Unione per il Mediterraneo, perché nessuno parla di questo (ennesimo) fallimento dell'UE?

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Unione per il Mediterraneo, perché nessuno parla di questo (ennesimo) fallimento dell'UE?


Il dibattito sul fenomeno ormai biblico e, secondo un’opinione diffusa, irreversibile dell’esodo dai paesi africani di milioni di persone ignora del tutto le responsabilità gravissime di un’Unione Europea che ha rinunciato a quel progetto politico di cooperazione economica, culturale e politica che ha il nome ormai dimenticato da tutti dell’Unione per il Mediterraneo.

Se ci chiediamo il perché del fallimento di quel processo di Barcellona che sarebbe dovuto sfociare in un’Unione politica ed economica, premessa di una progressiva integrazione paritaria fra le economie e le società dei paesi del Mediterraneo, la risposta non può essere altro che la conseguenza dell’inconciliabilità di una soluzione che proponeva di ristabilire la pace nel Mediterraneo, con le politiche internazionali dei singoli stati membri, dirette a consolidare rapporti neocoloniali. Soprattutto, infatti, i maggiori protagonisti europei del processo di globalizzazione, la Germania, il Regno Unito e la Francia, hanno preferito condurre autonomamente politiche spesso aggressive nei confronti di popolazioni non di rado mal governate e, quindi, sfruttate anche dai sistemi politici autoctoni, definiti predatori, perché retti da leader che hanno praticato politiche inadeguate a favorire un reale sviluppo economico, a garantire la salvaguardia d’interi territori, favorire l’occupazione e garantire condizioni di vita accettabili.

La prevalenza oramai sempre più evidente della centralità del mercato e della tenuta dell’EURO ha guidato, infatti, la scelta cinica di abbandonare i rapporti fra i paesi delle due sponde del Mediterraneo alle consuete prassi delle politiche neocoloniali, privilegiando le scelte dei paesi meno interessati alla stabilità e alla pace nel Mediterraneo. Germania, Regno Unito, Francia e loro alleati hanno, infatti, preferito optare per quell’allargamento ai paesi dell’Est, funzionale a un’espansione e controllo del mercato europeo, sottraendo così all’influenza economica e politica russa paesi già membri del COMECON (Consiglio di Mutua Assistenza Economica).

La Conferenza di Barcellona del 1995 che, con tutti i suoi limiti, aveva gettato le basi di un processo ambizioso, avrebbe dovuto portare alla nascita di un tavolo multilaterale di dialogo e cooperazione fra gli allora 15 paesi membri dell’UE e 12 paesi mediterranei come l’Algeria, Cipro, l’Egitto, Israele, la Giordania, il Libano, Malta, il Marocco, la Siria, la Tunisia, la Turchia e l’Autorità Palestinese. Ma coinvolgendo anche la Lega degli Stati arabi e l’Unione del Maghreb arabo (UMA e successivamente la Mauritania (in qualità di membro dell’UMA).
In realtà, delle tre linee previste dagli accordi di Barcellona, e cioè il partenariato politico e di sicurezza (che mirava a realizzare uno spazio comune di pace e di stabilità), il partenariato economico e finanziario (che intendeva creare una zona di prosperità condivisa) e il partenariato culturale e sociale e umano (che si proponeva di sviluppare le risorse umane e favorire la comprensione fra culture e gli scambi fra società civile), l’Unione Europea ha privilegiato la prima, che corrispondeva ben più agli interessi e alle esigenze dei paesi europei piuttosto che favorire lo sviluppo economico e sociale dell’altra sponda del Mediterraneo.

Se a ciò si aggiungono gli improvvidi - se non criminali - interventi armati che hanno contribuito a destabilizzare l’intera area del Maghreb e del Vicino Oriente, il cui caso più eclatante è quello dell’aggressione alla Libia, con l’intento di abbattere quell’autentica icona dell’unità dei popoli e dei paesi africani rappresentata dal Colonnello Gheddafi, non possiamo dimenticare i falsi entusiasmi per le cosiddette primavere arabe che, com’è tristemente noto, si sono tradotte nell’istaurazione di regimi ancora più autoritari di quelli sconfitti, consegnati nelle mani di capi religiosi o regimi militari o peggio, di nuovi regimi, come nel caso di DAESCH, che assommano i caratteri più pericolosi e retrogradi di entrambe le esperienze.

L’attuale esodo ingovernabile di masse sempre più consistenti di migranti – fenomeno che, più in generale, è certamente legato comunque ai guasti causati da quel processo di globalizzazione che riduce le società umane ad agglomerati sempre più liquidi, nei quali empatia e solidarietà sembrano destinate a sparire - è stato decisamente ingigantito dalle scelte egoistiche e violente maturate dai singoli paesi europei, nel silenzio colpevole dell’Unione Europea.

 Un fenomeno che ha trasformato le vittime di un processo storico tipicamente capitalistico in invasori che minano alla base la nostra… “pacifica” convivenza sociale (sic!) e la nostra sicurezza.

La riduzione del grande e storico problema del Mediterraneo - da millenni teatro di floridi e pacifici scambi fra popoli e culture nonostante momenti e fasi critiche e conflittuali – al tema della sicurezza, dei censimenti e dei numeri chiusi, e di veri e propri lager di qua e di là dal mare, è sintomo di una totale assenza di lungimiranza, di approccio strategico e visione politica che mostra un totale, ignorante disprezzo per quella storia del Mediterraneo così ben raccontata da Fernand Braudel.  


Carlo Amirante e Dario Catena
 

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