"Una pace ingiusta e predatoria": il senso di Paolo Mieli per la guerra
“Carestia peste e carbonchio”: come a Bruxelles preparano la guerra contro la Russia
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Il raggiungimento di una prospettiva di pace che fermi il massacro in corso da almeno 11 anni in Donbass e da oltre tre nelle regioni sudorientali ucraine, dove va avanti il conflitto voluto dalla passata amministrazione yankee, insieme a UE e NATO, costituirebbe, per definizione, una «pace ingiusta... una pace predatoria, ostentatamente punitiva». Parola di qualcuno che, pur in età ormai matura, “continua” quella “lotta” iniziata in anni giovanili contro ogni percorso che partisse, a quei tempi, a est dell'Elba; una “lotta continua” rinnovata oggi, come sembra essere il caso del signor Paolo Mieli, contro ogni tragitto che inizi a est del Dnepr. Perché è un assioma: oltre quelle longitudini, socialismo o capitalismo che sia, non possono vivere che “aggressori”, i quali, nel caso odierno, non mirano ad altro che a imporre «un trattamento punitivo per l’Ucraina».
Anche se, a quanto è dato sapere, nel “complotto” russo-americano, non sembra si faccia cenno ad alcuna, doverosa, eliminazione della junta neonazista di Kiev, ma si tratti invece di portarla a un cessate il fuoco effettivo, ammesso che le elezioni chieste da Mosca, con la formazione di un governo temporaneo sotto egida ONU, possano determinare un vero mutamento del regime majdanista, con un qualsiasi “anti”-Zelenskij di facciata. Sono ancora nitide nella memoria le promesse elettorali del nazigolpista-capo, di metter fine alla guerra in Donbass, che gli avevano guadagnato la vittoria su Petro Porošenko.
E l'assioma di cui sopra, si estende oggi ai «prossimi colpi dei russi» che verranno, si dà per scontato, «contro l’insieme degli Stati europei»: cinquant'anni fa, si rideva al cinema con “Mamma li turchi”; oggi c'è ben poco da ridere, non foss'altro che per il tono “serioso” con cui si cerca di convincerci che, mutata la latitudine degli “aggressori”, il pericolo è altrettanto mortale, tanto da dover dotarsi del carosellistico “kit di sopravvivenza”, un bignami del Preparadeness Union Strategy per quei tre giorni che, ci si racconta, sarebbero sufficienti per difendersi dalle atomiche de “li nuovi turchi” iperborei.
Che fosse l'Unione Sovietica (ancora un po') socialista o sia la Russia uscita dalle “riforme” sachs-eltsiniane, quello altro non è che «un Paese destinato a vivere e sopravvivere esclusivamente in tempi di guerra». Dunque, europei, armatevi se volete resistere al nuovo “aggressore” e guardatevi da chi «osa... anche a costo di entrare in evidente contrasto con i moniti di Mattarella e Zuppi» - figuratevi un po' che coraggio! - domandarsi, come fa Gustavo Zagrebelsky, “Se non siamo in grado di garantire la pace giusta, saremmo disposti a fare la guerra, una guerra definitiva, con le bombe atomiche?”».
Improvvido dubbioso, che ardisce rispondere «apertamente di no», di fronte al dilemma se le persone vogliano “burro o atomiche” sulla testa! «Pusillanime» che non è altro! Come si può volere la pace, quando sarebbe, per assioma, una «pace predatoria, ostentatamente punitiva nei confronti di chi si sta battendo da oltre tre anni»! Una pace per i civili del Donbass? Non sia mai! Una pace che tolga di mezzo nazisti e loro foraggiatori liberal-europeisti? E perché poi! «L’Europa, su quella resistenza ha investito più di quanto abbiano fatto gli Stati Uniti» ed è dunque tempo di pretendere gli interessi “maturati”.
Quell'Europa che nel 2013 aveva «investito» sul golpe armato di majdan per togliere di mezzo un presidente Janukovic troppo esitante nel portare l'Ucraina della passata “rivoluzione arancione” sotto le bandiere UE; un'Europa che organizzava, coi cecchini “collaterali”, gli assassini di manifestanti e poliziotti in majdan Nezaležnosti; un'Europa che poi, col duo Merkel-Hollande, ridava forze al traballante Porošenko e ai suoi battaglioni nazisti, recitando la farsa del “Minsk 2” nel febbraio 2015; un'Europa che non ha mai speso una parola per i bambini di Stakhanov, Alcevsk, Pervomajsk, Artëmovsk, Gorlovka, Mar'inka, Kramatorsk e altri centri di LNR e DNR, assassinati dalle artiglierie ucraine nei parchi giochi, nei giardini scolastici, alle fermate degli autobus.
