CINA-AUSTRALIA, "COSTRETTI" AD AMARSI
Si avvicina un altro fallimento del "Pivot to Asia" di Obama
Da un lato rafforza la cooperazione militare con gli Usa (più basi disponibili per le forze militari statunitensi, aerei di sorveglianza e droni), dall'altro non può evitare di essere attratta dal "magnete" economico della Cina popolare: entro la fine del 2014 l'Australia, secondo quanto annunciato dal ministro del Commercio Robb, dovrebbe siglare un accordo di libero scambio con Pechino al termine di 8 anni di negoziato. Ad ingolosire Canberra sono il mercato cinese per i propri prodotti agricoli e il "cash" rosso per finanziare quello che il ministro stesso ha definito "il più grande programma di infrastrutture nella storia dell'Australia".
Gli investimenti cinesi in Australia sono decuplicati negli ultimi dieci anni (ad oggi ammontano a oltre 57 miliardi di dollari), facendone il secondo Paese di destinazione secondo dopo gli Stati Uniti. Inoltre la Cina ha superato il Giappone come il più grande partner commerciale dell'Australia nel 2007.
Bruciato sul tempo, quindi, il TPP, progetto dell'area di libero scambio trans-pacifica, portato avanti con insistenza da Washington come architrave economica del "Pivot to Asia" e del containement anticinese.
Con "un esito positivo del TPP, la strategia degli Stati Uniti in Asia sarà convalidata; senza di esso, il ruolo dell'America in Asia sarà sempre più in discussione su tutta la linea" dichiarava all'inizio di giugno Kurt Campbell, chief executive di The Asia Group e membro del consiglio di amministrazione del Center for a New American Security.
Diego Angelo Bertozzi