Incontro telefonico Xi e Trump: contraddizioni e opportunità

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Incontro telefonico Xi e Trump: contraddizioni e opportunità

 

di Fabio Massimo Parenti* - CGTN

Il 5 giugno Trump e Xi Jinping hanno avuto un colloquio telefonico costruttivo: si tratta del primo colloquio diretto dall’inizio del secondo mandato di Trump. La telefonata ha rappresentato un momento di distensione dei rapporti bilaterali, concentrando il colloquio sulle questioni commerciali.

L’abbassamento delle tariffe reciproche per 90 giorni è stato confermato, i negoziati ad alto livello andranno avanti e visite reciproche sono state annunciate. Tale distensione è nell’interesse di entrambi i paesi e per certi versi serve soprattutto gli Usa che, secondo un recente sondaggio di Morning Consult, istituto statunitense, hanno visto scendere il loro indice di gradimento sotto l’1,5% (tale indice si ottiene facendo la differenza tra le opinioni positive e quelle negative). Al contrario, la Cina ha superato l’8,8%, mostrando un miglioramento significativo della sua immagine pubblica al livello globale. 

Dopo la dichiarazione congiunta di Ginevra e l’accordo raggiunto sulla questione dei dazi, sembrava che Cina e Usa stessero muovendosi nella giusta direzione per il bene dell’economia mondiale e non solo degli importanti rapporti economici tra le due economie nazionali più grandi del mondo. Tuttavia, circa una settimana fa Trump ha accusato la Cina di aver violato gli accordi, senza però specificare la natura di questa supposta violazione. La Cina ha rigettato le accuse, definendole infondate, e lo ha fatto in modo circostanziato.

In realtà, dopo Ginevra le tariffe sono state ridotte da entrambi i paesi e il meccanismo di monitoraggio della situazione commerciale bilaterale è stato avviato al fine di raggiungere un’intesa ancor più promettente nel prossimo futuro. Il problema di fondo è che gli Usa, tradizionalmente, vogliono imporre le proprie condizioni e, unilateralmente, si aspettano che le concessioni dell’altra parte non debbano implicare reciprocità, come la Cina ed altri paesi pretendono. La Cina ha sempre promosso il dialogo e pur avendo subito diverse ingiustizie ha sempre continuato a tenere la porta aperta. Da questo punto di vista c’è una sorta di scarto di civiltà o di modello culturale, cioè una differenza marcata tra chi vuole imporre le proprie condizioni in maniera forzosa ed unilaterale e chi per tradizione cerca un dialogo tra pari al fine di raggiungere compromessi bilanciati.

Non solo Trump ha asserito una falsità, in quanto non c’è stata alcuna violazione del consenso raggiunto, ma ha condito questa falsità con molte altre. L’immaginario caos interno, che secondo Trump sarebbe esploso in Cina in conseguenza all’imposizione dei nuovi dazi da febbraio fino a inizio maggio, non vi è mai stato.

Certamente negli ultimi tempi alcune aziende del Guangdong, per fare un esempio, hanno ridotto la loro produzione in attesa di capire cosa succedesse, ma non c’è stato né caos interno, né chiusura di fabbriche. Il 9 maggio, l'Amministrazione generale delle dogane cinese ha pubblicato i dati sul commercio estero dei primi quattro mesi. Nel mese di aprile, il commercio cinese di beni importati ed esportati ha raggiunto i 3,84 trilioni di yuan, con un aumento del 5,6%. Tra questi, le esportazioni hanno raggiunto i 2,27 trilioni di yuan, con un aumento del 9,3%; le importazioni hanno raggiunto i 1,57 trilioni di yuan, con un aumento dello 0,8%.

Inoltre, la cosa più grave di queste uscite di Trump è il fatto di non riconoscere che sono proprio gli Usa ad aver alzato il livello dello scontro economico e culturale attraverso una serie di misure sull’ulteriore riduzione delle esportazioni di chip e sui nuovi divieti per l’esportazione dei software statunitensi EDA necessari per la progettazione dei semiconduttori. E questo è stato deciso pochi giorni dopo il 12 maggio. Come se non bastasse, a seguito delle sue nuove accuse, l’amministrazione ha anche deciso di revocare e bloccare i visti per gli studenti cinesi in Usa. Quest’ultima rappresenta un’altra grave responsabilità dell’amministrazione a stelle e strisce, che invece di aprire canali di dialogo li riduce ulteriormente, operando nella direzione del decoupling economico e culturale. 

Tutte le iniziative intraprese contro la Cina sono contrarie al consenso stabilito dai capi di Stato durante la conversazione telefonica del 17 gennaio prima dell’insediamento di Trump, compromettono l'accordo di Ginevra e danneggiando i diritti e gli interessi legittimi della Repubblica popolare. Gli Usa hanno dunque rivolto un’accusa che avrebbero dovuto rivolgere a loro stessi, violando consensi e diritto internazionale e non sono più nella condizione di difendere l’ordine globale basato sulle regole.

Come scritto in apertura di questo articolo, la telefonata del 5 giugno tra i due presidenti sembra aver riportato gli Usa sulla strada giusta del dialogo e del negoziato e potrebbe aprire ad una distensione dei rapporti bilaterali che beneficerà non solo Cina e Usa, ma l’intera economia mondiale.

*Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia

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