La parola d'ordine oggi “impegnativa per tutti” è quella di «difendere l'Europa». Anzi, come rincara la dose il novello “Vate”, dello stesso foglio milanese, si tratta di difendere non solo lo “spazio vitale” fino al Dnepr, bensì «il nostro modello di civiltà. Che ripudia la guerra, ma non può rinunciare a proteggere se stesso» dalle mire del «revanscismo imperiale» putiniano, dalla sua «svolta anti-occidentale», chiamata a controbilanciare la «sua crescente impopolarità interna» col dar vita a «un nemico esterno, demonizzando gli Usa e la Ue»: parola del signor Maurizio Ferrera.
Ma non è finita qui; non si tratta solo di «difendere l'Europa» da una guerra guerreggiata: la «strategia putiniana mira anche a destabilizzare le democrazie europee, tramite campagne di disinformazione, finanziamenti occulti alle formazioni sovraniste, interferenze elettorali, continui attacchi informatici», per arrivare a «minare il progetto di integrazione europea, che oggi rappresenta» - il lettore blocchi sul nascere l'istinto alla risata o al vomito - «l’esempio più avanzato al mondo di convivenza multi-nazionale basata sui principi liberali e democratici». Basta intendersi sulla categoria di “convivenza” e, soprattutto, su quella di “democrazia”: sul suo contesto storico, il suo contenuto di classe, la sua forma applicata alle esigenze del profitto capitalista e alla conseguente schiavitù delle masse. Ma, state attenti, o voi cafoni e imbelli che non arrivate a capire che si tratta di difendere «il nostro modello di civiltà»: è il “Vate” che parla e vi chiarisce le idee.
Ogni trattazione sulla «difesa europea è tutta incentrata sulle contrapposizioni astratte fra pace o guerra, burro o cannoni, armi o sanità. Il risultato è che i cittadini non capiscono che cosa ci sia da difendere. Il territorio dell’Ucraina? I confini orientali della UE? L’approvvigionamento energetico? La nostra sopravvivenza fisica? Nessuno dice che la posta in gioco è un’altra: la difesa (appunto) del modello europeo di civiltà». Sono in molti, in troppi, oggi - per citare un solo esempio, riferito alla situazione nel settore più vulnerabile: quello della sanità – coloro che aspettano il “Vate”, fuori dei portoni di tanti ospedali e policlinici del «modello europeo di civiltà», non solo in Italia, per chiarire, loro a lui, le idee su cosa significhi la contrapposizione «fra pace o guerra, burro o cannoni, armi o sanità». Per l'appunto, nel settore pubblico della sanità e non in quello privato, cui possono permettersi di accedere i troppi “vati” del Corriere della Sera. Vadano loro a chiarirsi le idee dai pazienti costretti ad attraversare in lungo l'Italia per poter accedere a cure che, stante la scure su « burro o cannoni, armi o sanità», latitano nei luoghi di residenza. Ma basta.
La “lotta”, ci chiariscono da via Solferino, deve essere anche oggi “continua”, contro il solito “aggressore” che viene dal nord. E allora, se nessun altro ci sta, o esita troppo, ben venga una «missione franco-inglese a Kiev», o giù di lì. L'Europa è infatti di fronte a un «Momento della storia decisivo», come ha detto il tagliagole Macron, annunciando nientepopodimeno che una “forza di rassicurazione”, per un «sostegno incondizionato all'Ucraina da parte di una serie di governi europei e alleati», perché, diciamocelo francamente, «Putin finge di negoziare ma non vuole la pace». E allora, sta a noi, che siamo così tanto pacifisti, «sferzare l'Europa», come fa Mattarella, che esige «Sulla difesa decisioni rapide». Tanto rapide, affinché «la Russia non provi ad attaccare di nuovo, come ha fatto nel 2022 nonostante gli accordi di Minsk».
Ma, chi scrive su certi giornali, ad esempio il signor Stefano Montefiori, sa cosa siano stati gli «accordi di Minsk» e chi non ne abbia mai rispettato le clausole, a partire dal ritiro delle artigliere e dei mezzi corazzati a 50 km dal fronte, la neutralità dell'Ucraina e, soprattutto, dalla concessione, in via costituzionale, di uno status speciale alle regioni di Lugansk e Donetsk, a larghissima maggioranza russofone? Sono passati sette anni, dal febbraio 2015 all'inizio del conflitto nel sud-est ucraino: cosa ha fatto la cosiddetta Europa, in quei sette anni, se non foraggiare e armare di tutto punto, a fianco di USA e NATO, la junta nazigolpista di Kiev, santificando i suoi ras quali “combattenti per l'europeismo e la democrazia” contro “l'aggressione” di una “potenza autocratica” e bloccandone perfino, nell'aprile 2022, con l'allora degno rappresentante dell'eterno impulso imperiale britannico, l'ex premier Boris Johnson, il pur minimo accenno a concludere un accordo con Mosca?
