Haiti, attentato al presidente del Senato. Il paese è senza istituzioni

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Haiti, attentato al presidente del Senato. Il paese è senza istituzioni

Al grido di “Libertà o morte!”, i neri di Haiti sconfissero le truppe di Napoleone Bonaparte, dando forma, dopo una lunga lotta, alla prima Repubblica di schiavi liberi del mondo, il 1° gennaio del 1804. La prima Repubblica veramente libera delle Americhe. Gli Stati uniti, che avevano dichiarato l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1776, infatti, mantenevano in schiavitù mezzo milione di persone, costrette a lavorare nelle piantagioni di cotone e di tabacco: considerate inferiori per il colore della pelle anche da chi, come Thomas Jefferson - principale autore della dichiarazione d’indipendenza, influenzato dai principi illuministi, ma anche proprietario di schiavi – sosteneva l’uguaglianza formale, ma diceva che i neri erano stati, erano, e sarebbero stati sempre inferiori.

E dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, nata dalla Rivoluzione Francese del 1789, erano rimasti fuori i diritti dei neri in catene. Gli interessi coloniali basati sulla tratta, erano giganteschi. La schiavitù, abolita in Francia una prima volta nel 1794, era stata ripristinata sotto Napoleone, nel 1802. Da allora, la repubblica di Haiti, che aiutò Simon Bolivar nella sua causa indipendentista, diventerà uno stimolo fondamentale per molte rivolte di schiavi nei Caraibi e negli Stati uniti. 

Fin da subito, la Francia e le altre potenze coloniali cercarono di limitare “il contagio”. Parigi impose un blocco navale durissimo, obbligando la giovane nazione caraibica a firmare un indennizzo pari a 150 milioni di franchi in oro, nel 1825. Fra i “costi” da risarcire, c’era anche quello degli schiavi morti, che avevano comportato una perdita per il loro “proprietario”. Quel gigantesco onere gravato dagli interessi da pagare, prima alle banche private francesi, poi agli Stati Uniti, segnò lo sviluppo economico dell’isola, marcato dalle successive invasioni militari: come quella nordamericana del 1915, che durò fino al 1934. Ma già dal 1914, le truppe Usa si erano impadronite dei fondi pubblici della banca nazionale e li avevano trasferiti negli Stati uniti, con un vero e proprio atto di pirateria internazionale, e nonostante le proteste popolari.

Durante il periodo di occupazione, a cui venne opposta una forte resistenza armata, nel 1918 gli Usa imposero una nuova costituzione e venne introdotto il lavoro forzato. Quando le truppe Usa lasciarono il paese, non finì per questo la dipendenza economica dell’isola, squassata dagli scontri di interessi che ne determineranno e ne determinano le crisi politiche, e che moltiplicheranno gli effetti delle numerose tragedie occorse da allora: dai terremoti alle epidemie di colera. “La storia della persecuzione contro Haiti, che ai giorni nostri si tinge di tragedia – scriveva Galeano -, è anche una storia del razzismo nella civiltà occidentale”.

La costituzione di Haiti, sospesa per qualche anno e ripristinata nel 1994 sul modello di quelle statunitensi e francesi, prevede una repubblica presidenziale con un presidente eletto a suffragio universale per un mandato di 5 anni, senza possibilità di ripeterne un secondo o un terzo. Il presidente nomina il primo ministro e il suo governo deve rispondere all’Assemblea nazionale, composta da 99 deputati a loro volta eletti con suffragio universale, mentre il Senato – che si rinnova per un terzo ogni due anni - conta con 30 senatori.

A rappresentare quel che resta di un istituito in frantumi, ad Haiti, rimanevano solo 10 senatori eletti dalle urne, e il presidente della camera alta, Joseph Lambért, il cui mandato, come quello dei suoi colleghi, scade il 9 gennaio. I mandati degli altri 20 erano già scaduti e le elezioni sono state continuamente rimandate. L’ex presidente, Jovenel Moïse, assassinato il 7 luglio del 2021 da un gruppo di mercenari colombiani targati Usa, egli stesso già a mandato scaduto, è stato sostituito dal primo ministro Ariel Henry, che aveva nominato pur non avendo più la conferma del voto.

Un presidente “de facto”, legittimato non dalle urne, ma dal Core Group, un settore designato dalle Nazioni Unite. È composto dagli ambasciatori di Germania, Brasile, Canada, Spagna, Stati Uniti, Francia, Unione Europea, dal Rappresentante Speciale dell’Organizzazione degli Stati Americani, e dalla Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu. Il paese è preda delle gang, che si scontrano per interposti interessi con armi da guerra forniti dagli Usa e che, fino a poco tempo fa, hanno bloccato il porto della capitale, impedendo l’accesso al carburante, già a prezzi proibitivi, e facendo ulteriormente esplodere le carenze di servizi a fronte del ritorno del colera.

Lo scorso ottobre, Henry non ha trovato di meglio che chiedere l’invio di una forza di intervento esterno. Per ora, solo il Canada ha risposto inviando un gruppo in ricognizione e, insieme agli Stati Uniti, ha sanzionato alcuni alti rappresentanti haitiani. Fra questi, anche l’ex presidente Michel Martelly, due ex primi ministri, alcuni imprenditori e anche il presidente del Senato, accusato di traffico di droga.

Ieri, Joseph Lambért ha subito un attentato, a quanto pare senza gravi conseguenze. Durante la cerimonia di festeggiamento per l’indipendenza, a inizio anno, come già a gennaio del 2021, Henry ha promesso di indire nuove elezioni che, però, ha aggiunto, dovranno essere garantite da adeguate misure di sicurezza. Per questo, dato che nel paese l’esercito è stato sciolto nel 1995 e che è la polizia, in particolare l’unità d’intervento speciale, a garantire la difesa nazionale, questa dev’essere “rafforzata” dalla presenza di forze internazionali. Un escamotage per farsi riconfermare nel potere dai suoi protettori – dicono i manifestanti infuriati, che continuano a chiederne la cacciata di Henry.

Geraldina Colotti

Geraldina Colotti

Giornalista e scrittrice, cura la versione italiana del mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique. Esperta di America Latina, scrive per diversi quotidiani e riviste internazionali. È corrispondente per l’Europa di Resumen Latinoamericano e del Cuatro F, la rivista del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV). Fa parte della segreteria internazionale del Consejo Nacional y Internacional de la comunicación Popular (CONAICOP), delle Brigate Internazionali della Comunicazione Solidale (BRICS-PSUV), della Rete Europea di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana e della Rete degli Intellettuali in difesa dell’Umanità.

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