Il piano turco-russo in Libia a un passo
di Michelangelo Severgnini per l'AntiDiplomatico
Quando il 3 giugno scorso il capo dell’intelligence turca Ibrahim Kalin è atterrato a Tripoli per una missione complicata ma necessaria (innanzi tutto per i Turchi), forse non si aspettava che il suo convoglio fosse preso di mira da colpi di Kalashnikov. Ma forse nemmeno è stato colto così di sorpresa.
A sparare sono stati gli uomini di Abdel Raouf Kareh, legato alle Forze di Deterrenza. Mentre il convoglio che scortava Ibrahim Kalin era composto dagli uomini di Abdullah Trabelsi, fratello di Imad Trabelsi, niente meno che ministro degli interni del governo illegale, criminale e ormai pericolante di Abdulhamid Dabaiba. I due fratelli, per altro, sono considerati criminali internazionali, ma fino a questo momento a Tripoli nessuna porta gli è stata preclusa.
La missione di Ibrahim Kalin era delicata. Il messaggio che doveva recapitare al governo di Tripoli era il seguente: “Il tempo sta per scadere, se dovete fare qualcosa, fatela adesso”. E forse avrà pure aggiunto: “Non siamo più disposti a proteggere le milizie e i loro capi”. Anche se non l’ha aggiunto, tutti hanno capito a Tripoli che il senso del suo viaggio fosse quello.
La Turchia ha ormai un altro piano, in Libia, risultato di un lungo e paziente lavoro diplomatico che dai giorni di fine 2019 (quando la Turchia decise di schierare i propri uomini a Tripoli a difesa della città dall’avanzata dell’Esercito Nazionale Libico di Haftar) a oggi ha praticamente rivoluzionato, non solo la politica turca in Libia, ma gli equilibri stessi nel Paese.
Abbiamo già raccontato di come negli ultimi anni, a cominciare dal premierato a Bengasi di Fathi Bashagha (marzo 2022 - maggio 2023), la Turchia abbia stretto rapporti economici, politici e militari sempre più stretti con le autorità di Bengasi.
Ma ora, l’ago della bilancia sta per passare la linea del baricentro e rivoltare la Libia da capo a piedi.
Il giorno prima della visita di Ibrahim Kalin a Tripoli, il 2 giugno scorso, la Casa dei Rappresentanti (il parlamento libico di stanza a Bengasi) aveva votato l’istituzione di un comitato tecnico di studio per arrivare alla ratifica degli accordi siglati nel novembre 2019 dall’allora premier di Tripoli, Fayez al-Sarraj, e appunto la Turchia.
Questi accordi prevedevano l’istituzione di un corridoio marittimo continuo tra le acque territoriali libiche e quelle turche e servì per creare le premesse per l’intervento militare turco a difesa di Tripoli. Siglati quegli accordi infatti, nel gennaio successivo 2020 la Turchia aveva già aviotrasportato i suoi uomini a Tripoli per fronteggiare l‘Esercito Nazionale Libico di Haftar.
Giustamente, da subito, le istituzioni legittime di Bengasi avevano fatto allora notare che simile accordi possono essere firmati solo da un governo legittimo, cioè quello con sede a Bengasi e che inoltre, il cosiddetto corridoio marittimo partiva dalle coste della Cirenaica verso le coste turche e che quindi non era per alcun motivo competenza delle autorità di Tripoli.
Ora il paramento libico di Bengasi, 6 anni più tardi, si appresta a ratificare questi accordi, a riconoscergli e a garantire alla Turchia che le acque tra la Cirenaica e le coste sud-occidentali della Turchia verranno considerate di mutua pertinenza, soprattutto nel tratto di mezzo, quello ricco apparentemente di risorse energetiche sul fondo del mare.
A questo punto c’è un’altra frase che Kal?n potrebbe aver pensato, ma forse non ha osato pronunciare di fronte a Imad Trabelsi, ministro degli interni del governo di Tripoli e criminale internazionale: “Una volta ratificato questo accordo, di voi milizie non sapremo più che farcene”.
La Turchia procede spedita. Il 9 giugno scorso il ministro degli esteri turco Hakan Fidan e il ministro degli esteri egiziano Badr Abdel Aty, hanno rilasciato una nota congiunta al termine di un colloquio telefonico nella quale spingono perché si tengano “nel più breve tempo possibile” le elezioni parlamentari e presidenziali in Libia, già sospese nel dicembre 2021 causa improvvisa candidatura di Saif Gheddafi, subito dato in testa a tutti i sondaggi.
