Israele, l'ultimo stato colonialista europeo
di Domenico Moro
Di fronte al genocidio del popolo di Gaza in diretta televisiva mondiale ormai da due anni, accompagnato dalla violenza e dagli espropri contro i palestinesi in Cisgiordania, l’opinione pubblica mondiale ha espresso un’ampia condanna. Non è soltanto l’opinione pubblica dei paesi musulmani e del Sud del mondo a esprimere condanna nei confronti di Israele, ma anche, sempre di più, quella del Nord, a partire da quegli stati che hanno sempre appoggiato Israele, come gli Usa e l’Europa occidentale. Ne sono esempi emblematici le mobilitazioni degli atenei statunitensi di qualche mese fa e, da ultime, le grandi mobilitazioni popolari a favore dei palestinesi, avvenute in Italia tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre.
Per quasi due anni rimasti praticamente inerti dinanzi ai massacri e consapevoli del pericolo di perdere il loro residuo prestigio nei confronti non solo del mondo musulmano ma anche del proprio elettorato, diversi governi dell’Occidente si sono decisi almeno a riconoscere lo Stato di Palestina. All’interno dell’Occidente si è così determinata una spaccatura: da una parte Francia, Regno Unito, Canada, Spagna, Australia e altri ancora, che riconoscono lo Stato palestinese, da un’altra parte Stati Uniti, Germania, Italia e altri che rifiutano di farlo. Ad oggi sono 150 su 193 gli stati dell’Onu che hanno riconosciuto la Palestina, certificando il sempre più marcato isolamento internazionale di Israele.
Certamente il riconoscimento ha un valore soprattutto simbolico, dinanzi ai bombardamenti e al blocco dei rifornimenti alimentari. Inoltre, è tardivo, giungendo in un momento in cui ulteriore territorio palestinese della Cisgiordana è annesso da parte di Israele, e il piano cosiddetto di “pace” di Trump prevede l’istaurazione di una sorta di “mandato coloniale” su Gaza. Inoltre, è una misura debole, in quanto, con la parziale eccezione della Spagna, non è accompagnato da adeguate sanzioni e dal blocco delle relazioni commerciali, a partire da quelle che riguardano la compravendita di armamenti. Nonostante ciò, i virulenti attacchi da parte di Israele contro i paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese dimostrano che tale riconoscimento non è del tutto inutile.
A questo punto bisognerebbe chiedersi perché Israele dopo 70mila morti palestinesi (di cui 20mila bambini) in due anni di bombardamenti su Gaza vada avanti imperterrito, e perché gli Usa e altri Stati occidentali, tra cui l’Italia, continuino ad appoggiarlo non solo nonostante quanto accade a Gaza e in Cisgiordania, ma anche quando bombarda altri stati medio-orientali, dal Libano, alla Siria, all’Iran e persino al Qatar, stretto alleato degli Usa. Per capire il perché del comportamento di Israele dobbiamo, in definitiva, chiederci: che cosa è lo Stato di Israele nella sua essenza, cioè come formazione economico-sociale?
La natura di Israele nel quadro dell’imperialismo occidentale
Per rispondere dobbiamo risalire all’indietro nella storia, molto prima dei fatti del 7 ottobre 2023. L’ideologia che anima ancora oggi lo stato di Israele, il sionismo, si afferma tra gli ebrei europei tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, in un’epoca di sviluppo in Europa del nazionalismo e dell’imperialismo nella forma del colonialismo. Il sionismo è parte di quel movimento politico-culturale-economico, e ne condivide motivazioni e obiettivi. Significativamente Theodor Hertz, il fondatore del sionismo, disse, riferendosi al ruolo dei coloni ebraici in Palestina: “saremmo anche una parte del bastione dell’Europa contro l’Asia, un avamposto della civiltà a difesa dalla barbarie”[i].
Gli appartenenti all’Organizzazione sionista mondiale condividevano l’ideologia del “fardello dell’uomo bianco”, secondo la ben nota espressione di Rudyard Kipling, che vedeva il colonialismo come un destino manifesto dei popoli bianchi europei, che avevano il mandato di dominare sulle “razze” barbariche degli altri continenti. Inoltre, i sionisti ritenevano che per avviare la colonizzazione della Palestina era necessario garantirsi l’appoggio delle grandi potenze imperialiste dell’epoca, a partire dalla Gran Bretagna. Tale appoggio arrivò nel luglio del 1917, durante la Prima guerra mondiale, quando, su sollecitazione del banchiere ebraico Lionel Walter Rothschild, il ministro degli esteri britannico, Arthur Balfour, garantì la creazione in Palestina di un “focolare nazionale ebraico”.
