Gaza, la ricostruzione distopica: alberghi e casinò sul sangue del genocidio - Intervista ad Antonio Mazzeo
Il paragone è forte, ma chiarisce subito la posta in gioco: immaginare che all’indomani della liberazione di Auschwitz i sovietici avessero costruito un casinò sarebbe stato disumano. Eppure, questa stessa realtà distopica è quella che si sta preparando per Gaza. A denunciarlo è il giornalista Antonio Mazzeo, intervistato da l'AntiDiplomatico.
Mentre la popolazione palestinese tenta di sopravvivere tra le macerie e alla fame, i piani per la “ricostruzione” della Striscia non hanno nulla a che fare con aiuti umanitari o giustizia. Si parla, invece, di un “piatto miliardario” che fa gola a multinazionali, governi e fondi di investimento. Un progetto che punta a trasformare ampie zone di Gaza in una “grande città sul mare con alberghi e casinò 5, 6, 7 stelle” per la ricca borghesia araba, i petrolieri e le lobby occidentali.
In questo macabro business, l’Italia non è uno spettatore, ma un attore pronto a contendersi la torta. Come riporta un articolo della rivista Futures, citato nell'intervista, sono diverse le aziende italiane che non vedono l’ora di mettere le mani sui circa 50-70 miliardi di dollari stimati per questo progetto.
Tra i nomi coinvolti spiccano colossi del sistema delle grandi opere: Webuild, Ansaldo Energia, Cyperemm, Mariem e Prysmian (per i cavi di alta tensione). A queste si aggiungono aziende del settore immobiliare e dello sgombero macerie.
Secondo Mazzeo, il silenzio di queste aziende è assordante: "Nessuno ha smentito, nessuno ha detto 'non ci interessa'". Questa ricostruzione, sottolinea, non sarà "dal basso" né rispettosa dei diritti umani, ma un'operazione speculativa che calpesta l’autodeterminazione del popolo palestinese.
La domanda sorge spontanea: perché proprio l’Italia sarebbe in una posizione così privilegiata?
La risposta, secondo l’analisi di Mazzeo, è nella regia del governo Meloni. In questi due anni di genocidio, l’esecutivo ha sostenuto Israele "direttamente, con operazioni finanziarie, con la prosecuzione dell’export di armi". A fare grandi affari sono stati anche gruppi a capitale pubblico come Leonardo (armi) ed Eni (gas).
La logica è cinica e spietata: "Abbiamo fatto il nostro dovere, abbiamo sostenuto il genocidio, ci siamo macchiati le mani del sangue del popolo palestinese e allora benvengano gli affari".
Il business di Gaza non coinvolge solo l’Occidente. Da una parte, petromonarchie come Arabia Saudita e Qatar, che formalmente denunciano i crimini israeliani, dall’altra hanno "aumentato enormemente le proprie relazioni militari e l’interscambio di sistemi d’arma con Israele".
Dall’altra parte dell’oceano, l’amministrazione Trump gioca un ruolo chiave. La nomina dell’immobiliarista miliardario Steve Witkof come inviato speciale per il Medio Oriente è un segnale chiaro. Già all’inizio del suo mandato, Trump aveva diffuso un video (realizzato con intelligenza artificiale) che mostrava proprio un piano per trasformare Gaza in un grande resort.
La cosiddetta "tregua" viene descritta come fragile, insostenibile e funzionale a calmare le immense proteste di piazza che hanno scosso il mondo. Israele, osserva Mazzeo, controlla ancora il 57% del territorio di Gaza e continua a usare cibo, acqua e farmaci come armi.
Proprio la mobilitazione globale è indicata come una delle poche forze in grado di contrastare questa deriva. Le missioni della Freedom Flottilla, nonostante i volontari subiscano torture e trattamenti disumani (come raccontato da alcuni italiani), rappresentano la determinazione della società civile a rompere l’assedio e a non essere complice dello sterminio.
Il messaggio finale è un monito: se il genocidio e l’annessione dei territori palestinesi venissero portati a compimento, si creerebbe un precedente storico che cancellerebbe il diritto internazionale, "riportando l'umanità all'età della pietra".

1.gif)
