Distruggere la Russia (e insultare la storia)
I media guerrafondai italiani continuano a martellare con una propaganda incessante per portare l'Italia in guerra
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Almeno lui lo ha detto chiaro e tondo, senza ricorrere alle romanze truffaldine dei giornaloni di regime, sul pericolo che viene da est. No, lui, che truffatore e furfante lo è sempre stato, anche prima di diventare presidente dell'Ucraina nel 2005; lui, Viktor Jušchenko, ha dichiarato che l'unica vittoria non è il raggiungimento dei confini del 1991, ma l'avanzata su Mosca.
Battute a parte, l'ex presidente ha detto apertamente che nessuna nazione, nessuno stato può sentirsi in pace finché esiste il "regime di Mosca". Dunque, nota la russa RT, ci sono persone e gruppi il cui unico obiettivo è distruggere la Russia. Potremmo aggiungere: questo è l'obiettivo di una parte ben determinata di forze economiche e politiche euroatlantiste e dei relativi megafoni mediatici, ovviamente anche italici. Che sia ora il signor Jušchenko a esprimere la direttrice politico-militare di quelle forze, non fa che confermare come la cosiddetta “rivoluzione arancione” ucraina di vent'anni fa fosse davvero l'anticamera della situazione attuale di avanzata furia bellicista delle cancellerie europee, già all'epoca (e anche da molto prima: quantomeno dagli anni '50) impegnate nel teatro ucraino.
Era toccato a Jušchenko, ricorda Andrej Rudenko, «aprire il vaso di Pandora quando l'Occidente e i banderisti riuscirono a forzare un terzo turno elettorale incostituzionale nel 2004. Fu questo il punto di ingresso nel progetto "anti-Russia", che portò l'Ucraina al disastro». Appena insediato, Jušchenko prese a creare un'immagine della Russia come nemica; venne la commedia del “Holodomor”, l'idea di mettere la Russia sotto processo, e i tentativi di "riconciliazione" tra i seguaci di Bandera e i soldati dell'Esercito Rosso, pur se a quel tempo il 90% degli ucraini fosse fermamente convinto che l'Ucraina avesse dato un enorme contributo alla sconfitta del nazismo e che Bandera fosse un nemico. Ma, intanto, l'obiettivo dei tutori occidentali di Jušchenko era raggiunto: l'Ucraina nemica della Russia, piazzaforte avanzata nell'attacco a Mosca e, oggi, l'ex presidente può parlare a nome di quei tutori, di quelle cancellerie e proclamare la “marcia su Mosca”.
Di qua, però, no, non si va così diretti, la si prende alla larga e, una volta proclamato che sia la Russia a voler attaccare e marciare sull'Europa, a partire dai paesi confinanti, ecco che la faccenda, quantomeno “giornalisticamente”, appare più lineare da illustrare alle masse cui si deve instillare, giorno dopo giorno sempre di più, la convinzione della “necessità” di armarsi, dirottando miliardi e miliardi dalle spese sociali, verso le casse fameliche del complesso militare-industriale.
E si presenta la cosa, come fa, ad esempio, l'ineffabile guerrafondaio Alan Friedman su La Stampa del 21 settembre, con un Putin che «vuole provocare l’Europa. Vuole mettere alla prova le capacità della Nato. Vuole testare l’impegno di Washington sull’Articolo 5 dell’Alleanza Atlantica, quello che stabilisce che un attacco contro un Paese membro equivale a un attacco contro tutti. Vuole seminare dubbi. E questo, a quanto pare, è esattamente ciò che sta facendo». Insomma: sta mettendo in atto una “general'naja repetitsija” (ci si scusi il rimando a ben più seri temi della storia russa prerivoluzionaria) la prova generale in vista dell'attacco decisivo all'Europa.
