Analisi. L’ultima arma dell’imperialismo: gas naturale liquefatto

Analisi. L’ultima arma dell’imperialismo: gas naturale liquefatto

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di Federico Pieraccini - Strategic Culture



"Una delle più importanti battaglie energetiche del futuro sarà combattuta nel campo del gas naturale liquido (LNG). Suggerito come una delle principali soluzioni all’inquinamento, il GNL offre la possibilità di gestire ancora le esigenze industriali di un Paese migliorando nel contempo i problemi ambientali causati da altre fonti energetiche.
 

Allo stesso tempo, un po’ come il dollaro USA, il GNL diventa uno strumento che Washington intende utilizzare contro Mosca a spese degli alleati europei. Per comprendere l’ascesa del GNL nelle strategie globali, è opportuno esaminare un grafico (pagina 7) prodotto dall’International Gas Union (IGU) in cui sono evidenziati i seguenti quattro indicatori chiave: capacità di rigassificazione globale; volumi totali di GNL scambiati; Paesi esportatori; e paesi importatori.
 

Dal 1990 ad oggi, il mondo è passato da 220 milioni di tonnellate all’anno (MTPA) a circa 850 MTPA di capacità di rigassificazione. Il volume degli scambi è aumentato da 20-30 MTPA a circa 300 MTPA. Allo stesso modo, il numero di Paesi importatori di GNL è passato da poco più di una dozzina a quasi 40 nel corso di 15 anni, mentre il numero di produttori è rimasto quasi invariato, tranne alcune eccezioni come gli Stati Uniti entrati nel mercato del GNL nel 2016. Ci sono due metodi usati per trasportare il gas. Il primo è attraverso i gasdotti, che riducono i costi e facilitano l’interconnessione tra i Paesi, un importante esempio di ciò si riscontra nell’importazione di gas in Europa.
 

I quattro principali gasdotti per l’Europa provengono da quattro regioni geografiche distinte: Medio Oriente, Africa, Nord Europa e Russia. Il secondo metodo di trasporto del gas è via mare sotto forma di GNL, che a breve termine è più costoso, complesso e difficile da attuare su larga scala. Il gas trasportato via mare viene processato per essere raffreddato in modo da ridurne il volume e quindi nuovamente liquefatto per consentire lo stoccaggio e il trasporto via nave. Questo processo aggiunge il 20% ai costi rispetto al gas trasportato attraverso i gasdotti. Meno della metà del gas necessario per l’Europa viene prodotto sul mercato interno, il resto viene importato dalla Russia (39%), dalla Norvegia (30%) e dall’Algeria (13%). Nel 2017 le importazioni di gas dall’estero per l’UE raggiunsero il 14%.
 

La Spagna guidava le importazioni col 31%, seguita dalla Francia col 20% e dall’Italia col 15%. La costruzione di infrastrutture per ospitare navi LNG è in corso in Europa, e alcuni Paesi europei hanno già una capacità limitata per ospitare il GNL e indirizzarlo verso la rete nazionale ed europea o di fungere da hub energetico per spedire il GNL ad altri porti utilizzando navi più piccole.
 

Secondo King & Spalding: “Tutti i terminali del GNL in Europa sono impianti d’importazione, ad eccezione di Norvegia (non UE) e Russia che esportano GNL. Attualmente ci sono 28 terminali d’importazione di GNL su larga scala in Europa (inclusa la Turchia non UE). Ci sono anche 8 impianti LNG su piccola scala in Europa (in Finlandia, Svezia, Germania, Norvegia e Gibilterra).
 

