Storia come arma: il revisionismo anti-sovietico e il conflitto in Ucraina

Il ritorno del nazismo nell’ombra: da Hitler ad Azov

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Storia come arma: il revisionismo anti-sovietico e il conflitto in Ucraina

La vittoria dell’Unione Sovietica contro il nazismo rappresenta uno dei momenti più epici e significativi della storia umana. Fu l’Armata Rossa a sostenere il peso principale del conflitto, a pagare un prezzo in termini di vite umane senza precedenti (oltre 27 milioni di morti) e a guidare la liberazione dell’Europa dall’occupazione nazifascista. Tuttavia, negli ultimi decenni, una crescente corrente di revisionismo storico ha cercato di ridimensionare il ruolo dell’URSS nel conflitto, dipingendola come una potenza aggressiva o addirittura alleata con i nazisti, al fine di ribaltare la verità storica. 

Questa operazione non è solo storiografica: si tratta di una manipolazione politica mirata a legittimare nuove guerre imperialiste, a giustificare l’espansione della NATO verso est e a criminalizzare ogni alternativa al modello capitalistico neoliberista dominante in occidente, seppur in pieno declino. 

Il patto Molotov-Ribbentrop: un accordo tattico, non un’alleanza  

Uno dei pilastri su cui si basa questa narrazione revisionista è il cosiddetto “patto di non aggressione” tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista firmato ad agosto del 1939. Tale accordo viene spesso mal interpretato come un’alleanza tra Stalin e Hitler, ma in realtà fu una mossa strategica dettata dalla necessità di guadagnare tempo per prepararsi alla guerra inevitabile. 

Dopo il tradimento delle potenze occidentali che, con il Patto di Monaco del 1938, avevano permesso a Hitler di annettersi porzioni della Cecoslovacchia pur di evitare il conflitto, l’URSS si trovò isolata. Le proposte ripetute di Stalin per un'alleanza tripartita con Francia e Gran Bretagna furono sistematicamente ignorate. Di fronte a questa situazione, il patto con la Germania fu una scelta obbligata, non ideologica, volta a garantire all’URSS una posizione difensiva migliore. 

Quando Hitler attaccò l’Unione Sovietica nell’estate del 1941 con l’Operazione Barbarossa, divenne evidente che il patto era stato solo una breve pausa (determinante per l’Unione Sovietica) prima dello scontro finale. Fu proprio l’Armata Rossa a fermare l’avanzata nazista a Mosca, Stalingrado e Kursk, battaglie che segnarono il punto di svolta decisivo del conflitto. 

L’enorme sacrificio sovietico  

L’URSS combatté da sola la maggior parte della guerra, affrontando circa il 90% delle forze tedesche schierate in Europa. Più di 27 milioni di cittadini sovietici persero la vita durante il conflitto, tra militari e civili. Questo numero supera di gran lunga le perdite subite da tutte le altre nazioni alleate messe insieme. 

Nonostante questi dati oggettivi, oggi si assiste a una sistematica riduzione del contributo sovietico alla vittoria. I media mainstream e alcune istituzioni occidentali tendono a enfatizzare lo sbarco in Normandia del giugno 1944 come l’evento chiave che determinò la sconfitta della Germania, ignorando che già due anni prima le armate russe avevano inflitto gravi sconfitte ai nazisti, costringendoli ad arretrare. 

Inoltre, l’apertura del secondo fronte in Europa fu rinviata ripetutamente da Roosevelt e Churchill, nonostante le pressanti richieste di Stalin. Quando lo sbarco in Normandia avvenne nel giugno 1944, l’Armata Rossa era già avanzata fino alle porte della Polonia e stava per entrare in Romania. A quel punto, la decisione di aprire un nuovo fronte sembrava essere motivata più dal timore dell’espansione del socialismo in Europa che dal desiderio di sconfiggere definitivamente il nazismo. 

Gli aiuti anglo-americani: utili ma non decisivi  

Un altro argomento usato per minimizzare il ruolo dell’Unione Sovietica riguarda gli aiuti bellici forniti dagli Stati Uniti attraverso il programma “Lend-Lease”. È certo che queste forniture furono importanti, soprattutto per quanto riguarda il trasporto, l’equipaggiamento e il cibo. Tuttavia, esse non furono mai decisive per la vittoria. 

Solo il 30% degli aiuti arrivò prima della vittoria di Stalingrado (fine 1942), momento cruciale in cui l’esercito sovietico aveva già invertito il corso della guerra grazie alla sua capacità industriale interna e al sacrificio dei suoi soldati. 

