A 38 anni dall’omicidio, Sankara vive nel Burkina Faso di Traoré
L'eredità del "Che Guevara africano" è il cuore della svolta anti-coloniale del capitano Traoré. Un mausoleo e un nuovo corso politico chiudono i conti con il passato
Esattamente trentotto anni fa, il 15 ottobre 1987, un golpe poneva fine all’esperienza rivoluzionaria del Burkina Faso e alla vita del suo leader, Thomas Sankara. L’ex presidente, soprannominato il “Che Guevara africano”, fu assassinato a sangue freddo insieme a dodici suoi compagni nella sede del Consiglio Nazionale Rivoluzionario. Il massacro, come accertato dalle successive indagini, fu ordito dal suo allora braccio destro, Blaise Compaoré, con il supporto diretto di forze straniere, in primo luogo la Francia.
Quel giorno di ottobre segnò la fine brusca e violenta di quattro anni di un esperimento senza precedenti nel continente. Sankara, un capitano dell’esercito salito al potere nel 1983, aveva trasformato in poco tempo l’ex Alto Volta, da lui ribattezzato Burkina Faso, “Terra degli Uomini Integri”, in un simbolo di sovranità e dignità. Guidando una rottura netta con la tutela neocoloniale, il leader visionario promosse riforme radicali in ogni settore, dall’istruzione alla sanità, dall’agricoltura all’emancipazione femminile.
La sua integrità personale divenuta proverbiale. Sankara governava con un principio non negoziabile: servire il popolo. Viveva con il solo stipendio da capitano, vietava ai ministri di usare automobili di lusso e indossava esclusivamente abiti confezionati con cotone locale, per dare l’esempio. Sotto la sua guida, il tasso di alfabetizzazione schizzò dal 13% al 73% in soli quattro anni. Due milioni e mezzo di bambini furono vaccinati e una riforma agrria senza precedenti redistribuì la terra ai contadini, accompagnata da assistenza tecnica, nel segno di un’autosufficienza alimentare che era un sogno per il paese.
La sua voce divenne scomoda sulla scena internazionale. In un celebre discorso all’Unione Africana nel luglio 1987, Sankara denunciò con forza il debito estero e le istituzioni finanziarie internazionali, eredità diretta – come denunciava - del colonialismo. Pochi mesi dopo, il silenzio delle armi pose fine alla sua vita e al suo progetto.
Per quasi tre decenni, sotto la dittatura di Compaoré, il nome di Sankara divenne un tabù. I suoi ritratti, i libri e i discorsi furono banditi, la sua memoria deliberatamente cancellata. Ma, come racconta Simone Prosper, oggi guida al Memoriale Sankara, quella fiamma non si spense. “Mentre bruciavano le sue foto, io, da giovane, pensai: finché vivrò, l’immagine del capitano farà il giro del mondo”.
La previsione di Prosper si è avverata. Dopo la cacciata di Compaoré nel 2014, il paese ha potuto fare i conti con la sua storia. Nel 2022, l’ex dittatore, oggi esiliato in Costa d’Avorio, è stato condannato in contumacia all’ergastolo per l’omicidio del suo ex compagno d’armi. Ma la vera rinascita del mito di Sankara è legata all’ascesa dell’attuale presidente, il capitano Ibrahim Traoré.
Traoré, a capo di una transizione che definisce “Rivoluzione Progressista Popolare”, si è presentato come l’erede naturale di Sankara. Il 15 ottobre 2022, anniversario della morte del leader, si è recato sul luogo dell’assassinio e ha simbolicamente raccolto “la fiaccola della rivoluzione”. Il gesto più significativo è stata l’inaugurazione, nel maggio 2025, di un imponente mausoleo dedicato a Sankara e ai suoi compagni, eretto proprio dove caddero sotto i colpi dei cecchini.
“Il presidente Traoré ha riabilitato la memoria di Thomas Sankara”, afferma Luc Damiba, consigliere speciale del primo ministro. “Ogni giorno cita le sue frasi, i suoi riferimenti, e dice che farà meglio”. Per Daouda Traoré, ex compagno di Sankara e presidente del Comitato internazionale per il memoriale, il parallelo è evidente: “Ibrahim Traoré è un uomo integro, come lo era Sankara. Pone gli interessi del popolo prima dei suoi”.
La continuità si manifesta nelle politiche attuali: la rottura con la Francia e l’imperialismo, la ricerca di uno sviluppo endogeno, la meccanizzazione dell’agricoltura e la priorità data alla sovranità nazionale, incluso l’addestramento di piloti e il raffinamento dell’oro in patria. La lotta al terrorismo, una piaga sconosciuta ai tempi di Sankara, è vista come l’estensione necessaria di quella battaglia per l’indipendenza.
Per la gioventù burkinabé, che costituisce il 75% della popolazione, il pensiero di Sankara non è un reperto storico, ma un faro. “Sankara aprì le nostre coscienze”, dice Abdrahamane Zetyenga, un ex compagno d’armi del Che Guaevara africano. “Oggi, con Traoré, è necessario impegnarci insieme, mano nella mano, per fare del Burkina un paese di pace, liberato dal giogo coloniale”.
A distanza di 38 anni, l’assassinio di Thomas Sankara non è più una ferita aperta da nascondere, ma una fondazione mitica su cui costruire il futuro. La sua eredità, a lungo sepolta, è oggi il cuore pulsante di un nuovo risveglio patriottico nel Sahel, che guarda al passato per tracciare una rotta verso una sovranità finalmente conquistata.