Omicidio Charlie Kirk. Prosegue la scia di sangue lib-dem
di Alex Marsaglia
Con l’omicidio del leader MAGA Charlie Kirk avvenuto il 10 Settembre durante un convegno nello Utah della sua Associazione Turning Point, il Deep State americano lancia un messaggio minatorio potentissimo a Trump.
Kirk aveva fondato Turning Point nel 2012, girando il Paese negli ultimi 13 anni per disvelare tantissime fandonie dell’ideologia dominante: dal lockdown e il Covid, al greenwashing, sino alla denuncia dei brogli elettorali che hanno portato alla presidenza Biden. Le dinamiche dell’assassinio sono le stesse del celebre attentato a Trump, con un cecchino a 200m di distanza che ha colpito nell’indifferenza totale del servizio di sicurezza.
Le celebri falle denunciate da Trump permangono, volutamente. Insomma, il Presidente americano continua a non dormire sonni tranquilli poiché il Deep State che lo ha letteralmente messo nel mirino da anni, non molla la presa e fa piazza pulita degli elementi più radicali che lo circondano a scopo intimidatorio. L’obiettivo è chiaramente tenere nel binario liberal-democratico la politica conservatrice di destra di Trump che lotta per far uscire gli Stati Uniti dall’ordine politico strutturato sulla globalizzazione dei mercati. Il Presidente americano è attualmente impegnato in una battaglia durissima contro il Deep State per riportare l’economia sotto il controllo politico democratico, scardinando la base ideologica neoliberista che prevede la distinzione tra economia e politica per fondare il dominio tecnocratico.
Parallelamente, le politiche nazionaliste e isolazioniste statunitensi di Trump cercano di portare gli Stati Uniti fuori dal dominio globale del capitale esercitato tramite la divisione internazionale del lavoro. Il potere non può permettersi una scheggia impazzita della portata degli Stati Uniti, per cui tenterà con ogni mezzo di normalizzare Trump. Come spiegava Nicos Poulantzas «lo Stato capitalistico si attribuisce la funzione di creare “l’unità borghese della nazione”», per cui «il potere istituzionalizzato corrisponde precisamente al fatto che esso costituisce un potere univoco delle classi o frazioni dominanti»[1]. E attualmente le classi dominanti statunitensi avversano Donald Trump per il suo tentativo di arginare il progressivo impoverimento dettato dalla delocalizzazione e deindustrializzazione.
Gli Stati Uniti in particolare, e l’Occidente intero in generale, vivono all’interno di una fortissima tensione politica tra spinta democratica populista dal basso e autoritaria tecnocratica dall’alto. Quest’ultima forza è apertamente incarnata da ciò che Trump ha inquadrato come Deep State e altro non è che l’apparato repressivo dello Stato borghese marxiano che serve a mantenere il dominio di classe. Un apparato che opera ormai apertamente sempre più a volto scoperto, essendo l’Occidente in una crisi profonda e non da oggi. Le raffinatezze egemoniche del potere cadono sempre più e si passa ad esercitare la forza bruta del dominio.
Se fino a qualche anno fa, che potremmo stimare a prima della crisi dei debiti sovrani europei, vi era “solamente” una democrazia formale, che non attuava la sua sostanza democratica agendo opportunamente con le politiche sociali previste per realizzare tale democrazia nella società. Ora, dal dominio tecnocratico-bancario instaurato con il celebre “Colpo di Stato di banche e governi” - denunciato nell’omonimo saggio di Luciano Gallino del 2013 - vi è un attacco diretto e frontale alle forme stesse della democrazia in Occidente. Lo abbiamo visto con i “golpe bianchi” in Italia di Monti e Draghi, due governi tecnici nel giro di pochissimi anni legittimati nei modi più costituzionalmente originali - lo “spread” il primo e “l’emergenza sanitaria-guerrafondaia” il secondo - per tenere l’Italia nell’Unione Europea e nell’euro ancora un po’. Tale forzatura è ancor più evidente negli ultimi anni, quando i golpe “bianchi” non sono più stati sufficienti e si è passati ai golpe “rossi”, cioè alla repressione aperta della controparte politica: una lunga scia di sangue ha iniziato a colare sul continente europeo.
Solo in Europa i candidati filo-russi come Robert Fico in Slovacchia e Kalin Georgescu in Romania sono stati attaccati direttamente. Il primo il 15 maggio 2024 con 4 colpi di pistola all’addome. Il secondo con l’annullamento, lo scorso dicembre, del risultato elettorale che lo ha visto vincere, senza violenza, brogli e frodi ma con una campagna elettorale egemonica sui social network. Il candidato rumeno è poi stato tratto in arresto poco prima della ripetizione delle elezioni e costretto all’esilio dalla vita pubblica attiva a suo dire per tutelare la sua stessa famiglia (https://www.swissinfo.ch/ita/romania:-ex-candidato-georgescu-annuncia-ritiro-dalla-politica/89418583).
Avvicinandoci all’oggi solo nelle ultime 2 settimane sono morti 7 candidati dell’AfD, partito tedesco che si è tentato più volte di escludere dall’agone politico e che è maggioranza nella Germania dell’Est. Insomma, la cosiddetta post-democrazia occidentale è ormai avvitata in dinamiche apertamente dittatoriali in cui si elimina fisicamente e/o legislativamente, tramite la censura o l’abolizione, l’opposizione politica. Serve questa consapevolezza del contesto, per chiarire la situazione delle due più popolose democrazie europee in cui governano due presidenti che rappresentano formalmente una minoranza. Macron in Francia rappresenta scandalosamente appena il 15% dell’elettorato e continua compulsivamente a cambiare governi: è al quinto Primo ministro in 3 anni. Merz in Germania invece rappresenta semplicemente la metà del Paese geograficamente più ricca e culturalmente neoliberista, delineando plasticamente la faglia stabilita dallo smantellamento occidentale della DDR. Definire democratico un Occidente avvitato in simili dinamiche dittatoriali risulta essere sempre più una descrizione ossimorica, dobbiamo esserne consapevoli per affrontare senza stupore e lucidamente il futuro.
[1] N. Poulantzas, Potere politico e classi sociali, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp. 362-363