80 anni da Hiroshima: l’Uomo al suo ultimo miglio?

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80 anni da Hiroshima: l’Uomo al suo ultimo miglio?


di Alex Marsaglia

Il 6 agosto ricorrono gli 80 anni dallo sgancio della prima bomba atomica. Venne lanciata dagli Stati Uniti sulla città giapponese di Hiroshima, 343.000 abitanti, tre giorni dopo una seconda verrà lanciata su Nagasaki. Tra le 60 e le 80.000 persone vennero incenerite all’istante a Hiroshima e 40.000 a Nagasaki, assieme a ogni altra struttura civile: ospedali, scuole, fabbriche. Entro la fine del 1945 saranno altri 145.000 i morti, ben oltre i numeri causati dall’esplosione stessa. La Bomba aprì una nuova epoca storica, insegnando a non contare i morti subito, perché sarebbero stati gli effetti delle radiazioni a fare il maggior numero di vittime. Questi i numeri degli effetti diretti conteggiati dalla statistica, e quindi direttamente dimostrabili, ma ci fu anche un altro lato della medaglia: l’incremento del numero di morti per casi di cancro e altre malattie croniche terminali che nessuno attribuì mai direttamente alla Bomba, ma che furono le radiazioni ad innescare. Allora gli Stati Uniti compirono questa strage di civili, oltre che come experimentum in corpore vili per testare l’effetto reale della nuova arma - dopo aver passato il mese di Luglio con lanci nel deserto del Nevada - anche per auto-affermazione della propria potenza. Nel 1945 si apriva infatti il ciclo egemonico degli Stati Uniti che avendo vinto la Seconda Guerra Mondiale si accingevano ad imporsi come nuova potenza mondiale dopo il crollo dell’Impero britannico. E agli Stati Uniti occorreva proprio un’arma di dominio assoluto per schiacciare e isolare la controparte, cioè l’Unione Sovietica che arrivò all’arma atomica solo quattro anni dopo.

Ebbene, oggi viviamo invece in un contesto di decadenza della potenza egemone, non per questo meno pericoloso. Gli Stati Uniti hanno infatti identificato come unica via d’uscita alla loro caduta la crescita infinita della militarizzazione, delle spese militari e dell’aggressività che diviene la ragione di fondo che alimenta a sua volta una vera e propria mutazione sociale in cui l’Uomo viaggia sul filo del rasoio dell’Apocalisse nucleare.

Dobbiamo infatti fare i conti con la tecnica che ha fatto passi da gigante e che con la scoperta dell’arma atomica ha realmente creato una nuova Storia, un “giorno zero” come lo definì Günther Anders, in cui è iniziato «un nuovo computo del tempo: il giorno a partire dal quale l’umanità era irreparabilmente in grado di autodistruggersi» (1), costretta a vivere perennemente in dubbio esistenziale. Insomma, il giro di boa dell’arma atomica ha sostituito l’umanità quale soggetto della storia ponendovi al suo posto la tecnica che «è diventata la storia nel corso del più recente sviluppo storico; il che trova terribile conferma nel fatto che dal suo corso e dal suo impiego dipende l’essere o il non-essere dell’umanità» (2).

Questo ha una ricaduta esiziale sull’Uomo, poiché si può dire con Anders che l’uomo è stato, ma dopo l’invenzione dell’arma atomica non sarà, poiché «noi oggi siamo coloro che, agli occhi di quelli che vivranno dopo di noi, dato che questi non ci saranno, non saranno mai stati. Quindi noi e i nostri antenati siamo già anche i-mai-stati!» (3). Come amava ricordare il filosofo de La Bomba: “Nei cimiteri in cui riposeremo nessuno verrà a piangerci. I morti non possono piangere altri morti” ed è esattamente questa la spada di Damocle a cui l’Uomo, nella sua disumanizzazione, è sottoposto dalla tecnica.