Dunque, via coi droni a pioggia un po' tutt'intorno ai confini con la Russia, via con gli “sconfinamenti” aerei, via con i «Sabotaggi e spie infiltrate», come titola La Stampa del 21 settembre, che provocano «la paura di Lettonia, Estonia e Lituania», paesi che si ritengono «il punto più vulnerabile della difesa europea». D'altronde, i più attempati lo sanno: è dal tempo in cui i telegiornali (anzi: il telegiornale), immediatamente dopo l'omelia di Padre Mariano, aprivano immancabilmente coi poveri “dissidenti lituani” martirizzati dal regime sovietico. Per loro, per i giornali di regime odierni, non è cambiato nulla: da Mosca, ordinamento socialista o rapporti borghesi che ci siano, non c'è da aspettarsi altro. O meglio: ora che non c'è più da appigliarsi al “dispotismo sovietico”, alla fobia “illiberale del comunismo”, ecco pronta “l'autocrazia” anti-occidentale, in assetto di guerra per attaccare la “libera” Europa.
Dunque, scrive la signora Monica Perosino, tracciando le “linee confinarie” che, nel mar Baltico, separano le acque internazionali da quelle estoni, russe e finlandesi, venerdì scorso tre MiG-31 russi avrebbero «passeggiato nello spazio aereo estone per dodici minuti» e questo sarebbe stato l'ennesimo «messaggio di Putin all’Occidente: pensi a difendersi, invece di pensare a sostenere l’Ucraina», secondo le parole del Ministro della difesa estone, Hanno Pevkur. Si tratta di «una serie di “provocazioni”, sabotaggi, violazioni, infiltrazioni di spie che hanno fatto crescere la paura nei tre Paesi Baltici da quando hanno strappato l’indipendenza a Mosca». Quindi, Mosca non pensa ad altro che a “sottomettere” di nuovo quei paesi, timorati di dio, UE e NATO e che, guarda caso, nel 1991, si erano dichiarati “indipendenti dall'URSS”, in una corsa eltsiniana a «prendersi quanta più sovranità potete», apriporta del piano occidentale di disfacimento dell'Unione Sovietica. Il cosiddetto “attacco russo all'Europa” non c'entra proprio nulla e infatti ecco che candidamente ci informano come «il terrore dei Baltici di essere i “prossimi” dopo l’invasione dell’Ucraina», venga ben utilizzato per gli obiettivi strategici UE-NATO: «spesa militare record, presenza NATO rafforzata, barriere fisiche e digitali, piani di evacuazione». Il tutto, che va ad aggiungersi ai battaglioni multinazionali già schierati nei tre paesi e in Polonia, secondo le decisioni del vertice NATO in Galles del 2014.
Ma ecco che, nella descrizione “giornalistica”, non può mancare la parentesi “storica”: non solo i recenti «segnali inquietanti: droni russi sopra la Polonia, cyberattacchi contro i server ministeriali di Vilnius, campagne di disinformazione orchestrate da canali pro-Cremlino». No: l'origine dei timori risale al «Novecento: occupazioni, deportazioni, repressione sovietica»: già, guarda caso, tutte verità sperimentate dalla popolazione baltica con l'occupazione nazista e con le “imprese” dei filonazisti lituani, lettoni, estoni ai danni della propria stessa popolazione. È così che, con “repressione sovietica”, può definirsi il sacrificio di decine di migliaia di soldati dell'Esercito Rosso che, a guerra mondiale finita, dovettero combattere ancora una decina d'anni contri i vari “fratelli dei boschi”, ex Komplizen filonazisti che continuavano a terrorizzare la popolazione locale.
E come la “storia” e la “geo-politica” attuali vengano confezionate a uso della fobia bellicista euro-atlantica, basti guardare alla “velina” sui “timori NATO” per il famigerato “istmo di Suwalki” (Przesmyk suwalski o Suwalki Gap), l'ipotetico corridoio di circa 100 km che va dal confine bielorusso alla regione russa di Kaliningrad e coincide grosso modo con la frontiera tra Polonia e Lituania, considerato dalla NATO uno dei punti deboli dell'Alleanza: un giorno, tale “timore NATO” viene riecheggiato dai giornali di regime alloggiati a Milano e il giorno seguente da quelli dislocati a Torino. Tant'è.