Lo stanziamento di coloni ebraici in Palestina rappresentava un vantaggio strategico per l’Impero britannico, per il quale era centrale la salvaguardia delle vie di comunicazione con la sua principale colonia, l’India, e, quindi, il controllo del Canale di Suez. Come ricorda lo storico James L. Gelvin: “Un focolare nazionale ebraico in Palestina, circondato da una popolazione prevalentemente musulmana e dipendente dalla benevolenza e dal sostegno britannico, avrebbe potuto fornire una salvaguardia del genere”[ii]
Ma l’appoggio dell’imperialismo occidentale a Israele non venne solo dalla Gran Bretagna. Sin dalla sua nascita nel 1948, Israele viene sostenuto anche dalla Francia e dagli Usa. Un esempio della stretta alleanza tra colonialismo europeo e Israele si ebbe nel 1956, quando, a seguito della nazionalizzazione del Canale di Suez da parte dell’Egitto, Israele attaccò quel paese insieme a Francia e Gran Bretagna. Per quanto riguarda gli Usa, Israele rappresentava un cuneo occidentale inserito in un Medio Oriente che si temeva potesse volgersi a favore dell’Urss. La funzione di Israele di testa di ponte dell’imperialismo occidentale, in primis statunitense, nell’area medio-orientale, è ancora oggi di importanza strategica per il controllo sia delle maggiori riserve mondiali di petrolio sia degli stati che vogliano sottrarsi all’egemonia occidentale. Tale ruolo è stato riconosciuto esplicitamente, in occasione della recente aggressione di Israele contro l’Iran, dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, che ha affermato: “Israele sta facendo il lavoro sporco per tutti noi”.
La natura di Israele come formazione economico-sociale
Israele è, quindi, parte dell’imperialismo occidentale e, in particolare, è l’ultimo esempio, in pieno XXI secolo, di Stato colonialista, secondo il modello europeo in vigore fino alla prima metà del XX secolo, quando si verificò la decolonizzazione. Elemento centrale del progetto di fondo del sionismo è sempre stato, sin dalle prime emigrazioni ebraiche in Palestina, l’acquisizione e la proprietà della terra. Lo stato di Israele è, da questo punto di vista, perfettamente coerente con la natura imperialistica del capitalismo giunto alla sua fase monopolistica.
Infatti, Israele è l’espressione idealtipica dell’”accumulazione di capitale per espropriazione”, tipica della fase imperialista del capitalismo. La forma principale dell’accumulazione capitalistica è la riproduzione allargata, mediante l’estrazione di plusvalore dal lavoro salariato. Tuttavia, quando tale estrazione diventa difficoltosa, ad esempio per la caduta del saggio di profitto, il capitale ricorre anche all’accumulazione per espropriazione. Questa si verifica in molte forme, ma quella che in questa sede ci preme sottolineare è l’espropriazione dei popoli indigeni della propria terra. Così è accaduto ai pellirosse dell’America del Nord e ai popoli che venivano colonizzati dagli Stati europei e occidentali in genere. Così, allo stesso modo, si sta comportando Israele nei confronti dei palestinesi.
Un altro aspetto, tipico dell’accumulazione capitalistica, è quella che chiamerei “accumulazione per distruzione creatrice”. Quando si è accumulato troppo capitale, ecco che la guerra interviene per distruggere il capitale in eccesso, sotto forma di macchinari, impianti industriali, edifici, infrastrutture, e offrire nuove occasioni di investimento e profitto. Così è accaduto con la ricostruzione di Europa e Giappone, dopo le immani distruzioni della Seconda guerra mondiale.