Questo problema filosofico è aggravato dall’analisi reale della situazione reale che vede l’esacerbarsi della violenza in ambito geopolitico con minacce continue di utilizzo dell’arma atomica, a monito l’ultimo scambio di battute tra Trump e Medvedev. Si pensi poi solamente che dal 7 Ottobre 2023 Israele ha scatenato sulla Striscia di Gaza, su poco più di 2 milioni di persone inermi, 20 volte il potenziale esplosivo di Hiroshima. Infatti il crollo del bipolarismo nel 1989 ha portato al dominio degli Stati Uniti per un ventennio, in cui hanno mosso guerre “asimmetriche” in tutto il mondo senza incontrare resistenza alcuna. L’epoca dell’unipolarismo si è progressivamente conclusa a partire dal 2009, con il graduale affermarsi del multipolarismo guidato dai BRICS. In questo contesto è diventato evidente anche ai Paesi più piccoli e isolati che, proprio per questa loro caratteristica, sono a rischio distruzione senza lo sviluppo dell’arma atomica che li renderebbe capaci di esercitare l’autodifesa necessaria all’autodeterminazione. Siano d’esempio i casi della Corea del Nord, mai attaccata, rispetto all’Iran che è stato invece recentemente oggetto di una feroce aggressione fuori dal diritto internazionale da parte di Israele e Stati Uniti. Ebbene, lo stesso Anders prevedeva questo diritto all’autodifesa completando il comandamento «Non uccidere» (Esodo 20,13) con «Puoi, persino devi, uccidere coloro che sono pronti ad uccidere l’umanità e che pretendono che gli altri uomini, dunque noi, giudichino bene le loro minacce e partecipino alle loro azioni. Non basta che tu ti tenga a distanza dalle azioni che mettono a repentaglio la vita dell’umanità (…) Non c’è niente di più ipocrita che evitare il male solo perché si desidera avere una buona coscienza» (4).

Questa necessità derivante dai rapporti di forza delle relazioni internazionali sempre più aggressive ha determinato una espansione nucleare che ha fatto saltare in molti casi fondamentali i Trattati di Non Proliferazione Nucleare. Inoltre, l’assoluta non terzietà delle istituzioni internazionali che avrebbero dovuto controllare lo sviluppo dell’energia atomica in senso “sicuro”, come l’AIEA, ha comportato l’incapacità di regolare tale non proliferazione. Il recente caso iraniano deve essere preso ad esempio paradigmatico: l’AIEA ha continuato ad indagare l’Iran, Paese aggredito da una potenza atomica che non ha mai aderito ai Trattati di Non Proliferazione Nucleare, finché l’Iran non ha chiuso la sua collaborazione con l’AIEA, per legittima difesa. Insomma, in un contesto anomico simile non è difficile immaginare che vi sia una forte spinta alla proliferazione nucleare.

Infine, occorre denotare una caratteristica del cosiddetto nucleare “sicuro”, cioè quello “civile”. Quest’ultimo infatti, in contesti geopolitici fortemente deteriorati in cui gli attriti si fanno sempre più forti, può rientrare velocemente e diffusamente in zone di guerra. È il caso ad esempio delle centrali di Zaporizhizhia, di Dimona, di Natanz, Fordow e Isfahan colpite ripetutamente negli ultimi due conflitti in Est Europa e Medio Oriente. È evidente anche al più accalorato difensore del nucleare che se i siti per l’energia atomica civile, seppur sicuri, diventano obiettivi militari strategici in una guerra totalmente anomica, com’è stato, in cui il rispetto delle più basilari norme delle Convenzioni internazionali non è più possibile, abbiamo un problema come umanità.

In primo luogo, siccome la guerra è «lo stato normale dell’uomo»(5) e poiché come ricordava Machiavelli nella sua commedia Clizia: «Se nel mondo tornassero i medesimi uomini, come tornano i medesimi casi, non passerebbero mai cento anni, che noi non ci trovassimo un’altra volta insieme, a fare le medesime cose, che ora», allora ci troviamo davanti ad un orizzonte di guerra pericoloso per l’intera umanità. In secondo luogo, in seguito al progresso viene richiesta sempre più energia per far funzionare impianti produttivi, centri commerciali, abitazioni ecc. e viene fatto un utilizzo sempre più estensivo ed intensivo dell’energia atomica.

