Gli affari vadano avanti
Una riflessione sulle dichiarazioni dell’amministratore delegato di Leonardo
di Federico Giusti
L’amministratore delegato di Leonardo, dopo la esclusione dal Festival della Scienza di Genova, ha rilasciato giorni or sono una intervista al quotidiano Il Corriere nella quale dichiara false le accuse di vendere le armi ad Israele e rinvia al mittente le accuse di «complicità nel genocidio».
Un'intervista non casuale per tempistica e contenuti, in queste ultime settimane sono assai diffuse le contestazioni all’operato di quella che oggi possiamo definire tra le principali aziende produttrici di armi nell’Unione Europea, un gruppo che 30 anni fa riservava i tre quarti della produzione al civile e oggi invece la stessa percentuale arriva dal militare.
L’indignazione di Cingolani per quanto avviene a Gaza non lo porta a parlare di genocidio (sulle accuse di genocidio saranno gli storici a doversi pronunciare), giudica l’accusa di complicità invece una montatura gravissima ci sono troppe inesattezze e falsità che vengono utilizzate per demonizzare Leonardo.
Il rapporto presentato da Francesca Albanese all’Onu fa intendere che siamo davanti alla violazione della legge 18590 la quale proibisce la vendita di armi ai paesi in guerra, non è dunque casuale che proprio questa legge sia nel mirino di parlamentari della Maggioranza desiderosi di modificare le regole vigenti. Ma cosa risponde Cingolani, pur indirettamente, all’utilizzo del caccia F35 alla cui realizzazione partecipa anche l’Italia?
«Quel rapporto nomina Leonardo in quattro pagine in maniera abbastanza superficiale, con accuse strumentali e forzate. Si dice che poiché abbiamo contribuito a costruire i caccia F-35 venduti in tutto il mondo – incluso Israele – e poiché alcuni di questi F-35 sono utilizzati in questo orrendo conflitto, allora siamo complici di genocidio. Certo, partecipiamo a consorzi per la costruzione di tante tecnologie e piattaforme per la difesa. Ma dire che siamo corresponsabili di genocidio mi pare una forzatura inaccettabile».
Soffermiamoci su queste considerazioni, nessuno accusa i vertici di Leonardo per odio atavico verso i produttori di armi, le industrie belliche sono all’interno di consorzi, join venture e alla fine diventa arduo comprendere quale impresa, e di quale paese, sia più responsabile della realizzazione di un prodotto di morte (gli aerei da guerra sono concepiti non certo per la pace), quanto dichiara Cingolani ci riporta ad una realtà poco conosciuta ossia una vasta rete di piccole , medie e grandi aziende indispensabili per il prodotto finale con la partecipazione attiva anche di ricercatori pubblici e privati.
Chiedere, anzi esigere, di non rendersi complice di questi sistemi di arma significherebbe danneggiare economicamente l’azienda e il suo titolo in borsa che da anni permette agli investitori lauti guadagni come del resto avviene per ogni altra multinazionale del settore bellico. Ma senza giocare con le parole, Leonardo ammette alla fine di partecipare alla realizzazione di armi utilizzate da Israele (se non le vende l’Italia qualche altro paese è sempre pronto a farlo), da qui l’accusa di corresponsabilità con il Genocidio che tanto fa indignare Cingolani. Forse dovremmo tutti, nessuno escluso, riflettere ulteriormente su quanto scrive Francesca Albanese nel suo Rapporto sulle innumerevoli forme di collaborazione di cui Israele da sempre beneficia. Forse anche da parte nostra, come movimenti contro la guerra, sono stati talvolta utilizzati termini inappropriati specie se rabbia e indignazione, legittime, prendono il sopravvento. Possiamo anche accettare (ma fino a un certo punto) che Israele non abbia ricevuto esportazioni militari italiane dal 7 Ottobre, come dichiarano anche esponenti della Maggioranza governativa, ma leggendo ancora la intervista a Cingolani scaturiscono ulteriori elementi di analisi e riflessione che poi ci riportano all’accusa di connivenza con il colonialismo da insediamento e con il genocidio.
