fino al Piano di Difesa presentato lo scorso Ottobre dalla Commissione Von der Leyen di 6.800 miliardi di euro entro il 2035.
Con un simile impegno di spesa, la progressiva militarizzazione e la chiusura repressiva l’Unione Europea si è configurata sempre più come macchina bellica e vero e proprio braccio armato in grado di arrivare laddove Stati Uniti e NATO non sembrano più intenzionati ad arrivare. La nuova trazione baltica dell’UE con Kaja Kallas alla Vicepresidenza della Commissione si è totalmente dimenticata la diplomazia e ha sempre più esteso le minacce. È evidente che la Russia, con i due precedenti fallimenti importanti degli accordi di Minsk 1 e 2, non si fidi più di avere come interlocutori il regime di Kiev e quello dell’Unione Europea. Già perché, pur non sapendo cosa si siano detti a Mosca il 2 dicembre, sappiamo con certezza che è stato immediatamente annullato l’incontro previsto dalla delegazione Witkoff a Bruxelles in cui avrebbe dovuto riportare la posizione russa alla “controparte” ucraina ed europea. Evidentemente i russi hanno fatto sapere che l’Ucraina di Euromaidan e l’UE non sono riconosciuti come controparte di un accordo di pace: se la pace ci sarà, una volta liberato il Donbass e abbattuto il regime neonazista ucraino, verrà firmata con gli Stati Uniti di Trump e basta. D’altra parte le condizioni sul campo impongono sempre più una resa che assume gli aspetti di una disfatta per il regime ucraino. Difficile pensare possano salvarsi le élite che dovranno fare i conti con la loro Caporetto. Tanto più che questi vertici risultano sempre più distaccati dal popolo che viene chiamato ai sacrifici, immischiati in una corruzione ramificata che da Kiev nelle ultime ore è approdata sino a Bruxelles, coinvolgendo nientemeno che la nostra ex lady PESC (Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari Esteri e la Sicurezza) Federica Mogherini che proprio nel 2014 si distinse per il sostegno al Presidente ucraino golpista Petro Poroshenko e per la promozione delle prime storiche ondate di sanzioni alla Russia. I mandati di arresto al momento colpiscono soggetti che circondano da vicino i leader al potere, ma nelle prossime ore capiremo realmente la serietà di queste inchieste dal coinvolgimento o meno dei leader stessi.
La strada della Russia invece è l’unica ad essere segnata indipendentemente dal buon fine o meno degli accordi di pace in Ucraina. I suoi legami con l’Oriente sono infatti stati ulteriormente saldati nelle ultime ore, rilegando l’UE a sconfitta in una periferia sempre più povera ed emarginata. La Russia poche ore prima dell’incontro di Mosca ha infatti abolito i visti per i cinesi che vorranno entrare nel territorio nazionale, dando un enorme polmone demografico alla sua economia che è in fase di sviluppo su di un territorio vastissimo per una popolazione che fatica ad espandersi su un’estensione simile. La Duma ha anche approvato l’accordo intergovernativo con l’India sull’invio di materiale militare e da combattimento sui reciproci territori. E Ushakov ha rivelato che tra gli obiettivi della visita di Putin in India del 4 e 5 dicembre vi è la firma di 10 accordi intergovernativi e 15 accordi commerciali per stringere ancor più saldamente i due sistemi politico-economici. Significativo è anche il rifiuto di Putin a rientrare nel G8, ribadito anch’esso nelle ore precedenti all’incontro di Mosca. Questo anche se dovesse andare in porto la pace con Trump. La Russia è infatti focalizzata sui BRICS per trainare il multipolarismo fatto sorgere nel fuoco delle lotte commerciali e degli accordi economici, monetari e militari di questi ultimi anni e non è più interessata al G8 che sempre secondo Putin “non rappresenta più le economie più industrializzate del pianeta” . Il fatto che la Russia stia uscendo da posizioni di forza dal conflitto ucraino rinvigorirà il nuovo ordine multipolare aiutando il Sud Globale all’emersione da una posizione di dipendenza cronica dal centro dell’impero a cui era stato costretto negli anni dell’unipolarismo. Gli Stati Uniti a differenza dell’Unione Europea reggeranno la competizione, ritirandosi in tempo per non accollarsi gli oneri di guerra e guadagnando il margine per continuare a porsi come potenza.
L’UE marcescente e putrefatta invece rischierà seriamente di mettere a repentaglio la propria tenuta. Già oggi rivela la sua essenza più brutale di totalitarismo liberale in cui il comunismo è equiparato al nazismo e in cui si procede alla censura dietro al fantomatico Scudo Democratico e persino la repressione diviene uno strumento legittimo e sdoganato apertamente. A tal proposito oggi è stato messo fuori legge in Polonia il Partito Comunista, che resta invece attivo e libero di fare opposizione in Russia a dispetto della propaganda sul sistema autocratico russo rispetto al grande multipartitismo occidentale, che però viene sistematicamente disertato dagli elettori.

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