Il legame tra gli USA, le élite occidentali e il nazismo  

Stranamente, molte ricostruzioni storiche contemporanee tendono a ignorare il ruolo ambiguo svolto dalle élite occidentali durante la guerra. Documenti declassificati rivelano che figure come Prescott Bush, padre e nonno di futuri presidenti statunitensi, ebbero rapporti commerciali con le banche tedesche collegate ai nazisti anche dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Inoltre, aziende come la Standard Oil, sotto il controllo della famiglia Rockefeller, continuarono a fornire petrolio alla Germania attraverso Paesi neutri, permettendo così il proseguimento delle operazioni militari tedesche, incluso l’invasione dell’Unione Sovietica. 

Al termine del conflitto, molti alti ufficiali nazisti furono reclutati direttamente dagli Stati Uniti e dalla NATO per combattere il comunismo. Personaggi come Reinhard Gehlen, ex capo dei servizi segreti tedeschi sul fronte orientale, divennero fondamentali per la creazione della CIA e per la struttura di intelligence occidentale. Altri criminali di guerra, come Klaus Barbie (‘il Macellaio di Lione’), trovarono rifugio in America Latina grazie alle reti protette dai servizi segreti statunitensi. 

La falsificazione storica e l’uso politico del passato  

Oggi, questa distorsione storica si manifesta in modi sempre più evidenti. Nel 2019, il Parlamento europeo approvò una risoluzione che equiparava il comunismo al nazismo, sostenendo che la Seconda guerra mondiale fosse scoppiata a causa di un accordo segreto tra Hitler e Stalin. Questa narrazione non solo ignora completamente la natura del conflitto, ma cancella il ruolo centrale giocato dall’Unione Sovietica nella sconfitta del nazifascismo. 

Anche figure politiche come Donald Trump hanno contribuito a questa revisione, rivendicando agli Stati Uniti il merito principale della vittoria e sminuendo il sacrificio sovietico. Questo atteggiamento serve a costruire una memoria storica distorta, utile a giustificare nuove guerre imperialiste e a legittimare il ruolo egemonico degli Stati Uniti nel mondo contemporaneo. 

Il ritorno del neonazismo e la paura dell’ordine multipolare  

Negli ultimi anni, parallelamente al declino dell’unipolarismo statunitense e all’emergere di un ordine mondiale multipolare guidato da Russia e Cina, di concerto con il blocco BRICS e i paesi del cosiddetto sud del mondo, si sta assistendo a un preoccupante risveglio di ideologie neonaziste e ultranazionaliste in diversi paesi occidentali. La NATO, fin dalla sua nascita, ha accolto e integrato ex gerarchi nazisti, come Reinhard Gehlen, Adolf Heusinger e Hans Speidel, e oggi continua a fare affidamento su movimenti estremisti per destabilizzare paesi che si oppongono al sistema imperiale globale. 

In Ucraina, ad esempio, il regime di Kiev è sostenuto da gruppi paramilitari neonazisti come il Battaglione Azov, finanziati e addestrati direttamente dagli Stati Uniti e da alcuni membri della NATO. Il conflitto russo-ucraino, presentato come una "guerra di liberazione" contro l'"invasore", nasconde in realtà un tentativo di contenimento geopolitico della Russia e di mantenimento del dominio occidentale. 

Il ritorno di simboli, retoriche e strutture organizzative vicine al nazismo non è casuale. Si tratta di una risposta disperata al tramonto dell’egemonia atlantista e alla crescita di un sistema internazionale più equilibrato, in cui le potenze emergenti pretendono voce in capitolo. 

La memoria come arma di guerra ideologica  

La grande vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista rimane uno dei pilastri fondamentali della storia del XX secolo. Senza l’eroismo dell’Armata Rossa e il sacrificio di milioni di uomini e donne sovietiche, il nazismo sarebbe potuto sopravvivere ancora a lungo. Oggi, però, questa verità viene messa in discussione da una narrazione revisionista che cerca di riscrivere la storia per servire interessi politici ed economici attuali. 

Non bisogna quindi consentire che la memoria di questa vittoria venga cancellata o manipolata. Essa appartiene a tutti coloro che credono nella libertà, nella giustizia sociale e nella pace. Ma soprattutto, indica chairamente che il fascismo non è solo un ricordo del passato: è una minaccia reale che torna sotto nuove spoglie, ogni volta che il capitalismo entra in crisi e cerca un nemico esterno da combattere. 

Fabrizio Verde

Fabrizio Verde

Direttore de l'AntiDiplomatico. Napoletano classe '80

Giornalista di stretta osservanza maradoniana

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