Date queste due premesse, il ritrovarci in una fase di crescente estensione dei conflitti ci pone davanti alla progressiva probabilità statistica di incappare in esplosioni nucleari.

La gravità, la quantità e la frequenza di queste ci pone una questione ineludibile: possiamo ritenere l’Uomo al suo ultimo miglio? Ebbene, 80 anni dopo il primo lancio della bomba atomica la risposta è sì. L’uomo stritolato dalla tecnica continua ad essere quell’«incolpevolmente colpevole», preda del «dislivello prometeico» e incapace di realizzare un dolore così grande singolarmente, come Claude Eatherly che si lasciò dietro di sé duecentomila anime innocenti avendo premuto un sol bottone (6). La battaglia più giusta sarebbe quella per la de-escalation atomica, quindi - come riteneva Günther Anders - che quegli Stati che hanno la bomba atomica se ne privino. Ci troviamo però inevitabilmente davanti allo scoglio della natura umana, come ricordato, inesorabilmente conflittuale e corrotta dalla volontà di sopraffazione del prossimo. L’Essere Sociale da quando esiste è portato al conflitto non per sopravvivenza, come nello stato pre-sociale di natura, ma per supremazia. La de-escalation nucleare rischia quindi di essere molto più utopistica di un’escalation nucleare che porterà sempre più Stati ad avere la bomba atomica e quantomeno ad una proliferazione del nucleare civile. Insomma, ci troviamo di fronte ad un’aut-aut di non poco conto: perseguire il sacrosanto diritto all’autodeterminazione, all’indipendenza di interi Stati e comunità in un’era in cui l’unico modo per esercitarli è avere l’arma atomica, oppure rinunciare a tale auto-affermazione lasciando che l’ingiustizia schiacci interi popoli? La risposta ci porta in ogni caso ad una proliferazione nucleare, ma nel primo caso equamente distribuita sul pianeta, con possibilità di accesso anche a chi, in assenza del rispetto del diritto internazionale, altrimenti verrebbe sottoposto al dominio più cieco dal terrore nucleare come accaduto all’Iran lo scorso Giugno.

Certamente, la cosa più auspicabile per l’Essere Umano sarebbe un controllo sociale della tecnica e del progresso, riducendo la bomba atomica ad un non-essere, cioè la de-escalation e la totale distruzione delle armi atomiche. La natura dell’Essere Umano però purtroppo sembra rendere la soluzione più auspicabile per la salvezza dell’umanità anche quella più utopistica, l’irrazionale domina e si prende la scena in un delirio disumano perseguito dall’Uomo stesso: «l’uomo ha sempre e dappertutto, chiunque egli sia, amato agire come voleva, non come la ragione e il suo interesse gli imponevano; si può volere anche contro il proprio interesse» (7).

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1 G. Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza, Mimesis, Milano, 2008,p. 73

2 G. Anders, L’uomo è antiquato. Vol. II - Sulla distruzione della vita nell’epoca della terza rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, p. 258 (corsivo nell’originale)

3 G. Anders, Nemmeno “soltanto che saremo stati” in Brevi scritti sulla fine dell’uomo, Asterios Editore, Trieste, 2023, p. 57

4 G. Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza, Op.Cit., p. 25

5 J. de Maistre, Considerazioni sulla Francia, Editori Riuniti, Roma, 1985

6 rif. G. Anders, (a cura di Micaela Latini) L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica, Mimesis, 2016

7 F. Dostoevsky, Memorie dal sottosuolo, Mondadori, Milano, 2017

 

Alex Marsaglia

Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989, assiste impotente per evidenti motivi anagrafici al crollo del Muro di Berlino. Laureato in Scienze politiche con una tesi sulla rivista Rinascita e sulla via italiana al socialismo, si specializza in Scienze del Governo con una tesi sulle nuove teorie dell’imperialismo discussa con il prof. Angelo d’Orsi. Redattore de Il Becco di Firenze fino al 2021. Collabora per un breve periodo alla rivista Historia Magistra. Idealmente vicino al marxismo e al gramscianesimo. Per una risposta sovranista, antimperialista e anticolonialista in Italia e nel mondo intero. 

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