Verso una post-democrazia di sorveglianza

Le mosse liberticide in Germania e Romania sono il segno inequivocabile di una trasformazione della democrazia moderna

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Verso una post-democrazia di sorveglianza

 

 

a cura di Daniele Trabucco (*)

 

Gli eventi occorsi recentemente in Germania e Romania, con la proposta di messa al bando del partito Alternative für Deutschland (AfD) da parte di alcune forze politiche tedesche e con l’esclusione di Calin Georgescu dalla corsa presidenziale romena, non costituiscono meri episodi contingenti o marginali nella vita democratica delle rispettive Nazioni. Al contrario, essi rappresentano segnali inequivocabili di una metamorfosi strutturale della democrazia moderna, la quale, nata da premesse filosofiche e giuridiche proprie della modernità, sembra oggi concludere coerentemente il proprio ciclo storico in forme sempre più incompatibili con l’autentico ordine politico fondato sul diritto naturale classico. In tal senso, la democrazia, svuotata della sua originaria carica partecipativa e ridotta a un meccanismo formale e procedurale gestito da élite tecnocratiche e giudiziarie, manifesta il proprio fallimento nella misura in cui nega se stessa.

In Germania, l’intento di alcune forze politiche di valutare l’illegittimità dell’AfD, seconda forza politica del Paese dopo le ultime elezioni per il Bundestag, segnala una tensione crescente tra il principio della rappresentanza e quello della cosiddetta «difesa della democrazia». Questo principio, formalizzato in dottrina come wehrhafte Demokratie (democrazia militante), si traduce in una concezione della democrazia che, per auto-conservarsi, può ricorrere all’esclusione sistematica di forze giudicate antidemocratiche. Tuttavia, tale esclusione, nel momento in cui è promossa da organi non elettivi o da settori dell’apparato giudiziario o amministrativo, determina una torsione autoritaria dell’intero impianto democratico, violando il principio di sovranità popolare su cui essa formalmente si fonda. Analogamente, in Romania, l’esclusione del candidato Calin Georgescu dalla competizione presidenziale, figura legata al movimento AUR (Alleanza per l’Unione dei Romeni), espressione della destra identitaria, si è consumata attraverso meccanismi in cui le autorità amministrative e giudiziarie hanno esercitato un controllo sostanziale sul processo elettorale, in nome di presunti pericoli per la sicurezza nazionale e di influenze straniere. Tuttavia tale prassi, lungi dall’essere una garanzia di stabilità, sancisce la crisi della dimensione rappresentativa e partecipativa, giacché delegittima in radice l’espressione popolare di settori della società che si riconoscono in visioni del mondo alternative a quelle dominanti.

La successiva affermazione al primo turno del leader dell’AUR, George Simion, con il 41% dei voti, testimonia la distanza crescente tra le istituzioni e i corpi sociali reali. È a questo punto che occorre un’analisi più profonda, di ordine filosofico-politico. La democrazia moderna, come hanno mostrato autori quali Pierre Manent, Rémi Brague e Marcel de Corte, non si fonda più su una nozione sostanziale di bene comune, radicata nell’ontologia  e nella legge naturale, quanto su un formalismo procedurale che esclude ogni riferimento alla verità. La sovranità popolare, privata di limiti oggettivi e ridotta a pura volontà di potenza collettiva, diviene presto manipolabile da meccanismi extra-rappresentativi e da dispositivi di controllo ideologico esercitati in nome della mitologica «tutela dei valori costituzionali», sempre più astratti e indeterminati. Nella prospettiva del diritto naturale classico, come elaborata da san Tommaso d’Aquino e ripresa in epoca contemporanea da pensatori quali Heinrich Rommen, Charles De Koninck e, in ambito giuridico, da Michel Villey, l’autorità politica è ordinata al bene comune in quanto realtà oggettiva e finalisticamente fondata. La democrazia, in questa cornice, non è un fine in sé, ma una forma di governo legittima nella misura in cui rispetta la legge naturale, riconosce i diritti originari delle comunità naturali (famiglia, religione, patria) e non riduce la libertà a mera autodeterminazione soggettiva.

Quando, viceversa, la forma democratica si assolutizza e si separa dai fondamenti assiologici e antropologici dell’ordine politico, essa degenera in un sistema autoreferenziale, tecnocratico e repressivo delle differenze. Il pensiero contro-rivoluzionario, da Joseph de Maistre a Juan Donoso Cortés fino a Nicolás Gómez Dávila e a Danilo Castellano, ha lucidamente previsto tale esito. Una democrazia che nasce dal rifiuto della verità oggettiva e del diritto naturale è destinata, prima o poi, a divenire intollerante verso ogni forma di dissenso che metta in discussione i dogmi laici del nuovo ordine ideologico. L’attuale esclusione sistematica delle destre identitarie in nome dell’antifascismo e della difesa dell’ordine costituzionale va letta, in questa ottica, non come una deriva, bensì come il compimento delle premesse illuministiche, individualistiche e secolariste del costituzionalismo moderno.

Ogni decisione sembra, allora, sempre più sottratta alla politica per essere affidata a organi giudiziari, media e apparati amministrativi e ciò segna il passaggio da una democrazia rappresentativa a una post-democrazia di sorveglianza, nella quale il dissenso è delegittimato prima ancora di essere espresso. In conclusione, la crisi della democrazia moderna non può essere compresa se non alla luce delle sue radici filosofiche e giuridiche. Essa non è frutto di contingenze, ma esito coerente di una visione dell’uomo e della società che ha rifiutato la verità naturale e l’ordine finalistico del reale. La messa al bando dei partiti identitari, l’esclusione dei candidati sgraditi, l’assolutizzazione dei valori costituzionali astratti sono tutte espressioni di un paradigma politico ormai giunto alla sua fase terminale. Solo un ritorno al realismo politico e giuridico della tradizione classica, capace di riconoscere l’oggettività del bene comune e della legge naturale, potrà offrire una via d’uscita all’implosione della democrazia contemporanea.

 

*Prof. Daniele Trabucco. Professore universitario strutturato di Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «san Domenico» di Roma (classi di Laurea L-12 e LM-94). Direttore del Dipartimento di Diritto Pubblico-Internazionale-Comunitario del Polo territoriale «Unidolomiti» di Belluno della Scuola Superiore per Mediatori Linguistici/Istituto ad Ordinamento universitario «san Domenico» di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico e titolare del Master universitario di I livello in Integrazione europea: politiche e progettazione comunitaria.

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