La stessa logica è applicata anche alla distruzione sistematica della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano. Il ministro delle finanze israeliano, Bezalel Smotrich, ha definito la Striscia di Gaza come “una miniera d’oro immobiliare”, affermando che “sono stati avviati negoziati con gli americani” su come dividere l’enclave palestinese e far sì che la ricostruzione “si paghi da sola”. Smotrich ha poi aggiunto: “abbiamo investito molti soldi in questa guerra, dobbiamo vedere come distribuiremo il territorio in percentuale…la demolizione, la prima fase del rinnovamento della città, l’abbiamo già fatta”. Smotrich conclude dicendo che il business plan della nuova Gaza è già sulla scrivania di Trump, “che sta verificando come questa situazione diventerà una manna dal cielo immobiliare”.[iii] Mentre migliaia di civili, donne e bambini vengono uccisi o storpiati il governo israeliano e Trump, vecchio immobiliarista newyorkese, pensano a come mettere in atto una gigantesca speculazione immobiliare. Anche l’Italia molto probabilmente parteciperà all’affare, visto che Meloni ha assicurato che è pronta a fare la sua parte alla fine delle operazioni militari.
Israele è, in definitiva, un pezzo del centro metropolitano imperialista trapiantato all’interno della periferia medio-orientale. Questa sua natura “centrale” si può individuare anche guardando alla sua struttura economica. Quella di Israele è una economia ricca e avanzata assimilabile a quelle dell’Europa occidentale invece che a quelle dei paesi arabi che lo circondano. Nel 2023 il Pil pro capite di Israele era di 55.488 in dollari correnti, leggermente superiore a quello della Germania (53.228 dollari) e molto superiore a quello degli stati arabi vicini, come l’Egitto (2.895 dollari) o la Giordania (4.442 dollari)[iv]. Il tasso di disoccupazione è molto basso (3%). Malgrado la bilancia commerciale (riferita ai beni) nel 2023 fosse negativa per 28,5 miliardi di dollari, il deficit era più che compensato dal surplus di 40,9 miliardi della bilancia dei servizi[v]. Inoltre, malgrado le forti spese militari (45,3 miliardi di dollari nel 2023[vi]), il debito pubblico israeliano nel 2025 rappresenta appena il 69,1% del Pil[vii].
L’economia israeliana è un hub importante per l’innovazione nella farmaceutica e nei settori ad alta tecnologia, ad esempio a livello mondiale è fra i primi paesi per l’avvio di start up nell’intelligenza artificiale. L’high tech è per Israele il motore più importante della crescita del Pil e delle esportazioni[viii]. A causa del permanente stato di guerra in cui si trova, Israele ha sviluppato una industria bellica molto avanzata che è anche l’ottava a livello mondiale per esportazioni, dirette specialmente in India, Usa e Filippine[ix]. In particolare, Israele, nonostante le piccole dimensioni della sua economia, annovera tre tra le prime cento imprese belliche mondiali: Elbit Systems al 27° posto, Israel Aerospace Industries al 34°, e Rafael al 42° posto[x].
Queste performance non traggono origine soltanto dalle capacità degli immigrati ebrei, dotati di alti livelli di istruzione, ma soprattutto dall’aiuto che i paesi imperialisti hanno fornito nel corso della sua storia a Israele, che ne è diventato sempre più dipendente. Se Israele, nonostante sia in un continuo stato di guerra, ha un debito pubblico piuttosto basso in rapporto al Pil, specie se confrontato con quello italiano, giapponese o statunitense, è perché può contare su quella che gli storici chiamano la “rendita”, cioè entrate non provenienti da tassazione interna[xi]. Tali entrate provengono, in primo luogo, da contributi e investimenti di ebrei di altri paesi, che, inoltre, agiscono come lobby a favore di Israele. Ma provengono anche da altri stati imperialisti.
