Gaza: la Pax Americana
di Alex Marsaglia
In queste ore le abilità diplomatiche di Trump, che avevamo già visto durante il suo primo mandato sulla questione coreana, si sono nuovamente rivelate. Dopo aver messo assieme una coalizione di Stati arabi di peso per il Medio Oriente tra cui Qatar, Egitto e Turchia e aver portato al tavolo delle trattative Hamas e Israele sui 20 punti proposti è riuscito a ottenere la firma sulla prima fase di attuazione dell’accordo.
La Pax Americana
I principali punti riguardano lo scambio di prigionieri, il cessate il fuoco con il ritiro delle forze dell’IDF sulla linea gialla all’interno della Striscia di Gaza e l’apertura di cinque canali umanitari. Hamas e Israele cercano di portare a casa rivendicazioni vittoriose, con la prima che annuncia di non rinunciare alla libertà, indipendenza e autodeterminazione della Palestina, anche se Israele che si attesterà sulla “linea gialla” avrà derubato metà della terra palestinese di Gaza. Viceversa Netanyahu ha definito l’accordo una “vittoria nazionale e morale”, ma in questa prima fase non ha ottenuto né lo scioglimento di Hamas né il controllo su Gaza City e deve ancora far passare il piano di pace sotto l’ala oltranzista del suo governo. Insomma, come da 77 anni a questa parte, la pace da queste parti sembra soltanto una tregua dell’opera di colonizzazione israeliana che prosegue di missione in missione.
L’opinione pubblica mondiale
Il dato veramente interessante questa volta arriva da ciò che si è mosso attorno al cosiddetto conflitto arabo-israeliano. Infatti, l’opinione pubblica mondiale sembra essersi svegliata come mai accaduto prima negli ultimi 77 anni. Vi erano sempre state mobilitazioni a favore della Palestina, ma mai di questa portata. Solo nell’ultimo “weekend lungo” (a proposito, la narrazione governativa avrebbe bisogno di qualche spin doctor più attento alle dinamiche sociali) e solo in Italia si sono mobilitate 100 piazze e circa 4 milioni di persone tra il sabato e la domenica, prima con le manifestazioni locali e poi con il corteo nazionale. Mercoledì sera, in mezzo alla settimana e alla fine di una giornata lavorativa faticosa, all’ennesimo atto di pirateria in acque internazionali verso una flotta di aiuti umanitari si sono attivate immediatamente 40 piazze con altre centinaia di migliaia di persone mobilitate, alla faccia di chi ci dava dei fannulloni. Sono fatti e numeri oggettivamente mai visti prima sulla questione palestinese che si sono replicati in tutto il mondo, occidentale e non. Probabilmente la consapevolezza mondiale di avvicinarsi al momento della cancellazione di un popolo dalla faccia della Terra, dell’operazione finale di pulizia etnica verso i palestinesi, ha mosso a solidarietà il globo intero smuovendo persino le popolazioni meno inclini alla protesta.
Colonizzati o decolonizzati? Figli della stessa rabbia
È d’obbligo ricordare che se dovesse andare in porto la Pax Americana questo momento si allontanerà di un istante nel tempo, ma le dinamiche non cambieranno poiché gli squilibri di potere tra Israele e Palestina permangono tragicamente. Verranno conquistate ulteriori terre, case e possedimenti da Israele che continuerà la sua colonizzazione cacciando sempre di più i gazawi in mare. Se si guarda con attenzione la cartina si vede infatti che la linea gialla per la prima volta isola la Striscia di Gaza dal confine egiziano, chiudendo il Valico di Rafah e trasformandola ufficialmente in enclave palestinese all’interno di Israele. La Pax Americana riduce quindi la Striscia di Gaza all’ennesimo territorio controllato e completamente circondato dai colonialisti israeliani; abbiamo visto infatti con il respingimento delle missioni umanitarie che il mare palestinese è un’Idea nell’Iperuranio platonico tale solo di nome e non di fatto poiché il diritto nazionale di Israele si basa sul cieco esercizio della forza e si estende alle acque internazionali dell’intero Mediterraneo. Ridurre la Striscia di Gaza ad ennesima enclave palestinese in territorio israeliano, oltre ad impedire il defluire dei profughi e le pressioni umanitarie lungo il confine, permetterà poi ad Israele di approfondire il suo piano genocida. La Palestina una volta che avrà perso anche Rafah, come avvenuto precedentemente in Cisgiordania, dovrà subire le prossime missioni militari dell’IDF che si concentreranno sulla frammentazione territoriale e l’interruzione delle vie di comunicazione tra le città rimanenti di Gaza e Khan Yunis che verranno assediate poco per volta. Insomma, la Pax Americana si configura come la tregua dei colonialisti in una situazione di pressione internazionale sempre più insostenibile, ma le dinamiche future del piano di occupazione e sterminio sono del tutto evidenti agli occhi di quanto avvenuto negli ultimi 77 anni e non cambieranno di una virgola. La vera novità di questi 77 anni, il vero punto di svolta e pietra di scandalo siamo noi. Sapremo essere all’altezza di quanto dimostrato?
