Prodotti agricoli ucraini. Lo Polonia (in campagna elettorale) una variabile impazzita per l'UE

Prodotti agricoli ucraini. Lo Polonia (in campagna elettorale) una variabile impazzita per l'UE

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

 

Alla mezzanotte del 15 settembre scade il termine fissato dalla Commissione europea che proibiva l'importazione di alcuni prodotti agricoli ucraini in UE e, in particolare, in alcuni paesi dell'Europa orientale. Da tempo sono proprio i diretti vicini di Kiev - Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania e Slovacchia - a chiedere che il divieto, scattato a inizio maggio, venga prorogato fino alla fine del 2023. Ne va, dicono, della sopravvivenza dei nostri piccoli agricoltori, non in grado di sostenere la concorrenza dei prodotti ucraini, cui Bruxelles ha concesso sinora di essere esportati a prezzi stracciati.

Secondo le ultimissime dichiarazioni del primo ministro ungherese Viktor Orban, quattro dei cinque paesi (a quanto pare, meno la Bulgaria) hanno tutta l'intenzione di procedere da soli, nel caso Bruxelles neghi la proroga dell'embargo. «Il divieto scade oggi» ha detto Orban; «Finora i burocrati di Bruxelles non intendono prorogarlo. E se entro la mezzanotte di oggi non lo prorogheranno, allora alcuni paesi – Romania, Polonia, Slovacchia e Ungheria – di comune accordo prorogheranno il divieto a livello nazionale».

Due giorni fa, il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki aveva apertamente addossato su «determinate imprese» la colpa per l'inondazione di grano ucraino a prezzi bassi che ha «sommerso la Polonia» e aveva accusato anche la UE di aver a lungo «volutamente ignorato il problema», concludendo che, nel caso Bruxelles non proroghi il divieto, sarà Varsavia stessa, considerata il “miglior alleato” di Kiev, ad adottare proprie misure per impedire che cereali ucraini entrino in Polonia.

Dopo la conclusione del “Black Sea Grain Initiative”, infatti, l'export agrario “ucraino” aveva dovuto prendere la strada di terra, con la conseguenza di invadere in particolare i paesi limitrofi. L'Ucraina produce principalmente mais, frumento, patate, girasole, barbabietole da zucchero, latte, orzo, soia, colza, pomodori; ma la maggior preoccupazione dei vicini è data proprio dall'invasione di cereali ucraini.

Il 12 settembre il cosiddetto Parlamento europeo ha discusso – per quello che vale: la decisione finale è comunque della Commissione europea – sulla proroga o meno dell'embargo e la maggioranza degli eurodeputati si è espressa contro la proroga: ovviamente, per “aiutare l'Ucraina”. Si è distinta in questo, raccontano le cronache, la tedesca Viola von Cramon-Taubadel - ca va sans dire, del partito dei Verdi, attualmente uno dei più vomitevoli guerrafondai pro-golpisti – sostenuta in questo dalla socialista spagnola Clara Aguilera e dal demo-cristiano lituano Andrius Kubilius, che hanno ovviamente accusato polacchi, ungheresi e altri di “populismo”.

Ora, è vero che in Polonia, quando manca un mese esatto al voto parlamentare, è all'acme la campagna elettorale, e il voto dei numerosissimi piccoli e medi agricoltori è indispensabile soprattutto proprio per il partito di governo “Diritto e Giustizia” (PiS); ma è altrettanto vero che i prodotti agricoli ucraini, destinati in larghissima parte all'esportazione, “aiutano” non la popolazione ucraina, e nemmeno poi troppo i nazi-golpisti di Kiev, quanto le grosse multinazionali straniere che controllano enormi aree di fertilissime terre ucraine, privatizzate nel 2016. E, d'altronde, i moniti lanciati da Morawiecki non sono soltanto quelli dell'ultima ora: già almeno due mesi fa aveva ribadito, insieme ai Ministri dell'agricoltura di Ungheria, Romania, Slovacchia e Bulgaria, la necessità di prorogare le «misure preventive» contro l’importazione di grano, mais, colza e girasole ucraini.

In ogni caso, Kiev, in qualità di “avvocato difensore” del business agro-industriale d'oltreoceano, minaccia di portare la questione di fronte «all'arbitrato della OMC per il risarcimento delle perdite dovute alla violazione dell'Accordo generale su tariffe e commercio».

E, comunque, non vanno dimenticate le minacce lanciate quattro giorni fa da Vladimir Zelenskij al 18° Forum annuale della “Strategia europea di Jalta”, svoltosi a Kiev all'insegna de “Il futuro si decide in Ucraina” (!). Il golpista-capo ha detto in sostanza che i circa 4 milioni di emigrati ucraini in giro per l'Europa, potrebbero prenderla molto male se il loro paese venisse “abbandonato”: dal momento che il numero maggiore di quegli emigrati si concentra in Polonia, non è escluso che quelle minacce fossero rivolte principalmente, se non esclusivamente, all'indirizzo di Varsavia, e proprio per la questione del grano.