Nel 1953 la Germania destinò 700 milioni di dollari a titolo di riparazione per la Shoah, e, poco dopo, la Francia iniziò a fornire assistenza militare. Ma l’aiuto di gran lunga maggiore è provenuto dagli Usa. Secondo il Council on Foreign Relations, dal 1946 al 2024 gli Usa hanno elargito a Israele ben 310 miliardi di dollari (aggiustati per l’inflazione), di cui 80 miliardi in aiuti economici e il resto in aiuti militari. Nello stesso periodo Israele è stato il principale destinatario mondiale degli aiuti statunitensi, superando di circa 150 miliardi il secondo beneficiario, l’Egitto[xii]. Gli Usa hanno fornito un considerevole aiuto economico tra 1971 e 2007, ma oggi il supporto è quasi tutto militare. In base al memorandum of understanding (MOU) firmato da Usa e Israele nel 2016, i primi si impegnano a fornire gratuitamente al secondo 3,8 miliardi all’anno di aiuti militari fino al 2028. Dopo il 7 ottobre 2023, a questi aiuti si sono aggiunti altri 8,7 miliardi, che hanno fatto lievitare l’ammontare a 12,5 miliardi annui. In aggiunta, gli Usa erogano altri 500 milioni di dollari all’anno per i sistemi di difesa missilistica di Israele, come l’Iron Dome e la Fionda di Davide. Inoltre, va sottolineato che a Israele, a differenza di quanto accade negli altri paesi beneficiari, obbligati a spendere gli aiuti in armi statunitensi, è permesso di destinare parte di questi fondi alla propria industria bellica.
Molto importante per la sopravvivenza di Israele è il suo rapporto commerciale con l'Ue, regolato dall’Accordo di associazione firmato nel 2000, che ha eliminato i dazi doganali sulla quasi totalità dei prodotti manifatturieri scambiati fra le due parti. La Ue è il principale partner commerciale di Israele e fornisce il 34,2% delle importazioni israeliane e assorbe il 28,8% delle esportazioni. Nel 2024 lo scambio di beni totale fu di 42,6 miliardi di euro, di cui 15,9 miliardi di importazioni da Israele e 26,7 miliardi di esportazioni verso Israele. Lo scambio di servizi totale fu di 25,6 miliardi di euro, di cui 10,5 miliardi di importazioni europee e 15,1 miliardi di esportazioni[xiii]. Il settore più importante delle esportazioni di Israele verso la Ue è quello dell’high tech e delle telecomunicazioni (componenti elettronici, chip, tecnologia per la cybersecurity e apparecchiature mediche), seguito dalla farmaceutica, dai diamanti e dalla frutta fresca. Le importazioni dalla Ue, invece, riguardano macchinari e apparecchiature, prodotti chimici e farmaceutici, veicoli e parti di ricambio e beni di lusso.
La Ue ricopre una posizione importante anche per quanto riguarda il commercio di armi con Israele, sul quale non sono applicati dazi, dal momento che tra il 2020 e 2024 le forniture di armi a Israele sono provenute nell’ordine: dagli Usa, con il 66% delle importazioni totali, dalla Germania con il 33% e dall’Italia con l’1%[xiv]. Diversi paesi della Ue, come l’Italia, hanno bloccato le nuove autorizzazioni governative all’export di armi verso Israele, dopo il 7 ottobre 2023. Tuttavia, le vecchie licenze hanno continuato a produrre spedizioni[xv]. La Germania nel 2024 ha esportato in Israele 131 milioni di euro in armi. L’Italia nell’ultimo trimestre del 2023 ha esportato in Israele 2,1 milioni di euro in armi[xvi] e nel 2024 ha importato armi da Israele per 16,8 milioni di euro e ne ha esportate per 5,2 milioni[xvii].
Infine, bisogna dire che l’attacco israeliano a Gaza, che dura da quasi due anni, sta mettendo in difficoltà l’economia israeliana. Fra l’altro l’esercito di Israele è fatto in parte non indifferente di riservisti, che, per partecipare alle operazioni belliche, devono lasciare il loro posto di lavoro, con conseguente danno per la produzione. Inoltre, Amir Yaron, governatore della Banca centrale israeliana, ha affermato che il deterioramento della reputazione internazionale di Israele, dovuto a quanto accade a Gaza, potrebbe danneggiare il commercio, gli investimenti esteri e l’economia nel suo complesso. Secondo Yaron, “Israele dipende in misura considerevole dalla sua partecipazione all’economia globale. Pertanto deve fare tutto il possibile per rafforzare la sua posizione internazionale”. La prosecuzione della guerra con l’occupazione di Gaza, ha continuato Yaron, peserebbe sulla ripresa economica: “Come conseguenza diretta la crescita sarebbe inferiore, il deficit di bilancio aumenterebbe e l’inflazione e i tassi d’interesse sarebbero più elevati.”[xviii]
Da quanto abbiamo detto, visto che Israele è fortemente integrato economicamente e militarmente con gli Usa e la Ue, eventuali sanzioni statunitensi e europee sarebbero molto efficaci. Il blocco del commercio estero con Usa e Ue, incluso l’interscambio di armi, determinerebbe il collasso di Israele nel giro di poco tempo. Del resto, abbiamo visto come Israele si sia ritrovato in difficoltà quando l’Iran ha replicato ai suoi attacchi aerei con il lancio massiccio di missili, che hanno rapidamente saturato le sue difese. Lo stock di missili intercettori si è rapidamente esaurito, malgrado i rifornimenti statunitensi, rischiando di lasciare il paese senza difesa aerea. Per questa ragione, Trump è intervenuto militarmente, allo scopo di chiudere un conflitto che stava prendendo una brutta e inaspettata piega, permettendo ad Israele di salvare la faccia.
