Se Draghi si dimette un nuovo governo dovrebbe attuare la disciplina dei rapporti economici sanciti in Costituzione
Ieri è avvenuto qualcosa di molto importante per la continuità del governo Draghi. I 5 Stelle, guidati da Giuseppe Conte, sono usciti dall’aula al momento della votazione sulla fiducia, posta dal governo, su vari argomenti e, principalmente, sull’invio di armi all’Ucraina e la costruzione di un termovalorizzatore a Roma.
Di conseguenza la fiducia è stata accordata soltanto dal resto della maggioranza. Draghi ha colto questa occasione per presentare le sue dimissioni al Capo dello Stato, il quale gli ha ordinato di parlarne in Parlamento mercoledì prossimo, o accettando di proseguire con detta ristretta maggioranza, o di dimettersi definitivamente.
A me sembra evidente che in questa occasione Draghi si sia dimostrato commissario delle potenze finanziarie europee e mondiali, alle quali è fortemente legato, e abbia ritenuto assolti gli obiettivi da costoro voluti, e cioè la sottrazione incostituzionale al Popolo italiano delle fonti di produzione di ricchezza nazionale, che sono ancora rimaste dopo oltre 30 anni di privatizzazioni e svendite.
Egli non ha mai perseguito del tutto gli interessi italiani e la sua permanenza al governo preannuncia perdite di lavoro e di altre fonti di produzione di ricchezza.
Il problema più grave tuttavia è il fatto che gli attuali parlamentari non hanno in mente un nuovo e chiaro programma di governo.
Essi non danno importanza a quanto prescrive la Costituzione sulla proprietà pubblica demaniale (art. 42 Cost.) dei beni materiali e immateriali del Popolo, e sfugge loro l’importanza di mantenere detti beni fuori dal mercato concorrenziale, al fine di assicurare il mantenimento in mano pubblica degli strumenti economici e finanziari necessari per assicurare la costituzione, la identificazione e il funzionamento dello Stato Comunità, previsto dall’articolo 1 della nostra Costituzione vigente.
Si tratta del Demanio pubblico costituzionale, che Draghi ha dissolto definitivamente, non solo attraverso le citate privatizzazioni, ma anche attraverso le concessioni della gestione di tali beni a S.p.A. private, come dimostrato dallo scandaloso patto per Napoli, sottoscritto da Draghi e dal Sindaco Gaetano Manfredi, e, da ultimo, con la prospettiva di cedere alla multinazionale Uber il bene immateriale costituito dalla gestione del servizio pubblico di taxi.
Ed è da sottolineare che il servizio taxi è un bene appartenente alla comunità locale in proprietà pubblica, e non può essere venduto con la sua privatizzazione, né svuotato di contenuto con la concessione della gestione, la quale comporta grandi scelte discrezionali, a soggetti che non fanno parte della collettività locale, e può essere gestito soltanto dall’Ente locale o da comunità di lavoratori e di utenti, ai sensi dell’articolo 43 della Costituzione.
Pertanto è impossibile che esso sia messo a gara europea, finendo nelle mani di multinazionali straniere, le quali agirebbero, non più nell’interesse della comunità locale, ma nel proprio personale interesse di società lucrativa e, quindi, molto probabilmente, nell’interesse di altre comunità, inserendo nel mercato generale un bene che è a questi sottratto, come bene immateriale in proprietà demaniale del Popolo e diretto a soddisfare gli interessi pubblici della Comunità medesima, né si dica che esistono norme europee in senso contrario, poiché la Corte costituzionale, con la nota teoria dei contro-limiti, ha sancito costantemente che i principi costituzionali prevalgono sui Trattati.
Sono queste le idee che il nuovo governo dovrebbe portare avanti, partendo dall’attuazione della Costituzione, nella quale soltanto sono indicati gli strumenti per salvare lo Stato-Comunità e il benessere di tutti i cittadini.