Ora è invece il novello “Napoleon” gallico a proclamare, infischiandosene del ridicolo e, soprattutto, dell'intelligenza delle persone, che sia stata Mosca ad aver «completamente reinventato quel che è successo negli ultimi tre anni». Al contrario, l'Europa è sempre rimasta fedele alla propria vocazione: tutto per i profitti dei monopoli; oggi, in prima linea, quelli del complesso militare-industriale, le cui casse esigono che la guerra vada avanti, anche rimpolpando gli arsenali dei vari paesi, ormai da tempo sguarniti per le forniture alla junta nazista di Kiev. La vocazione dei «volenterosi per l’Ucraina»; o, per meglio dire, dei “volenterosi” che, attraverso l'Ucraina e la “necessità della difesa dell'Europa dall'aggressore autocratico”, affamano le masse, mettono le catene a ogni impulso a ribellarsi alle persecuzioni belliciste e proclamano se stessi “unici portatori della verità”. I “volenterosi” insomma, che, come recita un'altra “colonna portante” di via Solferino, quale il signor Antonio Polito, insorgono contro «le nostre antiche tentazioni», innate negli «europeisti vecchia maniera» che, nello specifico dell'Italia, «nicchiano, tergiversano, cavillano» e che perciò è lecito definire «svogliati», cui per fortuna (di chi?) si oppone una coalizione di «”volenterosi” che Francia e Regno Unito stanno tentando di mettere insieme».
Quella che opera, insomma, non è altro che la vecchia italica “indole” dei «bassi motivi di politica interna», insieme alla «antica e radicata tentazione “neutralista” presente in tutte le maggiori culture politiche del nostro Paese» e che opera sin da quando, al contrario, i “risoluti e i decisi” del Corriere della Sera, nel settembre 1912, salutavano la marcia delle tre colonne a Derna contro la fiacca resistenza ottomana, o quando, nel maggio di tre anni dopo, contro ogni ««antica e radicata tentazione “neutralista”» titolavano trionfalmente e senza altri fronzoli «Guerra!», o ancora, nell'ottobre del '41, gioivano perché «L'offensiva degli eserciti alleati prosegue vittoriosa su tutto il fronte orientale». Ah, sospirano nel 2025 a via Solferino, come sarebbe entusiasmante poter ripetere oggi quei titoli, con l'offensiva della nuova «coalizione di volenterosi» verso il fronte del Dnepr! Per il momento, contentiamoci pensando che «Naturalmente, alla fine l’aumento di spesa militare si farà. E così la variegata “coalizione degli svogliati” avrà avuto l’unico effetto di renderci irrilevanti». Stiano dunque alla larga, quegli smidollati e svogliati, da “i risoluti e i decisi” del Corriere della Sera: loro sì che hanno sempre saputo e sanno, oggi più che mai, da che parte stare quando all'ordine del giorno c'è la guerra. Sì, ma vadano davvero ai portoni dei policlinici: qualcuno potrà loro spiegare meglio da che parte stanno le masse popolari che «nicchiano, tergiversano, cavillano».
Per parte loro, quelli di via Solferino sanno di dover stare dalla parte dei profitti di guerra, mentre diffondono il nuovo verbo europeista della «preparazione alla guerra con la Russia», sollecitando alla generosità nei confronti dei produttori di armi, americani o europei che siano, specialmente ora che si teme venir meno il decisivo apporto del principale sponsor della NATO, il vecchio “amico americano”, che ha sinora garantito i principali vantaggi strategici in un'ipotetica guerra con la Russia, come la superiorità data dai missili da crociera tattici e dalla composizione combinata di marina e aviazione tattica. Anche se, come nota tale “Versija Kargina” su News-front.su, questo è solo un aspetto del problema: quello maggiore è che la nuova cosiddetta “NATO-meno” non sarà in grado di cambiare rapidamente la situazione data dalla fine del concorso USA alla “difesa europea”; è quantomeno dubitabile che, stante l'attuale stato dell'economia europea, sia raggiungibile in tempi rapidi la parità strategico-militare con la Russia in armi convenzionali. Di fatto, il moderno complesso militare-industriale, quale vertice delle catene tecnologiche, ha alla base tre industrie fondamentali: metallurgia, chimica e radioelettronica e oggi si fa drammaticamente sentire la deindustrializzazione dell'ultimo decennio. Basti dire che, per quanto riguarda la produzione di proiettili, ad esempio, in Gran Bretagna, a eccezione dei laminatoi, non ci sono impianti siderurgici in funzione, mentre in Germania il gigante chimico «BASF» ha chiuso la produzione nel 2024. Molti nella UE, conclude semi-ironicamente quel tale “Kargin”, ritengono che ci si debba preparare alla guerra con la Russia e si debbano inviare truppe in Ucraina, ma ognuno, preso a sé, è convinto di non doverlo fare lui stesso, bensì il suo vicino.
