Economia di guerra e smantellamento dello stato sociale

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Economia di guerra e smantellamento dello stato sociale

 

di Federico Giusti

L'economia di guerra prevede lo spostamento di produzioni civili da quelle militari e, nei tempi odierni, vista la crisi della manifattura e il calo della forza lavoro, questa operazione avrà nell'immaginario collettivo un impatto minore di quanto avvenne dopo la seconda guerra mondiale del secolo scorso quando intere fabbriche di armi si riconvertirono a produzioni civili con il diretto intervento statale.
 
Assisteremo a enormi capitali pubblici e privati indirizzati a capitoli di bilancio differenti (a uso e consumo del Riarmo o del business della sicurezza  la cui influenza è nefasta perchè si porta dietro anche logiche securitarie e autoritarie inclini al controllo sociale), la ricerca si svilupperà in alcuni ambiti e non in altri, beneficeranno di questi investimenti dei settori ben definiti, intere filiere produttive entreranno invece in crisi chiudendo i battenti o costrette a subire forti ridimensionamenti. E, anche qualora le guerre in Ucraina e in Medioriente trovassero una fine e un accordo duraturo. gli ordini miliardari alle aziende di armi proseguiranno nel tempo correndo parallelamente al depotenziamento dei servizi pubblici, ad esempio sanità e istruzione a favore dei soggetti privati.
 
Più armi si tradurranno nell'aumento dei posti di lavoro? E' quello che vogliono farci credere, del resto non saranno a contare i posti perduti confrontandone i numeri con la nuova occupazione, si sa che da qui a pochi anni ci sarà un forte aumento delle spese militari e se non subito, tra meno di un lustro, inizieranno a diminuire le risorse destinate al welfare. Prendiamo ad esempio l'industria meccanica e il suo indotto, confrontiamo gli occupati odierni con quelli di 10 o 20 anni or sono, quanti sono i posti di lavoro perduti? 
L’impennata delle spese militari in Europa  porta le aziende produttrici ad accelerare i processi riorganizzativi e la produzione stessa, del resto veniamo da anni nei quali i titoli in borsa delle stesse sono cresciute esponenzialmente con enormi utili di cui beneficiano gli azionisti. E le alleanze diventano fondamentali se la Ue vuole provare almeno a competere, in prospettiva futura, con gli Usa, molte produzioni del vecchio continente si poggiano sulla fornitura di componenti statunitensi quando non siamo noi stessi a produrre singole parti delle loro armi da guerra.
 
Dovremmo indagare chi siano gli azionisti delle principali industrie di ricerca e produzione bellica, ad esempio in alcuni casi la partecipazione pubblica è stata determinante per rafforzare  queste multinazionali, anzi il supporto offerto dal pubblico alla ricerca e produzione di armi è storicamente insostituibile.
 
Agli occhi di una opinione pubblica distratta e senza memoria il ritorno alla guerra potrebbe essere accolto con benevolenza (almeno fino a quando non tornano in una bara i nostri figli), basti pensare che  Rheinmetall parla di assumere 30 mila persone nei prossimi tre anni, avendo aperto fabbriche di armi perfino in Ucraina (e risulta comprensibile la politica tedesca a fianco dell'Ucraina nonostante questa guerra abbia sancito la crisi della Germania che ha pagato il maggior costo economico derivante dal mancato rifornimento di gas e petrolio Russo a basso costo). E numerose multinazionali hanno costruito alleanze, join venture per allargare la produzione ad altri paesi alleati senza circoscrivere le fabbriche e i centri di ricerca dentro i confini nazionali.
 
E quando parliamo di economia del genocidio dovremmo capire ad esempio i rapporti commerciali intrattenuti tra le aziende produttrici europee, e i loro stati, con Israele che nel campo della difesa, nella produzione di radar, droni e satelliti, nella acquisizione di tecnologie avanzate ha raggiunto livelli impensabili.
Rheinmetall ha poi una joint venture paritetica con Leonardo, insieme dovranno produrre carri armati e  oltre  mille cingolati di fanteria per l’esercito italiano.
 
Queste commesse porteranno i siti industriali ad accrescere  produzione, dimensione delle fabbriche e numeri della forza lavoro, solo nell'area della capitale italiana parlano, nel prossimo triennio, di assunzioni tra 500 e 1000 unità. I numeri possono trarre in inganno, se pensiamo al flusso turistico a Roma, una cooperativa addetta alla pulizia, manutenzione e gestione di alcune aree di interesse culturale ed archeologico potrebbe garantire numeri maggiori quanto a posti di lavoro. Ma i soldi che lo Stato dovrebbe investire hanno, nel frattempo, preso ben altre direzioni.
 
Sempre in Germania alcune aziende meccaniche dell'indotto hanno chiuso i battenti riconvertendosi a produzioni militari, quanto maggiore sarà l'incremento della spesa militare tanto più saranno gli investimenti pubblici a fini di guerra, piegheranno la ricerca alle tecnologie duali, da qui ai prossimi 10 anni la spesa militare Ue dovrebbe raddoppiare. Quali saranno allora le condizioni atte a favorire le speculazioni in borsa delle imprese belliche e la loro espansione sui mercati?
I contratti governativi, prova ne siano le miliardarie commesse del Pentagono alle multinazionali statunitensi  che hanno fatto crescere il loro valore azionario ma anche il potere politico nell' influenzare, attraverso fondazioni e sovvenzioni benefiche, l'operato della classe politica. Il Riarmo europeo assicura condizioni favorevoli e commesse per i prossimi 20 anni. Poi ci sono anche altre condizioni propizie per il riarmo, ad esempio le guerre che alimentano la produzione di nuovi sistemi di arma e favoriscono la crescita delle spese militari fino ai processi di innovazione tecnologica come dimostrano l'avanzata dei droni e il dominio delle tecnologie duali.
 
Un ruolo importante ai fini del Riarmo è svolto dalle società di consulenza , ogni giorno ne nascono di nuove, sponsorizzate da grandi multinazionali e centri finanziari, da queste società arrivano le proiezioni economiche per il futuro e la loro attenzione è rivolta al settore militare per magnificare i margini di profitto derivanti da investimenti nel settore.
 
E da alcune società di Consulenza arrivano anche pressanti richieste al mondo accademico, per favorire dei corsi di laurea brevi e magistrali acquisendo dei tecnici qualificati, dei ricercatori in settori sorretti dalla crescente domanda di mercato, queste società poi svolgono un ruolo nevralgico per dirottare gli investimenti verso certi settori. Se Leonardo parla di assumere migliaia di unità da qui a 10 anni, Fincantieri sta già pensando di trasformare alcuni cantieri a uso esclusivamente militare cancellando le commesse civili ormai residuali.
 
Sarebbe importante capire come la domanda militare abbia la meglio su quella civile, se questa ultima viene dirottata sapientemente verso altri mercati pensando invece di puntare, nei paesi Ue, ogni carta sul militare.  Ma pensare che dal militare la industria UE possa trarre benefici sufficienti ad arrestare la crisi della manifattura è sbagliato, tale previsione è stata smentita dai dati che parlano del 60% della spesa militare al di fuori dell’Ue  e in prevalenza negli Usa .
 
E quando parliamo di Leonardo dovremmo ricordarci che si tratta di una multinazionale con tanti stabilimenti e centri di ricerca fuori dai confini nazionali mentre nel Meridione d'Italia sopravvivono quelle produzioni civili destinate invece ad essere ridimensionate.

 

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