Il welfare perde i pezzi

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Il welfare perde i pezzi

 

di Federico Giusti

Lo sportello del sindacato Cub ha recentemente ricevuto due lettere di cittadini e lavoratori che denunciano carenze e limiti del vecchio stato sociale. Meglio di noi entrano nei particolari a partire dal loro vissuto e per questo, occultando i nomi, crediamo preferibile la lettura di esperienze dirette a ricostruzioni giornalistiche fatte da terzi

“Nostra madre ha da 72 anni, vive in una RSA per malati di Alzheimer, non siamo stati in grado di prenderci cura di lei, non abbiamo gli strumenti e il tempo e affidarsi a una badante non è stato sufficiente. Una parte delle rette le paghiamo noi perché la pensione, pur buona, di nostra madre non è sufficiente, eppure le stesse dovrebbero essere interamente a carico dello Stato. Nostra madre era stata affidata inizialmente a una badante ma poi, con profondo dispiacere, abbiamo cercato una struttura per mesi prima di trovare il posto.

Paghiamo in due oltre 800 euro che si aggiungono a circa 1360 euro della pensione di mia madre che fino a 8 anni fa era una maestra di scuola elementare, poi il decorso rapidissimo della malattia. Quello che chiediamo è il rispetto di Sentenze recenti, nel nostro paese ci sono 600.000 di Alzheimer e circa un milione alle prese con malattie neurodegenerativeConosciamo famiglie che per ragioni economiche hanno preferito gestire direttamente la malattia, noi abbiamo pensato che affidarci a una struttura specializzata avrebbe potuto essere di aiuto e rallentare il decorso di una malattia che provoca nei familiari enormi sofferenze. Eravamo abituati a parlare di tutto con nostra madre che oggi non ci riconosce e lavora a maglia senza leggere i suoi amati libri o ascoltare musica classica.

Noi possiamo pagare la retta ma pensiamo a chi non ha la possibilità economica di farlo, le rette non dovrebbero spettare alle famiglie ma al Servizio Sanitario Nazionale, se il ricovero è legato ad Alzheimer o patologie neurodegenerative. Lo dice anche la Corte di cassazione (Ord. 26943/2024) e il Consiglio di Stato (3074/2025);

Le famiglie non dovrebbero fare causa per un diritto già riconosciuto per cittadini fragili ma purtroppo la strada per ottenere giustizia è ancora lunga e forse tanto accidentata da impedirci di raggiungere la meta”

Se nella prima famiglia abbiamo incontrato il caso di un anziano affetto da malattie non gestibili a domicilio, la seconda lettera inviata alla Cub arriva da una giovane famiglia, padre e madre poco più che trentenni con i nonni abitanti a centinaia di chilometri di distanza.

Parliamo di due giovani ricercatori tornati a vivere in Italia con due contratti precari e un figlio di 2 anni iscritto all’asilo nido. Questo anno è stata offerta loro la possibilità di iscrivere il bambino al nido nel mese di luglio, una offerta aggiuntiva da parte del Comune di loro residenza e oggetto di polemiche e scioperi da parte delle educatrici

Riportiamo questa testimonianza senza commenti

“Pagavamo una retta elevata in un nido privato, nostro figlio nel suo primo anno di vita entrava al nido prima delle 830 e ne usciva alle 1730, 9 ore e forse più per 5 giorni alla settimana con la baby-sitter disponibile almeno un sabato al mese per la intera mattina. L’anno successivo abbiamo fatto una scelta diversa, non ce la siamo sentiti di lasciare un bambino piccolo per tante ore e lo abbiamo iscritto al nido comunale, entra alle 810 ma lo riprendiamo a turno prima delle 16, qualche sacrificio in più al lavoro ma ne è valsa la pena, il rapporto con nostro figlio è decisamente migliorato, i percorsi educativi sono stati efficaci e noi stessi abbiamo visto il nido in una dimensione nuova e non sostitutiva delle famiglie. Il problema è sorto a luglio con la iscrizione al nido, noi avevamo un mese impegnativo, ricerche da consegnare per partecipare in autunno a dei concorsi.

Siamo stati costretti a far venire i nostri genitori dal Sud, le strutture erano troppo calde, gli impianti di microclima inadeguati, a quelle temperature elevate non volevamo lasciare nostro figlio. Per fortuna i nonni lo portano al mare ogni mattina, sta in acqua, gioca e dopo pranzo è a casa per il riposino, ma se non avessimo avuto qualcuno a disposizione come avremmo fatto? Non solo i nidi sono servizi a domanda individuale e gravano in buona parte sulle famiglie (e noi da dipendenti pubblici quello che si guadagna è regolarmente dichiarato e quindi paghiamo una retta abbastanza elevata) ma non ci sono servizi alternativi per la stagione estiva o almeno per un mese.

Quello che il nostro welfare non prevede è un servizio educativo estivo e di qualità che invece era attivo nei paesi del Nord Europa dove vivevamo prima. Forse abbiamo sbagliato a lasciare quei paesi, eravamo pagati meglio e il welfare era senza dubbio attento ai giovani e alle famiglie, questo Governo che ogni giorno parla di dio, patria  e famiglia pensa invece di risolvere il problema con i bonus.!”

 

 

 

 

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