Quindi, non solo gli statunitensi ma anche gli europei, a cominciare da Germania e Italia, hanno una forte responsabilità per non aver agito con tutti i mezzi a loro disposizione per fermare il genocidio a Gaza e la pulizia etnica in Cisgiordania. Inoltre, è particolarmente ipocrita l’atteggiamento del governo italiano che, da una parte, accoglie, con grande enfasi dei TG nazionali, alcune decine di bambini palestinesi malati o feriti negli ospedali italiani mentre, dall’altra, rifiuta non solo di riconoscere la Palestina ma anche di bloccare l’interscambio commerciale, specie quello di armi e munizioni.
Conclusioni: uno Stato colonialista appoggiato dall’imperialismo
Lo Stato di Israele è privo di una Costituzione. Al suo posto ci sono 11 leggi fondamentali, approvate nel corso degli anni dal parlamento israeliano, la Knesset. Nel 2018 è stata approvata l’ultima di queste leggi, riferita alla natura dello stato-nazione. Questa legge dichiara che Israele è la casa nazionale del popolo ebraico, che una Gerusalemme unita è la capitale di questo stato, che lo sviluppo di insediamenti ebraici è un valore nazionale, e che l’ebraico è la lingua dello Stato. In questo modo, prevale una concezione etnico-religiosa dello Stato come Stato degli ebrei, che si arrogano il diritto di annettere Gerusalemme Est (araba) e tutti quei territori della Cisgiordania dove ci sono insediamenti di coloni ebrei. Tutto questo è grave non solo per i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania, ma anche per quei 2 milioni di arabi (il 20% della popolazione di Israele), che hanno la cittadinanza di Israele. Questi arabi, musulmani, cristiani e drusi, percepivano già di essere cittadini di seconda classe per quanto riguarda l’accesso a servizi come l’istruzione e la sanità, e ora lo sono anche in base allo status giuridico[xix].
Ma, in realtà, questa legge sancisce soltanto quello che nella pratica c’è sempre stato. Israele è nato e si è sviluppato come enclave bianca ed europea in Medio Oriente. La sua natura è colonialista, assimilabile per molti versi a quella dei vecchi stati africani prodotto del colonialismo europeo e dove vigeva l’apartheid, come il Sud Africa e la Rhodesia, che, non a caso, annoverava Israele tra i pochi stati mondiali che la riconoscevano ufficialmente. Del resto, il genocidio della popolazione palestinese può essere paragonabile a quelli di cui si resero responsabili le potenze coloniali europee, come il genocidio degli herero della Namibia tra 1904 e 1907 da parte della Germania, o i massacri contro la popolazione civile dell’Algeria da parte della Francia, o i massacri mediante le carestie indotte dalla Gran Bretagna nei confronti degli irlandesi e degli indiani[xx], o i massacri contro le popolazioni etiopiche e libiche da parte dell’Italia[xxi].
La natura etnico-religiosa e perciò colonialista dello Stato israeliano è direttamente riconducibile alla sua funzione internazionale: quella di sostegno fidato del centro imperialista contro la periferia araba e musulmana. Per tutte queste ragioni Israele può permettersi di fare cose che non sarebbero tollerate se venissero perpetrate da un altro stato, specialmente se periferico. Tale tolleranza non dipende soltanto dal senso di colpa degli europei per la Shoah, ma dipende soprattutto, da un punto di vista ideologico, dal senso di comune appartenenza alla cultura occidentale opposta alla “barbarie” asiatica e africana e, dal punto di vista economico-politico, dall’appartenenza a quello che, con Samir Amin, possiamo definire l’imperialismo collettivo dell’Occidente[xxii]. Senza una tale appartenenza e, quindi, senza l’appoggio dell’imperialismo di Usa e Europa occidentale, Israele non sarebbe riuscito a sopravvivere tutto questo tempo.
