Storico Flop per lo "sciopero generale" delle destre: in Venezuela si lavora per la pace

Storico Flop per lo "sciopero generale" delle destre: in Venezuela si lavora per la pace

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di Geraldina Colotti* - Il Manifesto

 

Sciopero generale, governo parallelo, cacciata del presidente… Sempre più ambiziosi i piani delle destre, in Venezuela, in vista del 30 luglio, quando verrà votata l’Assemblea nazionale costituente (Anc), proposta da Nicolas Maduro. Nelle intenzioni del presidente, l’Anc dovrebbe rilanciare il dialogo a tutto campo sulle questioni di fondo, da correggere o da rinnovare, e con tutti i settori: operai, pensionati, imprenditori, movimenti, sindacati, comunas, indigeni… Una iniziativa che attinge alla massima istanza ispiratrice della Costituzione bolivariana, il potere popolare.


Una proposta avanzata anche da vari leader di opposizione subito dopo l’elezione di Maduro, ma ora rifiutata in blocco dalla coalizione Mud (Mesa de la Unidad Democratica). L’arrivo di Trump, il ritorno di governi neoliberisti in grandi paesi come l’Argentina e il Brasile, la vera e propria crociata portata avanti dal Segretario generale dell’Osa Luis Almagro contro Maduro, hanno convinto le destre a cavalcare la vena che più gli è consona, quella golpista. Così, dopo la vittoria alle legislative del 2015, hanno usato il Parlamento – uno dei cinque poteri di cui si compone la costituzione bolivariana, tenuti in equilibrio dal Tribunal Supremo de Justicia – come grimaldello per demolire le istituzioni, esautorandone le decisioni e la credibilità.


Per ottenere la maggioranza assoluta, che le avrebbe consentito un margine di manovra più ampio per liberarsi del presidente e per imporre le ricette neoliberiste, l’opposizione ha avallato l’elezione fraudolenta di tre deputati dello Stato Amazonas, sfidando la sentenza del Tsj che ha dichiarato il Parlamento “in ribellione” e quindi privo di legalità nelle sue scelte. Ha chiesto agli Stati uniti e all’Europa di intervenire nel paese. Da lì uno scontro di poteri ora al culmine con il boicottaggio delle scadenze elettorali previste (prima l’Anc e poi le regionali a dicembre).


“Siamo maggioranza”, ha ripetuto in questi anni l’opposizione, riunita nella Mesa de la Unidad Democratica (Mud): senza spiegare perché, allora, non potrebbe dimostrarlo nelle urne seguendo il calendario elettorale. “Il chavismo non funziona”, ha gridato nelle sedi internazionali: ma nessun progetto di paese credibile è emerso dall’attività parlamentare, peraltro assai poco frequentata dai deputati Mud. Le leggi votate riguardano l’attacco alle conquiste del lavoro (vedi Temer in Brasile e Macri in Argentina) e a quelle sociali, come il tentativo di svendere alle immobiliari il grande progetto di edilizia pubblica realizzato dal chavismo, o la privatizzazione delle risorse.


Lo stesso progetto che, negli anni della democrazia modello Fmi, ha portato al dilagare della povertà e dell’esclusione dei settori popolari, in primo luogo gli indigeni, che non erano neanche stati censiti. Oggi, oltre 30 indigeni si sono candidati alla Costituente. Le 35 popolazioni native del Venezuela realizzeranno 3.473 assemblee secondo i loro usi e costumi per eleggere i portavoce che andranno alla Costituente.


Ieri, la Mud ha proclamato uno sciopero generale, preceduto da quello dei trasportatori privati e ha cercato di impedire alla gente di recarsi al lavoro con le solite violenze di strada (“le guarimbas) nei quartieri agiati governati dall’opposizione. Un’altra boutade malriuscita nonostante la grancassa dei media privati e di quelli internazionali. Gli operai si sono espressi in blocco contro lo sciopero. Così hanno fatto anche 500 imprenditori. La gente comune non ne può più di vivere sotto ricatto, di essere taglieggiata e derubata presso le barricate violente (le “guarimbas”), di essere terrorizzata o impestata dal fumo della spazzatura bruciata o dai lacrimogeni della polizia.


I focolai delle violenze sono forti ma anche molto limitati – ha spiegato Tibisay Lucena, presidente del Consejo Nacional Electoral (Cne), mostrando la mappa del paese. Una delegazione del governo bolivariano si recherà all’Onu per denunciare l’escalation di violenze efferate, che hanno già prodotto 30 linciaggi: persone martoriate e bruciate vive perché chaviste.


