Ucraina: chi cerca il compromesso e chi insiste per la guerra
di Fabrizio Poggi
Non sembri strano: quando si declama dai pulpiti di alti concistori o si scrive da sterilizzate redazioni, qualunque aggettivo o sentenza appare ai suoi autori come “il verbo”; quando invece si dà fiato alla lingua direttamente dagli spazi di cui recitano o verseggiano i “cardinali” di cui sopra, allora le parole le si cercano appropriate alla realtà. Non sembri dunque strano che appelli a trovare a ogni costo un accordo che fermi il macello vengano da chi, a Kiev, ha pur rivestito sinora qualche mezza posizione pubblica, mentre da Bruxelles e da via Solferino, gli occhi iniettati di sangue (ucraino) si continua a proclamare la “guerra fino alla vittoria”.
È così che, varato il diciassettesimo pacchetto di sanzioni anti-russe e in procinto di dare il via al diciottesimo, l'acuta estone Kaja Kallas assicura che «l’economia russa non sta andando bene» e basterà qualche altro colpo, tipo ulteriori freni alla “flotta ombra” che trasporta i prodotti energetici russi e la prosperosa UE avrà partita vinta, dato che «l’energia fa parte del Fondo nazionale russo, ormai quasi completamente esaurito». Una vittoria a mani basse, ci racconta colei che, a Tallin, era stata mandata a casa per troppa affezione agli affari di famiglia. Ed è un altro baltico, il lettone Valdis Dombrovskis, dirottato all'economia europea, a trovare la soluzione: il diciottesimo pacchetto prevede l'abbassamento del tetto al prezzo del petrolio russo, oggi di 60 dollari, con Kiev che, dettando la linea, chiede di portarlo a 30.
Tutto va dunque per il meglio a Bruxelles: Mosca verrà messa in ginocchio e l'amata Ucraina otterrà vittoria sul campo e prosperità interna. O no?
Non abbiamo né armi, né uomini e l'economia è allo sfascio, lamenta la deputata alla Rada ed ex membro della squadra di Zelenskij, Anna Skorokhod: è tempo di firmare la pace. E, a volerla dire tutta, come fa l'ex deputato e speaker del nazista “Pravij sektor”, Borislav Berëza, i soldati al fronte non dispongono nemmeno di razioni adeguate.
«Riguardo al memorandum, per la Russia questa è la base per avviare i dialoghi», dice Skorokhod; ma dall'Europa non fanno che «gridarci “Bravi! Forza! Ma fate da soli, con la vostra gente e sarete in debito con tutti. Ma vi sosteniamo e siamo molto preoccupati». Kiev dispone di una “coalizione di volenterosi”, lamenta la deputata, ma non sappiamo «quando vorranno cosa e quando adempiranno i loro desideri», mentre Putin ha solo bisogno di un documento per iniziare, un punto di partenza per condurre il processo negoziale e preparare un accordo di conciliazione». L'Ucraina non ha però più nulla e deve solo moderare le ambizioni e smettere di cercare di riprendere ciò per cui non dispone di forze. Visti i risultati al fronte, dice Skorokhod, visti i problemi demografici, il dovere è quello di preservare quanto possibile del paese, delle persone... l'economia è al collasso... non devono essere le ambizioni ad avere un ruolo... vogliamo molto, ma non è chiaro a che prezzo e come. Siamo al punto di non poter fare a meno di firmare un accordo di pace».
E invece no; niente pace. L'unica preoccupazione che affligge i giornalacci bellicisti è il possibile “abbandono” di Kiev da parte di Trump, che ribadisce “questa non è la nostra guerra” e fa inorridire il Corriere della Guerra con «la “linea rossa” del disimpegno» americano. In attesa di nuovi sviluppi, raccontano a via Solferino, Trump dice che «qualcosa accadrà. E, se non accadrà, mi sfilerò e loro dovranno andare avanti». Negando di voler scaricare la mediazione, ha però «creato un certo allarme perché non solo è parso propenso al disimpegno, ma anche poco incline a fare pressione su Putin». Ah, al bando il fedigrafo, che diserta le ricette di Kallas e Dombrovskis, rivelando «ai reporter che nuove sanzioni potrebbero essere controproducenti», tanto da costringere l'amato Zelenskij ad ammonire: «È cruciale per tutti noi che gli Stati Uniti non lascino i colloqui e il perseguimento della pace. L’unico che ne trarrebbe beneficio è Putin».