Manca poco. La Turchia aspetta a giorni, forse a settimane, la ratifica dell’accordo marittimo Turchia-Libia. Da quella firma in poi, le milizie perderanno il sostegno di uno dei loro sponsor principali: la Turchia, appunto.
Ecco perché le milizie di Tripoli non erano affatto contente della visita lo scorso 3 giugno a Tripoli di Ibrahim Kalin.
Il messaggio della Turchia per Tripoli, da settimane, è chiaro: “datevi una ripulita, se potete”. A questo va fatto risalire l’omicidio di Abdul Ghani Al-Kikli lo scorso 12 maggio, che ha mandato in frantumi i già precari equilibri tra milizie. La sua milizia, pomposamente denominata Apparato di Supporto alla Stabilità, è stata smantellata.
Ora, a parte i numerosi gruppi sciolti presenti sul campo in ogni città e quartiere della Tripolitania, ne rimangono due: la Forza Speciale di Deterrenza, meglio conosciuta come RADA, legata agli uomini di Trabelsi già citato, quindi l’attuale ministro degli interni di Tripoli, ma sotto responsabilità di Osama Najim, meglio noto come Al-Masri, e la Brigata di combattimento 444 di Misurata, vicinissima al premier Dabaiba a sua volta misuratino.
Ma, che sia Deterrenza, Stabilità o Sicurezza, queste sono solo parole vuote. Sotto a quelle giubbe e a quelle mostrine ci sono solo miliziani jihadisti, quelli foraggiati dalla NATO per abbattere Gheddafi e che ora, in una nemesi epica, si stanno sparando addosso le une con le altre.
Noi Italiani possiamo ora solo assistere impotenti e ringraziare Minniti, che nel 2017 con la firma del Memorandum oltre alle motovedette (servite a scortare il petrolio di contrabbando dalla Tripolitania alla Sicilia e non per fermare i migranti, se non a tempo perso) con quella firma consegnò loro pompose divise che servivano solo per ripulire la facciata, non certo la sostanza. In buona compagnia con Minniti tutti i governi che sono succeduti da allora, Gentiloni, a oggi, Meloni, nel riconfermare quegli accordi.
Alla fine ne rimarrà una sola di milizia allora? Le altre hanno già fatto capire che no, o si affonda all’inferno tutti insieme, Tripoli compresa, o non se ne parla.
La notte scorsa nella capitale libica si è combattuto all’interno delle zone urbane. Non sono riportati morti per ora, solo danni. Ma le milizie e i loro uomini si muovono freneticamente sul campo come formiche impazzite, o meglio, come pesci in un dito d’acqua.
Da mesi prospettiamo una mossa russo-turca (con appoggio egiziano) sul fronte libico (vedi la puntata de Il contesto “Russia e Turchia ridisegnano il Mediterraneo, dalla Libia alla Siria”: https://www.youtube.com/watch?
I termini e persino i tempi dell’operazione sembrano delinearsi.
Alla Russia interessa mantenere la gestione delle basi militari nel sud della Libia (Al Khadim e Matin Al Sara), la base aerea di Jufra a ridosso della Tripolitania e quella navale di Tobruk, sull’estrema costa orientale. Non per puntare i missili contro l’Italia, come diversi cronisti italiani hanno fantasticato di recente, ma come base logistica intermedia per raggiungere il Sahel, ossia Niger, Mali e Burkina Faso e dunque dare sostegno militare all’alleanza AES in funzione anti-francese e sostituire la propria influenza al colonialismo europeo.
La Turchia, al contrario, è interessata agli idrocarburi, alle sterminate riserve di petrolio e gas ancora inesplorate sul territorio libico e quelle in mare aperto.
Gli interessi di Russia e Turchia in Libia sono paralleli, vanno ormai nella stessa direzione e non sono tangenti, non si ostacolano a vicenda.
Un’ultima osservazione. L’accordo marittimo Turchia-Libia è stato siglato nel novembre 2019 in risposta all’accordo di Nicosia tra Israele, Cipro e Grecia che pretendeva fare la stessa cosa, ossia istituire un corridoio marittimo continuo tra le coste israeliane, quelle cipriote e quelle greche, tagliando fuori la Turchia dal progetto EastMed ed impedendo alla Turchia di esplorare i giacimenti nelle acque tra Cipro e la Grecia.
Se il piano russo-turco in Libia va in porto, non cambierà solo la faccia della Libia, ma di tutto il Mediterraneo orientale.