Da quanto osservato fino ad ora derivano due importanti conseguenze pratico-politiche. La prima è che il comportamento di Israele origina non da scelte estemporanee di una sua parte politica, bensì dall’essenza stessa dello Stato di Israele. Di conseguenza, se tale natura non cambia, non ci può essere pacificazione e persino l’esistenza di un limitrofo micro-stato palestinese non sarebbe che quella di un bantustan, di una sorta di “mandato coloniale” di Israele. L’unica soluzione sarebbe quella di uno Stato unico arabo-ebraico su base federale con pari diritti per le due etnie, che era, infatti, la soluzione di minoranza (quella di maggioranza era la suddivisione della Palestina in due stati), prospettata dalla Commissione speciale delle Nazioni Unite per la Palestina nel 1947[xxiii]. Infine, la seconda conseguenza è che opporsi al genocidio e all’oppressione dei palestinesi da parte di Israele implica necessariamente lottare anche e in primo luogo contro l’imperialismo statunitense e europeo. E questo vale soprattutto per noi che viviamo nei paesi cosiddetti “avanzati” dell’Europa occidentale.
[i] Cit. in James L. Gelvin, Il conflitto israelo-palestinese, Einaudi, Torino 2007, pag. 66.
[ii] Ibidem, pag. 106.
[iii]https://www.adnkronos.com/internazionale/esteri/gaza-city-israele-assalto-ultime-news-oggi-live_4tyDjD11TawkweEtfq57aJ?utm_source=chatgpt.com
[iv] Unctad, Country Profile.
[v] Unctad, Country Profile.
[vi] Sipri Military Expenditure Database.
[vii] Imf, Country at a glance.
[viii] Oecd, Economic Surveys: Israel 2025, April 2025.
[ix] Sipri Fact Sheet, Trends in International Arms Transfers, 2024.
[x] Sipri Arms Industry Database.
[xi] James L. Gelvin, op. cit., pag.219.
[xii] Jonathan Masters and Will Merrow, U.S. Aid to Israel in Four Charts, Council on Foreign Relations, 13 November 2024.
[xiii] European Commission, EU trade relationships by country/region, Israel. https://policy.trade.ec.europa.eu/eu-trade-relationships-country-and-region/countries-and-regions/israel_en?utm_source=chatgpt.com
[xiv] Sipri Fact Sheet, Trends in International Arms Transfers, 2024.
[xv] Sipri, How top arms exporters have responded to war in Gaza, 3rd October 2024.
[xvi] Matthew Ward Agius, Amid calls for embargo, Who supplies Israel’s weapons?, DW. Com, 26th May 2025.
[xvii] Istat, Coeweb.
[xviii] Altri 33 morti a Gaza, raid di droni in Libano, il Sole24ore, 30 settembre 2025.
[xix] Anna Bagaini, Israele: i rischi della nuova legge sullo stato-nazione, ISPI, 30 luglio 2018.
[xx] Vedi di Mike Davis, Olocausti tardovittoriani, Feltrinelli, Milano 2018, e John Newsinger, The Blood Never Dried. A People’s History of the British Empire, Bookmarks Publications, London 2013.
[xxi] In Etiopia, oltre all’uso dei gas vietati dalle convenzioni internazionali durante la campagna di conquista, l’Italia si rese responsabile di massacri indiscriminati dopo l’attentato a Graziani nel febbraio 1937 ad Addis Abeba (30mila uccisi) e nel monastero cristiano copto di Debre Libanos (2000 uccisi). Inoltre, l’Italia tra 1922 e 1932, durante la cosiddetta riconquista della Libia, deportò 100 mila civili libici in campi di concentramento dove la mortalità era molto alta e procedette a impiccagioni e fucilazioni di massa. Su questi temi vedi di Angelo del Boca, Italiani brava gente?, Neri Pozza, 2011.
[xxii] Vedi di Samir Amin, Geopolitica dell’impero, Asterios editore-edizioni Punto Rosso, Trieste-Milano 2004.
[xxiii] James L. Gelvin, op. cit., pag.161.