Dei 28 terminali di importazione di GNL su larga scala, 24 sono nei Paesi dell’UE (e quindi soggetti alla normativa UE) e 4 in Turchia, 23 sono i terminali di importazione a terra e 4 unità mobili di stoccaggio e rigassificazione (FSRU), e l’unico impianto di importazione a Malta comprende una unità di stoccaggio galleggiante (FSU) e impianti di rigassificazione onshore”. I Paesi attualmente più coinvolti nell’esportazione di GNL sono Qatar (24,9%), Australia (21,7%), Malaysia (7,7%), Stati Uniti (6,7%), Nigeria (6,5%) e Russia (6%). L’Europa è uno dei principali mercati del gas, data la forte domanda di energia pulita per le esigenze domestiche e industriali. Per questo motivo, da anni la Germania è impegnata nel progetto Nord Stream 2, che mira a raddoppiare la capacità di trasporto del gas dalla Russia. Attualmente il flusso del Nord Stream è di 55 miliardi di metri cubi di gas.

Con il nuovo Nord Stream 2, la capacità raddoppierà a 110 miliardi di metri cubi all’anno. Il progetto South Stream, guidato da ENI, Gazprom, EDF e Wintershall, avrebbe dovuto aumentare la capacità della Federazione Russa di fornire all’Europa 63 miliardi di metri cubi all’anno, influenzando positivamente l’economia con forniture di gas a basso prezzo a Bulgaria, Grecia, Italia, Serbia, Ungheria, Austria e Slovenia. A causa delle restrizioni imposte dall’Unione Europea a compagnie russe come Gazprom, e alla continua pressione da Washington per abbandonare il progetto e abbracciare le importazioni dagli Stati Uniti, la costruzione del gasdotto ha subito un rallentamento e generato tensioni tra Europa e Stati Uniti. Washington fa pressione sulla Germania per sabotare Nord Stream 2 e fermare la costruzione di questo importante collegamento energetico. Ulteriori tensioni si aggiunsero quando ENI, una società leader nel settore del GNL, scoprì in mare uno dei più grandi giacimenti di gas del mondo, con una capacità totale stimata di 850 miliardi di metri cubi.
 

In prospettiva, la domanda di tutti i Paesi dell’UE è di circa 470 miliardi di metri cubi di gas nel 2017. La scoperta dell’ENI generava una pianificazione importante per il futuro del GNL in Europa e Italia.
 

Da quando Donald Trump cercava di obbligare gli europei ad acquistare GNL dagli Stati Uniti, al fine di ridurre il deficit commerciale e di beneficiare le società statunitensi a scapito di altri Paesi esportatori di gas come Algeria, Russia e Norvegia, Donald Trump cercava di obbligare gli europei ad acquistare GNL dagli Stati Uniti. Come accennato, il GNL importato in Europa dagli Stati Uniti costa circa il 20% in più del gas tradizionalmente ricevuto attraverso i gasdotti. Questo senza includere tutti gli investimenti necessari per costruire impianti di rigassificazione nei Paesi destinati a ricevere questo gas via nave. L’Europa attualmente non dispone delle strutture necessarie sulla costa atlantica per ricevere GNL dagli Stati Uniti, introdurlo nelle reti energetiche e contemporaneamente ridurre la domanda da fonti tradizionali. Questa situazione potrebbe cambiare in futuro, col GNL proveniente dagli Stati Uniti che vedeva un netto aumento recentemente. Nel 2010, le esportazioni nordamericane di GNL verso l’Europa erano del 10%; l’anno successivo salirono all’11%; e nei primi mesi del 2019, balzarono al 35%. Un significativo calo delle esportazioni di GNL verso i Paesi asiatici, meno redditizie, offre una spiegazione per tale corrispondente aumento in Europa.

