Alberto Negri: "Il dominio di Trump adesso finirà e rischia grosso. E vi spiego perché"

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di Alberto Negri*, editorialista



Che Dio benedica l’America, e soprattutto noi che la sopportiamo. Uno dei Paesi di cui è più inutile commentare le elezioni sono gli Stati Uniti, anche quando al mondo sembra che siano andate bene. Lo dimostra il film di Michael Moore “Fahrenheit 11/9” dove l’acqua di Flint in Michigan, che ha avvelenato migliaia di bambini con il piombo per colpa di un governatore amico di Trump, viene bevuta in pubblico dal “buono” Obama per dimostrare che è potabile. L’importante in America è avere la faccia giusta per sapere vendere qualche cosa, anche il veleno.
 

Qualunque sia il risultato la pozione americana, somministrata sotto forma di elezioni, è sempre avvelenata. Ma soprattutto non è tanto interessante. Non c’è un candidato che sollevi una questione internazionale seria. Certo, non porta voti. Ma è grave che la superpotenza americana non sappia niente di geografia, di geopolitica, che ignori di vendere armi a tutto il mondo, di appoggiare regimi come quello saudita. Perché mai allora gli americani ci interessano tanto? Forse per intuire la prossima delirante decisione di Washington.La sostanza della questione è che il presidente americano ovviamente non cambia, anche se l’Europa puntava a che uscisse indebolito per motivi essenzialmente di cassa: se Donald Trump rinuncia all’imposizione di altri dazi all’Unione europea e alla Cina, le Borse recuperano, l’euro si risolleva, così come il commercio internazionale e in definitiva anche le nostre tasche si impoveriscono di meno.
 

Le elezioni Usa ci interessano per questo. Il resto sono chiacchiere che lasciano il tempo che trovano, soprattutto quelle sulla cosiddetta democrazia americana. Se la ricchezza fosse equamente distribuita ciascun adulto negli Stati Uniti avrebbe più di 350.000 dollari a testa mentre secondo stime credibili circa un terzo degli americani _ ovvero più 100 milioni di persone _ non riescono a fronteggiare anche le più elementari esigenze quotidiane.



Sono questi dati su cui riflettere se non si è usciti del tutto storditi dalla maratona elettorale che sulle tv italiane si risolve generalmente in un peana stridente e inascoltabile sulle virtù dell’America. I corrispondenti dei nostri giornali sono in gran parte inadeguati e quasi mai critici: si schierano regolarmente per tutti le imprese militari Usa, salvo poi fare ammenda anni dopo, quando nessuno si ricorda più delle fesserie che hanno scritto. Ma essendo questa la superpotenza che può mandare al tracollo militare o economico chiunque bisogna occuparsene sperando di divinare il futuro.


Il voto di “mid-term” in America era considerato molto importante perché doveva decidere se il partito repubblicano di Donald Trump avrebbe continuato ad avere il controllo sul Congresso: queste elezioni sono state viste come una sorta di un referendum sul presidente in carica. Non è un caso che Trump abbia deciso di gettarsi anima e corpo nella campagna elettorale. Da questo voto infatti dipenderà molto del successo finale della sua presidenza e dunque delle sue chances di rielezione nel 2020. Non è un caso che Trump stesso abbia ripetuto nei suoi comizi: “Questo voto in realtà è un referendum su di me. Fate conto che sulle schede ci sia scritto il mio nome”.


Trump dirà che ha vinto anche se i repubblicani perdono alla Camera ma mantengono la maggioranza al Senato: lo scenario al momento più probabile. Dirà che, scendendo in campo di persona, è riuscito a limitare le perdite. Però, una Camera dei rappresentanti controllata dai democratici significa tre cose: potranno bloccare molte iniziative legislative, avviare indagini sul presidente e Trump non potrà più dire che lui e solo lui rappresenta il popolo americano.


Con i democratici in maggioranza alla Camera _ come sembrava nella notte durante lo spoglio dei voti _ per prima cosa verrà dato nuovo slancio all’inchiesta sul Russiagate e si potrebbero addirittura aprire le porte di una procedura di impeachment, in realtà un iter complesso che difficilmente riuscirebbe a superare l'opposizione repubblicana. 


Una maggioranza democratica in un ramo del parlamento può diventare comunque una zavorra per la seconda metà del mandato di Trump, che ora può apparire come la classica “anatra zoppa”. Buona parte dell'agenda del presidente, a partire dal famigerato muro al confine con il Messico, che richiede l'approvazione parlamentare dei fondi necessari, si arenerebbe inesorabilmente.
 

Ma queste sono facezie. Il principio fondamentale, a ogni tornata elettorale americana, è ricordarsi una frase di Frank Zappa: “La politica in Usa è la sezione di intrattenimento dell’apparato militare-industriale”. La democrazia negli Stati Uniti è una sorta di cortina fumogena che con le tv, gli Oscar, Hollywood e i Grammy Awards serve a tenere al guinzaglio il pianeta delle scimmie che in gran parte imita lo stile americano. Sempre che Putin e i cinesi siano d’accordo.

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