Si dia ascolto a chi ne sa di più, invocano al Corriere: prendete esempio da «Ivo Daalder, ex ambasciatore USA alla NATO sotto Obama», quando dice che Trump pensa «erroneamente che Putin voglia un accordo e di poterlo ottenere... questo è un accordo che neppure lui può fare. Quindi sta dipingendo una immaginaria linea rossa che gli consenta di sfilarsi senza che nessuno possa dire che ha fallito». Putin non vuole la pace, assicurano i guerrafondai del Corriere; si dia invece ascolto a William Taylor, ambasciatore USA a Kiev dal 2006 al 2009, quando dice che Putin «vuole mantenere il rapporto con Trump, ma per ora non ha intenzione di condurre seriamente il negoziato». Ascolti le loro “bocche della verità”, suggeriscono a Trump da via Solferino e si renda così conto che la «telefonata di lunedì è la prova di come Putin non abbia un atteggiamento serio rispetto alla trattativa. Sta solo cercando di mantenere viva la relazione con il presidente americano». Suvvia: come si fa a credere a Putin; date retta ai “volenterosi” e ai loro suggeritori delle asettiche italiche redazioni; guardate agli europei che «chiedono una linea più dura»; prendete esempio da loro, come suggerisce Taylor, «che hanno preso impegni precisi per aumentare la propria spesa per le forze armate e per costruire una solida base per l’industria militare». Eja, Eja, Alalà, intonerebbero volentieri al Corriere.
In realtà, stando al Financial Times, il colloquio tra Putin e Trump ha allarmato e non poco Ucraina e Europa. Finita la telefonata, ricorda Moskovskij Komsomolets, Trump ne ha annunciato i risultati ai leader di Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Finlandia e questi, che si aspettavano l'introduzione di nuove sanzioni USA contro la Russia, con l'Europa che ne avrebbe seguito l'esempio, sono rimasti delusi. Ma non per questo con le mani in mano, come si è visto. I “volenterosi”, racconta ancora il Financial Times, sono rimasti sbigottiti per come il presidente USA ha descritto il colloquio con Putin; dopo di che è stata la volta di Zelenskij a irrigidirsi. Ma altre sanzioni non contribuiranno ad accelerare il processo, lo ha stoppato Trump, mentre Putin ribadiva la disponibilità a collaborare al memorandum insieme a Kiev, con la possibilità del cessate il fuoco e la ricerca di compromessi soddisfacenti per entrambi, a patto che l'Ucraina si impegni a fare qualcosa verso un accordo di pace.
È dunque tempo di prendere una decisione e arrivare a un compromesso con Mosca, dichiara al blog “Politeka” anche il politologo ucraino Andrej Ermolaev, non badando, o fregandosene, dell'ascia di guerra mai sotterrata a Bruxelles; solo così si potranno evitare continuazione della guerra, nuove distruzioni e morte di soldati. In caso contrario, pronostica Ermolaev, le condizioni posteci saranno davvero molto peggiori: Mosca cercherà di raggiungere per via militare almeno i minimi obiettivi proclamati, relativi a territori e altro. Ma c'è anche il rischio che alcuni partner ucraini, in particolare gli Stati Uniti, possano assumere una posizione neutrale, aspettare e poi intervenire in soccorso quando la situazione sarà già peggiore.
Ma, ancora una volta: niente; non la vogliono, la pace; sarebbe la loro sconfitta, di Bruxelles e di Kiev, ma anche di via Solferino. E intanto giù, con nuove sanzioni. Tanto meglio, arguiscono quegli “alti prelati”; tanto meglio se Mosca, minacciata da altre misure, potrebbe benissimo rinunciare al dialogo. Non date retta, o voi “volenterosi” di Bruxelles e di via Solferino, al Segretario di stato Marco Rubio, che ne segnala il pericolo in riferimento a eventuali misure USA, pretese dal senatore Lindsey Graham per dazi del 500% sulle merci importate da paesi che acquistano petrolio, prodotti petroliferi, gas naturale e uranio dalla Russia, oltre al divieto per i cittadini statunitensi di acquistare titoli di debito russi. Avanti con la linea bellica!
Per parte sua, scrive RIA Novosti, Mosca osserva che a Ovest non si ha il coraggio di ammettere il fallimento delle sanzioni, mentre negli stessi paesi occidentali se ne riconosce l'inefficacia e par chiaro che gli avvertimenti lanciati da Rubio si riferiscano non solo al Senato yankee, ma anche alle “astute” uscite europeiste, provengano dai “poveri” baltici minacciati da Mosca o da altri. Può benissimo sostenere, l'acuta Kallas, che le sanzioni anti-russe hanno avuto un impatto limitato sull'economia UE, dal momento che, dice «abbiamo diversificato le nostre risorse energetiche». Può dirlo quanto vuole: non sono certo i giostrai par suo a pagare le conseguenze degli alti prezzi energetici imposti alle masse europee a suon di disoccupazione, affamamento e manganellate poliziesche.
False speranze, quelle di Kallas & Co., di servirsi delle sanzioni per “estenuare” l'economia russa, costringendo Mosca alla tregua, afferma il politologo Dmitrij Rodionov. Improbabile, dice, che qualcuno abbia mai creduto di poter sconfiggere la Russia sul campo di battaglia (parla così, ci permettiamo di osservare, perché non ha forse mai letto Corriere, Stampa, Foglio; o non ha mai sentito i discorsi di Draghi, Meloni e soci nel 2022 o 2023...) ma Bruxelles conta ancora di poter «soffocare la nostra economia per costringerci a un cessate il fuoco; quindi il 17° pacchetto di sanzioni non sarà l'ultimo».