Ma l’Europa si trova in una situazione decisamente spiacevole che non può essere facilmente risolta. L’isterismo anti-russo rastrellato dall’establishment globalista euro-atlantico aiuta gli sforzi di Donald Trump a spremere il più possibile economicamente gli alleati europei, colpndo i cittadini europei nel processo pagando di più il LNG nordamericano, che costa circa un quinto in più del gas proveniente da fonti russe, norvegesi o algerine. I progetti di costruzione di rigassificatori offshore in Europa sembrano iniziati ed appare improbabile che possano essere influenzati da futuri capricci politici, considerati gli investimenti impegnati e i tempi di pianificazione coinvolti:
 

“Ci sono attualmente nella regione 22 grandi terminal d’importazione di GNL pianificati in Europa, ad eccezione dei terminal pianificati in Ucraina (Odessa FSRU LNG), Russia (Kaliningrad LNG), Albania (Eagle LNG), Albania candidata per l’adesione all’UE, e Turchia (FSRU Iskenderun e FSRU Golfo di Saros). Molti di tali terminal programmati, tra cui Grecia (dove è previsto un ulteriore terminal d’importazione – Alexandroupolis), Italia (che valuta o progetta due terminal aggiuntivi – Porto Empedocle in Sicilia e Gioia Tauro LNG in Calabria), Polonia (FSRU Polish Baltic Sea Coast ), Turchia (due FSRU) e Regno Unito (che pianifica il progetto LNG di Port Meridian FSRU e Trafigura Teesside LNG). Terminale d’importazione del GNL in Albania (Eagle LNG), Croazia (isola di Krk), Cipro (Vassiliko FSRU), Estonia (Muuga Tallinn LNG e Padalski LNG), Germania (Brunsbuettel LNG), Irlanda (Shannon LNG e Cork LNG), Lettonia (Riga LNG), Romania (Constanza LNG), Russia (Kaliningrad LNG) e Ucraina (Odessa). Nove dei terminal pianificati sono FSRU: Albania, Croazia, Cipro, Grecia, Irlanda, Polonia, Russia, Ucraina e Regno Unito. “Inoltre, ci sono numerosi piani per l’espansione dei terminali esistenti in Belgio, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Turchia e Regno Unito”.
 

Washington, con le sue navi GNL, non ha la possibilità di competere in Asia con Qatar ed Australia, che detengono la parte del leone del mercato, cogli oleodotti di Mosca che occupano il resto. L’unico grande mercato rimanente si trova in Europa, quindi non sorprende che Donald Trump abbia deciso di armare il GNL, un po’ perché ha il dollaro USA. Ciò ha solo spinto i Paesi dell’UE a cercare una diversificazione energetica nell’interesse della sicurezza. I Paesi europei non sembrano riluttanti alla prospettiva di passare al GNL nordamericano, anche se non c’è alcun vantaggio economico. Come fu evidente negli ultimi tempi, ogni volta che Washington dice “Salta!”, gli alleati europei rispondono: “Quanto alto?” Questo, tuttavia, non è il caso di tutti gli alleati.
 

La Germania non è economicamente in grado di interrompere il Nord Stream 2. E anche se il progetto ha molti sponsor di alto livello, tra cui l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, il progetto sembra essere costantemente sul punto di essere fermato, almeno nell’illusione di Washington. Anche la scoperta di ENI del giacimento di gas in Egitto infastidiva gli Stati Uniti, che vogliono meno concorrenza (anche se in modo illegale, come nel caso di Huawei) e vogliono poter imporre le proprie esportazioni verso gli europei mantenendo il prezzo del LNG in dollari, sostenendo così ulteriormente il dollaro USA come valuta di riserva mondiale come col petrodollaro.
 

L’isteria generalizzata contro la Federazione Russa, insieme al taglio delle importazioni di petrolio iraniano per volere di Washington, limita il margine di manovra dei Paesi europei, oltre a costare molto ai contribuenti europei. Gli europei sembrano disposti a seguire qualunque rotta gli Stati Uniti gli traccino, lontano dalle fonti del gas più economiche verso il GNL costoso proveniente dall’altra parte dell’Atlantico. Considerati gli investimenti già impegnati per ricevere tale GNL, sembra improbabile che il percorso previsto per gli europei sia cambiato."


*Traduzione di Alessandro Lattanzio per AuroraSito 

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