Quanto avvenuto con il risveglio delle coscienze in Occidente ci insegna innanzitutto a non rassegnarci e a non disperare mai. Anche in quella che sembra essere la fine c’è sempre una speranza e basta una scintilla ad incendiare la prateria.
L’innesco è stata la morale. Lo sdegno e l’indignazione verso un genocidio conclamato hanno giocato un ruolo fondamentale, ma queste sapranno crescere di maturità? Ci sono dei responsabili dello sterminio che sono identificabili “qui e ora” nel militarismo e nel complesso militare-industriale che vuole scagliare gli stessi popoli europei contro l’Oriente. Siamo dunque fratelli dei palestinesi. La classe operaia lo sa e ha dimostrato di esistere ancora e di sapersi attivare in porti, interporti, aeroporti e aziende belliche per attaccare gli arti della bestia imperialista mossi a offendere. Stati Uniti, UE, NATO e Israele possono essere messi in difficoltà anche in Occidente sia sull’aspetto produttivo sia su quello logistico. Il passaggio dalla mobilitazione etica a quella economica tuttavia è fondamentale per incidere nei rapporti di produzione nazionali e internazionali e avere una reale prassi capace di non ridursi a testimonianza.
Ora che la Pax Americana calerà, configurandosi come tregua israeliana nell’operazione finale di genocidio palestinese, riuscire ad andare oltre la testimonianza umanitaria diventa fondamentale, anzi esiziale, per la sopravvivenza di una coscienza realmente pacifista.
L’unico modo che abbiamo per mantenere in vita la fiammata nascente, per onorarla, è dar gambe a quel movimento cercando di far emergere le istanze legate al tema antimperialista, soprattutto in un quadro israelo-palestinese in cui Israele non rinuncerà affatto alla “Grande Israele”, illustrata da Netanyahu persino in sede ONU. Ad esempio, negli ultimi giorni il padrone statunitense ha intimato all’Iran di ridurre la gittata dei suoi missili a 500 km, praticamente annullando ogni sua capacità di autodifesa contro l’aggressore israeliano. Ebbene, ieri Khamenei ha risposto rimuovendo le limitazioni fissate a 2.200km dei suoi missili, portandoli a gittata illimitata (chi ha orecchie per intendere anche in Europa intenda). È una dialettica di potenza, fatta di rapporti di forza e non di diritto internazionale, neanche lontanamente simile a quella di un piano di Pace, in cui non si rispetta la libertà e la dignità della controparte, ma che si limita ad annichilire quello che continua ad essere concepito come un nemico inaccettabile. Siamo di fronte ad una tregua sul fronte mediorientale, in cui le forze in campo si riorganizzeranno. Anche il movimento pro-palestinese nato in questi mesi dovrà farlo, in qualche modo, prendendo coscienza che non vi è solo la Palestina nel mirino e che anche le classi subalterne in Occidente sono figlie della stessa rabbia antimperialista di chi si difende in Oriente. L’Impero ha una sua periferia in cui vi sono distanze geografiche, ma anche socio-economiche in cui invece vi è una prossimità spaziale attaccabile. La cosa più utile che possiamo fare come classe subalterna occidentale è agire sulle seconde, creando ricadute sulle prime, nella consapevolezza di essere dallo stesso lato della barricata di chi è sotto attacco imperialista poiché le guerre dei padroni verranno combattute da noi subalterni occidentali. Si tratta insomma di riscoprire una comune coscienza collettiva che sappia portarci oltre l’iniziativa umanitaria, dentro i rapporti di produzione in cui agiamo come classe, per disarmare la guerra che è la guerra di un capitalismo occidentale decadente che sta cercando in tutti i modi di creare occasioni facili di valorizzazione, anche a costo di sterminare popoli.