Repubblica e la propaganda per la Nato del Golfo con la bufala: "Le saudite ora vogliono guidare i taxi"
Diritti delle donne, Repubblica ed emiri del golfo
Coninua ad impazzare la, sempre più smaccata, campagna promozionale a favore degli emiri del Golfo condotta da Repubblica; che – seguendo le orme dell’agenzia di pubbliche relazioni McCann, che negli USA cura l’immagine del regno dei Saud - ora arriva a glorificare “il drastico processo di riforme dell’Arabia Saudita (tra cui) il piano di ristrutturazione economica e sociale voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman sulla condizione femminile”.
A dire il vero, di questo “piano di ristrutturazione economica e sociale” non se ne vede traccia, considerato che l’unica cosa che sta succedendo in una Arabia Saudita, sferzata da una crisi economica senza precedenti, è una faida (costellata di arresti e sparizioni) tra clan. Ancora più evanescenti risultano essere le iniziative per fare uscire dal medioevo la “condizione femminile”, nonostante i roboanti servizi di Repubblica quali la bufala della (“eventuale”) patente alle donne o del loro pubblico fitness in Arabia Saudita o della sorprendente “libertà religiosa” finalmente presente negli Emirati Arabi Uniti.
Oggi Repubblica ci delizia con la favola delle saudite che ora vogliono guidare anche i taxi e che saranno assunte in migliaia da società quali Uber; bufala “attestata” dalla presunta apertura a Gedda della “prima concessionaria auto per sole donne”. Che, non si sa per quale motivo avrebbe già aperto considerando che la norma sulla patente alle donne, forse, sarà approvata il 26 giugno, previo placet della Shura, organo consultivo della monarchia.
Intanto chi in Arabia saudita si era fatto qualche illusione leggendo – ovviamente sui siti internet occidentali – delle “liberalizzazioni” imposte dal satrapo Mohammed Salman, la sta pagando cara. Come alcuni buontemponi che, giorni fa, nella città santa di La Mecca, per divertirsi un po’, avevano inscenato un matrimonio gay. Tutti immediatamente arrestati, rischiano ora la pena di morte. Chissà se Repubblica si degnerà di raccontarci anche questa storia.
Francesco Santoianni