Insomma, quantomeno ufficialmente, scrive RIA Novosti, il 27 marzo, a Parigi, non si è prospettata alcuna soluzione diplomatica; non si vogliono negoziati con Mosca o una riduzione delle tensioni: «La revoca delle sanzioni a Mosca è fuori discussione», ha dettato il nuovo “padre della democrazia europea”, il moderno “bellicista gallico”. Si vuole la guerra e si punta alla totale militarizzazione del “blocco paneuropeo” da qui al 2030. Detto in poche parole, conclude RIA, se questo non è un «piano di attacco al nostro Paese, un piano di assassinio di massa di nostri cittadini», allora cos'è un piano militare per l'aggressione al nostro Paese?... Si tratta di guerra. Una guerra tra il blocco paneuropeo e la Russia». Quel che è oggi certo è che il 27 marzo 2025, a Parigi, i nomi di coloro che hanno oliato la macchina da guerra, l'hanno preparata, hanno condotto una campagna di propaganda per essa e hanno messo la firma “per il suo adempimento”, sono quelli di Emmanuel Macron e Vladimir Zelenskij.
Del resto, il gallico l'ha proclamato apertamente, il 27 marzo, che una squadra di specialisti degli Stati Maggiori franco-germano-britannici si recherà a Kiev già «nei prossimi giorni» per «preparare l'esercito ucraino del futuro»: ciò che non era riuscito al duo Merkel-Hollande nel 2015 a Minsk allorché, a detta dei giornalopiattisti del Corriere della Sera, si sarebbe dovuto impedire alla Russia di «attaccare di nuovo, come ha fatto nel 2022 nonostante gli accordi di Minsk». Accordi che, ricordiamolo, avrebbero dovuto impedire ai nazisti di Kiev di continuare a bombardare i villaggi e i centri di LNR e DNR, assassinando la popolazione civile che non ne voleva sapere di essere ghigliottinata, nel senso sociale, politico, economico della cosa, dalle bande naziste al soldo di USA, UE e NATO.
In conclusione, per dirla con Jurij Barancik, che ne scrive su News-front.su, descrivere i tanti scenari per l'introduzione di contingenti stranieri in Ucraina è diventato una sorta di sport pseudo-analitico. Riassumendo però tutto ciò che è stato detto sinora, le condizioni per la realizzazione di qualsiasi scenario si riducono in pratica a una sola, quella della passività di Mosca per la violazione di uno dei suoi principali requisiti di sicurezza: niente truppe nemiche in Ucraina, sotto qualsiasi forma. Il nemico è sicuro, scrive Barancik, che Mosca non reagirà e dunque, se arrivano soldati francesi a Odessa o inglesi a Kiev, potranno rimanervi tranquilli, non accadrà loro nulla di male. Ciò non vuol dire che a ogni dichiarazione provocatoria di Macron, Mosca debba «rispondere con un attacco nucleare al Bois de Boulogne; sebbene, se lo facessimo una volta, molti problemi sarebbero risolti. Ma è necessario chiarire: Macron e Starmer sono due pazzi, e possono dire quello che vogliono. Ma se provano a mettere in pratica qualsiasi cosa dicano, la risposta sarà inevitabile».
Ma Parigi, Londra e Berlino continuano su quella strada e, mentre si preparano alla guerra e proprio per prepararne il quadro interno, stanno mettendo a punto, per la classe operaia, per le masse popolari dei paesi europei, le condizioni per cui «nella regione ci sarà carestia o peste, carbonchio o ruggine, invasione di cavallette o di bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo nella sua terra o nelle sue città, quando scoppierà un'epidemia o un flagello qualsiasi» (Cronache 2; 6-28). Siamo avvertiti; ma lo siano anche quegli sporchi assassini e i loro pennivendoli “risoluti e i decisi”.