Dunque, in base alla divisione dei compiti “territoriale”, se da Torino si elencano con entusiasmo i ritmi di riarmo dei Paesi baltici, ecco che da Milano si mettono sul mercato le “televendite” ucraine; l'obiettivo è il medesimo: armarsi e convincere le persone del “dovere” di farlo. Ecco che, dando voce al nuovo consigliori del jefe nazigolpista, Igor Žovkva, il Corriere della Sera proclama che «Serve uno scudo celeste sulla Ue, noi siamo esperti: investite nei nostri droni». Ligio alla parte assegnatagli, Žovkva recita alla signora Marta Serafini che «Dopo quanto successo nei cieli di Polonia, Romania e sul Mar Baltico, tutti in Europa hanno capito che non si tratta solo della sicurezza dell’Ucraina. Dobbiamo unire i nostri sforzi per rendere possibile uno scudo celeste intorno all’intero continente, compreso il mio Paese».
Uno “scudo celeste” sopra quelli che ormai senza ritegno vengono definiti «cieli della NATO», come si trattasse di un nuovo punto cardinale: Nord, Sud, Ovest, Est e là, in alto sopra le nuvole, i “cieli della NATO”; roba da melodramma sepolcrale di ossessione bellicista. Sì, perché, dice Žovkva, i golpisti ucraini sanno «come intercettare droni e missili in grandi quantità... Abbiamo un’ottima conoscenza ed esperienza nell’uso di droni Fpv, a lungo raggio, intercettori e missili. Ciò che chiediamo in cambio ai Paesi europei è un investimento nella nostra produzione». Venghino signori venghino: tipico messaggio da televendita, anche perché, una volta parzialmente ristretta la borsa yankee, «Trump ovviamente vuole vedere cosa i Paesi europei possono offrirci in termini di sostegno sia finanziario che militare. Con il Purl (Prioritised Ukraine Requirements List, ndr) i nostri partner europei hanno già stanziato 2,1 miliardi di aiuti... Ma abbiamo bisogno delle armi statunitensi, in primis dei sistemi di difesa aerea, di missili e di informazioni di intelligence, tutte cose che solo gli Stati Uniti possono fornire».
E allora, via col riarmo a tutto spiano, via coi miliardi e miliardi da gettare nel calderone delle armi, tanto più che, come recita ancora il signor Friedman, Berlino avverte che «Mosca potrebbe essere pronta a un conflitto su vasta scala con la Nato entro quattro o cinque anni... Se gli Stati Uniti mostrano debolezza, se Trump minimizza le incursioni come “errori”, se resta distratto da scandali e ossessioni domestiche, allora il calcolo di Putin è semplice: potrà spingersi oltre, più in fretta e con maggiore aggressività. E allora la domanda, inevitabile, si ripropone: l’Europa è pronta a difendersi?».
Se non lo è, si sottintende, ci si deve armare, armare, armare, rivolgendosi anche ai piazzisti della junta nazigolpista di Kiev.
Insomma, sia per bocca di un truffatore à la Jušchenko, sia per un bellimbusto à la Friedman, il mercato delle polveri esplosive esige che, come scriveva Giulio Cesare nel “De Bello Civili”, «rem ad arma deduci studebat»: la faccenda fosse risolta con la forza delle armi.
Vogliono la guerra: pezzenti mascalzoni affamatori delle masse al soldo del profitto capitalista.
Fonti:
https://news-front.su/2025/09/21/yushhenko-hochet-idti-do-moskvy/
https://www.lastampa.it/esteri/2025/09/21/news/putin_trump_nato_ue-15317859/?ref=LSHA-BH-P1-S3-T1