Santori e l'ideologia (liberista) dell'autoattivazione

Santori e l'ideologia (liberista) dell'autoattivazione

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di Paolo Desogus


In molti mi chiedono cosa non va nella proposta di Mattia Santori sull'Erasmus inter regionale. Mi dicono che non sarebbe affatto male per uno studente del nord studiare al sud (magari Gramsci a Bari, Vico e Croce a Napoli, greco e latino a Palermo, De Martino a Cagliari), così come non sarebbe male per gli studenti del sud poter essere ospitati nelle migliori università italiane, come Bologna, Padova o il Politecnico di Milano. La questione tuttavia non credo che riguardi semplicemente la proposta in sé, ma l'ideologia che essa veicola. Si tratta di un'ideologia che, come mi insegna il mio amico Onofrio Romano, da tempo colpisce il sud. Si tratta dell'ideologia dell'autoattivazione, cioè dell'idea che il sud per rinascere abbia bisogno di rimettere in moto le molecole elementari della società: i singoli individui, le idee, le proposte che che dal basso dovrebbero innescare un movimento virtuoso di crescita e di miglioramento. Con l'erasmus tra regioni il meridione potrebbe trarre beneficio per l'atout di dinamicità acquisito dai suoi figli più giovani. Questo almeno sulla carta.
 

Quest'ideologia dell'autoattivazione non è in fondo altro che una delle tante declinazioni del liberismo, che fonda il proprio credo nell'iniziativa individuale e nella spontaneità del mercato. Per il sud, dunque, non c'è alternativa, c'è solo la religione del capitale che premia e sanziona i singoli nella misura in cui si liberano e agiscono indipendentemente dai vincoli e dalle sovrastrutture istituzionali e della cultura passata. Ora quello che però infastidisce di più della proposta di Santori non è tuttavia solo la riproposizione dell'ideologia neoliberista, occultata dal giovanilismo e dall'europeismo d'élite dell'erasmus. Quello che infastidisce è che la sua proposta giunga da una delle regioni d'Italia che ha costruito la sua fortuna non sulla libera iniziativa, non sul liberismo, non sull'autoattivazione dal basso, ma sulla programmazione economica, sulla pianificazione, sulla costruzione di infrastrutture: insomma sulla presenza dello stato nell'economia e nella società.
 

A un meridionale come me, che non ha certo potuto godere dei benefici di uno stato efficiente, la proposta di Santori suona allora sommamente volgare e inaccettabile. Sono anni che le uniche ricette per il sud si muovono sulla linea dell'autoattivazione (in Sardegna e Puglia ricordo i numerosi fallimenti del Master & Back); soprattutto la sinistra è da almeno un trent'anni che non pensa più che il sud, per crescere, abbia bisogno dello stato e di una vera programmazione indirizzata non dalle molecole sparse della società, ma dai corpi intermedi e dai gruppi dirigenti. Il sud ha bisogno di politica, di scelte, di decisioni. Necessita di pensiero, di una visione del mondo, di un'idea di futuro. La storia dell'Emilia Romagna, in cui la libera iniziativa non è certo mancata, è quella di una regione che ha creato le condizioni di possibilità per rendere il lavoro dei singoli cittadini realmente efficace. Se anche in quel territorio si registra l'iniziativa dei singoli, questo è stato possibile perché le istituzioni e le riflessioni politiche collettive lo hanno permesso.

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