L'osservatore Stanislav Stremidlovskij ricorda che, nei piani di Kiev per il 2023, ci sarebbe l'esportazione di oltre 55 milioni di tonnellate di frumento attraverso i cosiddetti “corridoi di solidarietà”: 4,7 mln al mese, contro i 3,2 attuali. Dunque, nota Stremidlovskij, se la Commissione Europea accetterà di prorogare l'embargo oltre il 15 settembre, dovrà trovare altri 300 milioni di euro per sovvenzionare il trasporto di circa 10 milioni di tonnellate di grano, dal momento che, bloccata la via marittima, carente la variante fluviale del Danubio, si dovranno cercare altre strade. E Bruxelles dovrà scegliere con chi stare: Varsavia o Kiev.

Comunque sia, Varsavia ha tutta l'intenzione di prorogare l'embargo sui quattro tipi di cerali suddetti (ma non solo: si parla anche di lamponi), per proprio conto almeno fino alla fine dell'anno; e insieme ai polacchi, gli agricoltori rumeni minacciano di bloccare porti e accessi doganali ai prodotti ucraini, mentre i produttori francesi protestano contro l'importazione di carne ucraina di pollame.

D'altronde, come scriveva mesi fa la liberal-consertrice polacca Do Rzeczy, la Polonia «ha ottenuto i suoi enormi successi negli ultimi trent'anni, ovviamente involontariamente, in gran parte a spese dell'Ucraina: il PIL polacco è cresciuto più di cinque volte, mentre il PIL ucraino è fermo al livello del 1991. Per di più, gli ucraini hanno grandi vantaggi: manodopera a basso costo, energia a basso costo, agricoltura meno frammentata».

Manodopera ucraina a basso costo di cui - è bene ricordarlo, per non far torto a nessuno - hanno usufruito e continuano a usufruire anche molti agricoltori polacchi, che trattano gli immigrati ucraini pari pari allo stesso modo in cui i cannibali italioti trattano gli immigrati schiavizzati nelle campagne, non solo del sud. Se qualcuno se ne è per caso dimenticato, ormai da dieci anni i nazi-golpisti di Kiev fanno la guerra prima di tutto alla propria popolazione che, appena ne ha avuto l'opportunità, o vi è stata costretta per non morire di fame, è andata a lavorare per pochi soldi, soprattutto in Polonia e Germania.

Perché, in effetti, pur se edulcorata dalla propaganda euroatlantica, la situazione ucraina non è molto dissimile da quella riportata proprio dagli “analisti” di Langley.

In cifre, secondo The World Factbook della CIA, l'Ucraina è oggi al 224° posto (su 236) mondiale per tasso di crescita della popolazione, con un indice di -0,52, un tasso delle nascite del 8,79 su mille abitanti (205° posto), di contro a un un tasso di mortalità di 13,7/1000 (6° posto) e un tasso di emigrazione di 0,27/1000 (116° posto: calcolato come “differenza tra il numero di persone che entrano e lasciano il paese). Ancora: il tasso di mortalità infantile pone l'Ucraina odierna al 157° posto, con il 7,2/1000 (ad esempio, l'Italia è al 209° posto, con 3,1/1000); aspettativa di vita alla nascita: 73,7 anni (147° posto - Italia: 82,7 anni e 20° posizione). Il PIL pro capite è valutato in 12.900 $ (127° posto, contro i 41.900 $ dell'Italia al 43° posto; ricordiamoci che si tratta di statistiche: quanti sono i lavoratori italiani che possono godere di 41.900 dollari?). A livello generale, il PIL ucraino è dato (la stima risale però al 2017) per il 12,2% dal settore agricolo, per il 28,6% dall'industria e il 60% dal settore dei servizi. Al 2019, i principali partner per l'importazione erano Cina (13%), Russia (12%), Germania (10%), Polonia (9%), Bielorussia (7% (2019); per l'export: Russia (9%), Cina (8%), Germania (6%), Polonia (6%), Italia (5%).

Concludendo: se l'eventuale proroga dell'embargo può arrecare qualche disturbo alla junta golpista (difficilmente ne risentiranno più di tanto le varie Cargill, Dupont, Monsanto, ecc.), ben venga. Ma non va dimenticato che i moderni eredi della aristocratica szlachta polacca, i cui interessi sono difesi dai sanfedisti del PiS, hanno sempre trattato la semplice popolazione ucraina come inferiore anche al più basso cerbero di casa propria.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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