Ben venga lo sciopero... ma bisogna individuare prima il "nemico principale" del lavoro
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Bene lo sciopero contro una riforma del fisco semplicemente vergognosa, ci mancherebbe. Bene manifestare in difesa "della sanità pubblica, della scuola e dell'istruzione", figurarsi. La stragrande maggioranza dei lavoratori che oggi sciopererà lo farà sicuramente in buonissima fede e per ragioni assolutamente condivisibili.
Peccato che lo stesso non si possa dire dei vertici del sindacato, che con questo sciopero puntano alla saldatura definitiva tra sindacati e governo Draghi con lo scopo di marginalizzare ulteriormente il Parlamento e i partiti. D'altronde, Landini, in una recente intervista - che fa eco a molte dichiarazioni dello stesso tenore concesse dal segretario della CGIL nell'ultimo anno -, l'ha detto chiaramente: il problema non è Draghi - che «aveva capito il malessere» del paese e infatti aveva tentato una mediazione in materia di fisco - quanto piuttosto i partiti che avrebbero messo i bastoni fra le ruote al presidente del Consiglio.
Il fatto che questa lettura degli eventi possa essere fattualmente corretta non cambia di una virgola il fatto che si tratta nondimeno di una lettura assolutamente irricevibile sul piano politico.
Individuare il "nemico principale" dei lavoratori e delle masse popolari del paese in quei partiti che ormai, data la totale marginalizzazione del Parlamento, sono strutturalmente tagliati fuori dalle principali decisioni di carattere macroeconomico (ma anche di quelle di natura tecnico-sanitaria), di fatto ormai centralizzate negli apparati esecutivi e tecnocratici del governo, che a loro volta non fanno che agire da cinghia di trasmissione di decisioni assunte a livello sovranazionale dai centri di poteri UE - da cui dipende in buona parte la degenerazione dei partiti stessi, costretti a limitarsi a saltuari gesti "dimostrativi" come la bocciatura della modestissima riforma del fisco proposta da Draghi -, mentre al contempo - parlo di Landini - si presenta Draghi come un progressista attento ai problemi del paese la cui azione riformatrice viene purtroppo frenata dall'egoismo dei partiti, vuol dire non aver capito nulla - o fare finta di non capire nulla - della drammatica fase storica che stiamo attraversando.
Una fase storica caratterizzata dal definitivo svuotamento della democrazia e della sovranità popolare, già duramente provate da vent’anni di unione monetaria, attraverso la definitiva normalizzazione della legislazione d’emergenza; il trionfo della governance tecnocratica, di cui Mario Draghi è l’incarnazione vivente; la marginalizzazione pressoché totale del Parlamento; e l'usurpazione definitiva, per mezzo del cosiddetto “Recovery Fund”, di quel poco che rimaneva della nostra autonomia di bilancio. Draghi è l'architetto principale di questo processo, che ovviamente non punta a contenere "l'egoismo" dei partiti affinché il governo possa perseguire le riforme progressive auspicate (a parole) dal sindacato, quanto piuttosto a poter perseguire politiche di stampo sfacciatamente oligarchico e neoliberale al riparo da qualunque tipo di controllo democratico.
Basti vedere le misure politico-economiche perseguite finora - e con molta più determinazione della riforma del fisco oggetto dello sciopero di oggi - da Draghi: feroci misure di austerità, con pesanti tagli alla spesa sociale (inclusa la sanità), già dall'anno prossimo, con buona pace "della sanità pubblica, della scuola e dell'istruzione"; aumento dell'età pensionistica; accelerazione sul fronte delle privatizzazioni dei servizi pubblici locali; ulteriore svendita del patrimonio industriale italiano (vedi la recente vicenda TIM ma non solo); nuove liberalizzazioni; ulteriore compressione dei salari e smantellamento delle tutele dei lavoratori ecc. Insomma, l'agenda ultra-neoliberale che da anni "ci chiede l'Europa", così come l'oligarchia italiana di cui Draghi è espressione, e che Draghi stesso, durante il suo mandato alla BCE, ha perseguito con feroce determinazione (vedi la Grecia ma anche il golpe bianco del 2011).
Ecco, se di fronte a tutto ciò, invece di manifestare esplicitamente contro il principale responsabile di tutto ciò - cioè Draghi, e più in generale l'architettura sovranazionale tecno-liberista che rappresenta -, si sceglie di manifestare contro quei partiti che ormai non contano più una mazza (e questo è uno dei nostri problemi principali, a prescindere dalla "qualità" degli attuali partiti), allora si è complici della pericolosa deriva in corso.
Quindi, per concludere: ben venga qualunque sciopero che metta al centro questioni come "sanità pubblica, scuola, lavoro e istruzione" - soprattutto se serve a risvegliare le coscienze dei lavoratori e dei cittadini su questi temi -, ma avendo ben chiaro che difficilmente si faranno avanzamenti su quei fronti finché i sindacati confederali continueranno ad andare a braccetto con "il nemico principale".