Ma il racconto mediatico dei “pacifici manifestanti oppressi dalla dittatura” ha spalancato la strada agli oltranzisti e preparato le sanzioni internazionali. Mentre la conta dei morti cresceva (già 100 vittime in tre mesi di proteste violente), sempre attribuita a una parte sola, nessuno sembrava riflettere su alcuni dati. In quale democrazia europea gruppi armati possono attaccare impunemente le istituzioni dello Stato, dar fuoco alle persone e devastare asili nido e ospedali senza aspettarsi una reazione repressiva?


Come si può definire una “dittatura” un governo che non mette in galera gli oppositori anche se girano ai quattro angoli del pianeta gridando contro la “dittatura” davanti a una selva di microfoni? In quale democrazia si sono visti ex presidenti conservatori manifestare contro il governo legittimo e invitare al golpe facendosi fotografare con gli incappucciati che lo attaccano com’è accaduto di recente col messicano Fox?


Una ben strana dittatura quella in cui l’opposizione vince in Parlamento, disconosce le istituzioni, finanza rivolte armate, convoca tranquillamente un “referendum” e ora addirittura un governo parallelo… Ieri, i “guarimberos” hanno di nuovo attaccato la sede della televisione pubblica nell’est di Caracas, a Los Ruices. La Mud ha annunciato che sabato procederà a eleggere nuovi magistrati del Tsj e procederà alle primarie da cui verrà fuori un nuovo presidente: giacché “Maduro se ne deve andare” (questo il mantra delle destre). E dove voteranno, con quale credibilità?


Contro la Costituente, un fuoco di dichiarazioni incendiarie, a cominciare dagli Stati uniti, passando per l’Europa: per voce di Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera della Ue. In Italia, all’informativa contro il governo bolivariano, presentata dal ministro degli Esteri Alfano, era presente il padre di Leopoldo Lopez, il leader di Voluntad Popular, che la “dittatura” ha appena mandato agli arresti domiciliari. Il ministro dell’Ambiente Galletti si è fatto fotografare con la Mud al voto illegale, e così ha fatto il deputato Pd Porta. Nessuno ha detto una parola contro i linciaggi e le violenze delle destre, ma tutti hanno “invitato” Maduro a desistere dalla Costituente, considerata un passo più avanti verso il socialismo e lo stato delle “comunas”, e per questo avversata anche dalle gerarchie ecclesiastiche.


Trump ha detto che sta “esaminando tutte le opzioni”, che potrebbero andare dalle sanzioni al ministro della Difesa, Wladimir Padrino Lopez e a Diosdado Cabello (vicepresidente del Psuv) fino all’interruzione dell’acquisto di petrolio con Caracas. Decisioni che colpirebbero anche altre economie della regione, legate agli scambi solidali con Caracas in diversi organismi regionali. Un attacco che ha provocato la reazione del governo bolivariano: “Non siamo più una colonia”, ha detto Maduro, definendo Mogherini “insolente”, mentre Padrino Lopez ha dato del “codardo” a Trump.


La Russia è scesa in campo contro i rischi di aggressione al governo bolivariano. Anche i governi progressisti e i movimenti popolari si sono fatti sentire. Il presidente boliviano Evo Morales ha definito “una vergogna” l’appoggio internazionale al golpismo in Venezuela. Al Forum di San Paolo, le oltre 30 organizzazioni presenti hanno espresso solidarietà al governo Maduro con un duro comunicato conclusivo contro i cantori della “fine del ciclo progressista”.
 

Il Venezuela ha emesso una nota nella quale disconosce il vertice del Mercosur, in corso a Mendoza, dal quale è stato arbitrariamente escluso dall’insieme dei paesi tornati a destra (Brasile, Argentina, Paraguay e anche il moderatissimo Uruguay). Il presidente argentino Mauricio Macri, il cui paese ha la presidenza pro-tempore dell’organismo ha esautorato la presenza dei movimenti popolari, il cui vertice accompagnava quello ufficiale dal 2005: grazie al nuovo clima di democrazia partecipata che aveva preso piede in America latina.


“Il Vertice Sociale del Mercosur – recita la nota del governo bolivariano – è stata una conquista popolare, una vittoria ottenuta grazie alla visione progressista di ex presidenti come Chavez, Kirchner o Lula. La sospensione di questa attività è una dimostrazione chiara del timore che gli attuali governi hanno delle organizzazioni e dei movimenti sociali della regione. Il Mercosur, da speranza dei popoli, si è così trasformato nella caverna dell’oligarchia”.


*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autrice

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