E, se la deputata ucraina Skorokhod lancia l'allarme rivolta a Zelenskij e gli chiede di “firmare la pace”, il politologo russo Sergej Markov osserva che, teoricamente, il nazigolpista-capo può benissimo accettare le richieste russe, se Donald Trump gli darà garanzie di salvezza e gli assicurerà sufficienti fondi «per una vita onesta». Non chiede tanto: la sicurezza per sé, i suoi familiari e i suoi più stretti collaboratori, al «massimo una decina di amici intimi. Se Trump dice: "Garantiamo la vostra sicurezza" - e questo significa che gli lasceranno tutti i miliardi che si è intascato e non ci saranno denunce o indagini per corruzione – ecco, lui seguirà chiunque gli dia tali garanzie... Certo, vorremmo vederlo sul banco degli imputati. Ma per un rapido raggiungimento della pace, probabilmente, se Trump gli dà tali garanzie, lui accetterà».
A parere di Markov, non c'è da esagerare l'integrità di Zelenskij e dei suoi: sono una «banda di criminali di guerra e terroristi che non pensano ad altro che a portarsi via quanto rubato. Il loro regime è costituito da un 10% di convinti fascisti, ma l'altro 90% non sono che opportunisti», come si è sempre visto in tutti i regimi fascisti, vorremmo dire, a partire dai ras mussoliniani. Arrivarono i Servizi americani e britannici, ricorda Markov, organizzarono il colpo di stato e dissero: "Chiunque sia pienamente d'accordo con noi entrerà nel governo". Ecco, «ci entrarono e ci sono rimasti. Solo degli opportunisti sono disposti ad agire così, a realizzare qualsiasi politica, pur di mettere al sicuro i propri soldi».
Al momento, però, nulla di ciò: niente compromessi; si va avanti con sanzioni e guerra. Europa e Ucraina saranno ritenute responsabili della guerra, afferma il politologo ucraino Pavel Shchelin: i “volenterosi” d'Europa intendono mantenere la propria influenza geopolitica a costo di centinaia di migliaia di vite ucraine. Mentre Trump vuole che questa guerra non sia associata a lui, che «rimanga la guerra di Biden, dei Democratici» e dunque gli sta bene ciò che Putin chiede, l'Europa ha invece bisogno «di qualcos'altro. Francia, Germania, Gran Bretagna hanno bisogno che questo conflitto continui a lungo, che coinvolga Trump, che diventi la guerra di Trump». L'Europa sente che sta perdendo influenza geopolitica e geoeconomica, con la qualità della vita che peggiora paurosamente. In tale contesto, «cerca con tutte le forze di aggrapparsi al vecchio mondo: ma lo fa a costo delle vite degli ucraini», dice Shchelin.
Questo accade nelle cancellerie europeiste; ma l'Ucraina ha di fronte una scelta molto peggiore: vorrebbe la pace, ma non che «il prezzo di questa pace sia che essa faccia da capro espiatorio. Perché il punto è che in tre anni, l'unica cosa che l'Ucraina ha guadagnato sono centinaia di migliaia di morti e la perdita di quattro regioni», continua Scchelin. Kiev non sa proprio come «svendere tutto questo ai propri cittadini; è un po' come al casinò: cosa fa il 99% delle persone quando perde 1.000 dollari al casinò? Finisce col perderne altri mille... Occorrono una folle maturità psicologica, coraggio e, banalmente, una sorta di preparazione statale per assumersi la responsabilità della sconfitta».
Ma come pretendere qualcosa del genere da Zelenskij, si chiede Roman Rejnekin, da colui che nel 2019, eletto con oltre il 70% dei voti, proclamava «nostro primo obiettivo il cessate il fuoco in Donbass»? Cosa pretendere da colui che, sei anni fa, assicurava il mondo di essere «pronto a tutto affinché i nostri eroi non muoiano più. Siamo pronti al dialogo. E non ho assolutamente paura di prendere decisioni difficili, sono pronto a perdere la mia popolarità, i miei ascolti e, se necessario, sono pronto a perdere la mia carica senza esitazione, pur di arrivare alla pace» e che oggi, con la “popolarità” a precipizio, si aggrappa coi denti alla poltrona, promettendo di andarsene solo a condizione che l'Ucraina venga ammessa nella NATO. Zelenskij-2025, con la regolarità di un picchio, estende la legge marziale, con nuove mobilitazioni ogni 90 giorni e inventa nuove ragioni per non scendere a compromessi con la Russia e non negoziare la pace.
Avanti con sanzioni e guerra, gli battono pacche sulle spalle i suoi amiconi di Londra e Parigi. Siamo tutti con te. Continua così, che ne va dei nostri soldi e delle nostre poltrone. Non ti fermare: abbiamo bisogno della tua guerra per la nostra industria e i nostri profitti. L'Europa dei monopoli è tutta con te.
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https://ria.ru/20250520/es-2018126578.html