Se la forza lavoro invecchia il Governo che fa?
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di Federico Giusti
Negli ultimi anni alcuni fatti incontrovertibili avrebbero dovuto risvegliare i sonnolenti Governi e i vertici dell'Aran: l'invecchiamento della forza lavoro nella PA e i bassi salari che costituiscono motivo di scarsa attrazione per i giovani
Il blocco delle assunzioni, il blocco dei contratti per quasi 9 anni hanno determinato carenze di organico impressionanti e una riduzione del potere di acquisto riguardante per altro l'intero mondo del lavoro, tanto che l'Istat parla di salari fermi in sostanza al 2019.
La scarsa mobilità sociale è poi ritenuta tra le principali cause dei ritardi del nostro sistema economico, questo problema scaturisce dall'ascensore economico fermo, dalla miseria salariale, dal numero chiuso per l'accesso a tante facoltà universitarie e per il cronico deficit delle politiche di formazione. Ma una Pa moderna ed efficiente rappresenta un fattore di sviluppo per il paese, su questo punto ormai opinione diffusa è proprio quella che una macchina pubblica funzionante funga da traino per l'intero sistema.
Per anni si è demandata la formazione a soggetti privati, nella scuola a Centri studi riconosciuti come soggetti formatori dal ministero salvo poi scoprire che alcune realtà. legate a sindacati di base conflittuali e all'associazionismo democratico scelgono tematiche di aggiornamento invise agli zelanti vertici del MIM e per questo andremo verso una sostanziale revisione degli accreditamenti e a interventi autoritari, se non dispotici, con la cancellazione di corsi già autorizzati come avvenuto il 4 Novembre.
Ma la scuola è un mondo a parte (al contempo resta uno degli ambiti privilegiati ove sperimentare le ricette securitarie), nella PA ormai vige il corso fai da te, quello seguito da remoto con risposte a crocette, una modalità poco attrattiva e con risultati insoddisfacenti quanto ad acquisizione di nuove competenze.
Se un dipendente pubblico fosse nelle condizioni di avere almeno una settimana all'anno a disposizione per un percorso formativo intensivo i risultati sarebbero assai maggiori e potremmo ricorrere tanto all'Università quanto alla scuola per la Pubblica amministrazione verso la quale le attenzioni riservate sono del tutto insufficienti.
L’evoluzione demografica della Pa parla, in vent’anni, di una età media che passa dai 47 anni del 2002 ai 57 del 2022, da tempo gli anziani over 50 rappresentano la struttura portante dei servizi e sono quindi numericamente prevalenti. Le dimissioni lampo sono una realtà diffusa, chi vince i concorsi negli Enti locali spesso ha partecipato a bandi per altri comparti nei quali, a parità di mansione, si guadagna anche 250 euro in più e per questo optano per la soluzione economicamente migliore.
Il sindacato aveva raccontato di volere porre fine alle sperequazioni tra comparti della Pa ma servono risorse a tale scopo e queste risorse non ci sono nella Manovra di Bilancio e neanche nelle piattaforme rivendicative da loro presentate.
Invece di parlare di age management dovrebbero operare altre scelte, ha forse senso arrivare a 68 anni di età per andare in pensione? E intanto nella Pubblica amministrazione propongono agli anziani un contratto part time negli ultimi due o tre anni, peccato che quel part time abbia dei costi solo a loro carico alleggerendo l'assegno previdenziale di domani.
Il resto sono solo chiacchere, dalla cosiddetta valorizzazione della persona fino a uno pseudo percorso professionale, dalla promozione del dialogo intergenerazionale fino alle misure flessibili per la gestione del lavoro (fino ad oggi non corrispondevano il buono mensa a quanti operavano in smart). Se la qualità del lavoro pubblico scarseggia la causa è da ricercare nei salari da fame, nella mancata formazione, negli inadeguati investimenti tecnologici, ci sono uffici con pc di 10 anni or sono che non supportano i nuovi programmi e a questo esempio calzante potremmo aggiungerne tanti altri.
Il costo dell’inerzia è quantificabile scrive Naddeo dell'Aran sul Quotidiano enti locali, peccato che questa inerzia (da combattere) la ritroviamo nei vertici dei Ministeri, nei processi decisionali ove a farla da padrone è solo il tetto di spesa con ripercussioni negative sul salario e sugli organici. E la inerzia è anche il risultato di una deliberata volontà di non rompere degli equilibri, ad esempio siamo davanti a contratti che negli anni hanno ridotto il potere di contrattazione, destinando risorse ai fondi del salario accessorio che poi in parte saranno invece a beneficio di pochi. E a proposito di inerzia possiamo ricordare che in diversi paesi della UE l'età media della forza lavoro è assai inferiore a quella italiana, un infermiere o un insegnante in Italia guadagna un buon 20 per cento in meno di quanto accada in altri paesi. Se proprio volessimo combattere l'inerzia ci sarebbe solo l'imbarazzo della scelta per partire con scelte dirimenti e capaci di invertire la tendenza al declino

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