Riportiamo integralmente due passaggi (il lettore potrà verificare la correttezza dello scrivente nel citare le fonti andando direttamente a questo link):
«Abbiamo in essere due contratti di manutenzione per elicotteri e aeroplani da addestramento non armati per piloti che prendono il brevetto. Questi contratti consistono in 4 tecnici che sono in Israele per la manutenzione ordinaria dei velivoli. Per gli elicotteri l’accordo risale al 2012, per gli aerei al 2019. Questi contratti dobbiamo onorarli per legge, anche in questa situazione tremenda. Per fortuna adesso il ministero degli Esteri e la Uama stanno guardando se sia possibile trovare un provvedimento che ci consenta di sospendere le vecchie licenze sulla falsariga della legge 185. Anche usare come prova di partecipazione al genocidio due contratti pregressi di manutenzione su velivoli da addestramento non armati è un’inaccettabile forzatura».
«Si può fare un provvedimento che ci consenta di sospendere legalmente i contratti sotto un ombrello istituzionale. In sua assenza qualunque recesso unilaterale di un’azienda quotata da un contratto in essere sarebbe un illecito che porterebbe a un contenzioso legale. Serve una copertura istituzionale. Noi stiamo cercando di fare del nostro meglio, ma queste questioni richiedono tempo e un grande lavoro da parte delle istituzioni».
Un contratto può essere anche unilateralmente disdetto, ci sarà da sostenere dei contenziosi legali ma davanti a oltre 60 mila morti quanto tempo dobbiamo ancora aspettare? Che sia ultimata la pulizia etnica in Palestina?
Quanto poi alla accusa mossa a Finmeccanica, ora Leonardo, di partecipare alla costruzione dei sistemi radar utilizzati da Israele ricordiamo che nel 2008 la multinazionale italiana acquistava la maggioranza delle quote di DRS Technologies (una azienda statunitense che tre anni fa ha acquistato la impresa di radar israeliana denominata Rada) che produce sistemi elettronici per la difesa. Leonardo, azionista di maggioranza di DRS la quale a tutti gli effetti è una impresa statunitense che a sua volta segue le indicazioni del suo governo e quindi può vendere le armi a Israele senza limite alcuno e senza rispettare la legge 185 vigente in Italia.
L’Amministratore delegato di Leonardo giudica inammissibile l’accusa di complicità mossa a Leonardo ma siamo sicuri che per mettersi l’anima in pace sia sufficiente asserire che una multinazionale è tenuta a rispettare le leggi di altri paesi dove sorgono i suoi stabilimenti? Prendiamo ad esempio le imprese che hanno delocalizzato produzioni pericolose in paesi dove le norme ambientali sono blande, sbaglieremmo a criticare queste aziende per non avere salvaguardato l’ambiente oppure dovremmo limitarci a riconoscere la non colpevolezza di questa azienda ritenendo il paese ospitante come unico responsabile?
E nella parte finale dell’intervista Cingolani annuncia il core business per i prossimi anni di Leonardo e anche questa volta citiamo testualmente le dichiarazioni dell’amministratore delegato di Leonardo menzionando prima la domanda del giornalista del Corriere
Serve una riflessione sui sistemi di difesa di fronte alla minaccia dei droni?
«Molto più di una riflessione. In Leonardo questo problema l’abbiamo toccato prima degli altri, parlando di “bullets and bytes”, proiettili e dati. Non è solo una questione di armi, ma di satelliti, intelligenza artificiale, droni. Gli ucraini ci insegnano quanto è possibile innovare quando si lotta per sopravvivere. Oggi gli attacchi aerei con missili o droni possono essere rapidissimi e costare dieci volte meno della difesa. A maggior ragione per essere più pronti sui temi del digitale, dei droni automatizzati, dell’AI e dei satelliti dovremmo dedicare una parte importante del 5% del Pil richiesto dalla Nato allo sviluppo di queste tecnologie che hanno una valenza duale: civile e non solo militare».