La banalità della politica. Todde, RWM e la normalizzazione del riarmo
di Cristiano Sabino
C’è una forma di irresponsabilità che non si manifesta nell’arroganza, ma nella prudenza. Non nell’eccesso di decisione, ma nella sua sistematica rimozione o delega. È una irresponsabilità che si traveste da rispetto delle regole, da ossequio alla procedura, da fedeltà all’ordine delle competenze. Hannah Arendt l’avrebbe riconosciuta immediatamente: non come il male spettacolare, ma come il male normalizzato, amministrato, reso invisibile dalla lingua neutra del potere.
La vicenda dell’ampliamento dello stabilimento RWM in Sardegna — fabbrica di morte della multinazionale tedesca Rheinmetall, pienamente integrata nel circuito europeo del piano di riarmo da 800 miliardi di euro e di conseguente escalation bellica contro la Russia — segna uno spartiacque politico e morale per la presidenza della pentastellata e contiana di ferro Alessandra Todde. Non tanto per l’esito formale della decisione, quanto per la scelta di non scegliere, per l’atto profondamente politico di ritirarsi dalla politica nel momento in cui essa era più necessaria.
La contraddizione originaria
La prima frattura è pubblica, documentata, inequivocabile.
Todde si è più volte esposta contro il Rearm Europe, contro la complicità occidentale nella politica genocidaria dello Stato di Israele. In piazze, manifestazioni, dichiarazioni ufficiali, ha assunto — almeno a parole — una postura coerente con il sentimento pacifista diffuso nell’Isola e con una tradizione storica di rifiuto della militarizzazione coloniale della Sardegna.
Ma la politica non è un repertorio di enunciazioni morali: è decisione situata. E quando la guerra non è più un’astrazione geopolitica ma prende la forma concreta di un mega impianto industriale nel Sulcis, di un’autorizzazione regionale, di una delibera di Giunta, allora le parole cessano di essere sufficienti.
È lì che la contraddizione esplode.
Il rifugio nella burocrazia
In un primo momento, alla conferenza Euromediterranea per la pace dell’Arci, di fronte a una platea pacifista che non chiedeva slogan ma assunzione di responsabilità, Todde ha pronunciato la frase che segna il punto di non ritorno: «Ho un ruolo istituzionale e lo devo svolgere sino in fondo, piaccia o non piaccia. Potrei strappare qualche applauso se dicessi no alla Valutazione di impatto Ambientale per Rwm, nessuna nuova autorizzazione per i manufatti già realizzati. E il giorno dopo mi ritroverei i tribunali e gli uffici dello Stato che commissariano la Regione e ottengono lo stesso risultato a cui ora voi vi opponete. Sono qua per confrontarmi, ma dovete capire che la presidente della Regione ha un ruolo che va oltre i desideri della sua persona, ha un incarico istituzionale che deve svolgere rispettando le leggi. Questa vicenda ha avuto un supplemento di istruttoria attenta, severa e sicuramente corretta svolta dagli uffici della Regione, dalle diverse articolazioni della amministrazione. Il loro parere va rispettato. E va applicato». ( https://www.lanuovasardegna.it/cagliari/cronaca/2025/12/17/news/a-scuola-di-cittadinanza-3-500-studenti-sardi-alla-scoperta-dell-europa-1.100806199 )
Qui non siamo di fronte a una valutazione tecnica, ma a una resa culturale.
La Regione Sardegna non è un ente notarile. L’autonomia speciale non è una decorazione costituzionale. È, o dovrebbe essere, spazio di conflitto politico, possibilità di disobbedienza istituzionale, facoltà di dire no quando lo Stato centrale svilisce la sovranità e la vocazione alla pace del popolo sardo. Ridurre tutto al “parere degli uffici” significa affermare che la politica non ha più contenuto, che governa chi scrive le istruttorie, non chi riceve il mandato popolare.
È esattamente ciò che Arendt descriveva: non l’obbedienza fanatica, ma l’obbedienza senza pensiero.
Di tutto questo ho parlato in un particolarmente fortunato articolo per la testata anticolonialista S’Indipendente (https://www.sindipendente.com/2025/12/08/la-banalita-del-male-di-alessandra-todde-sulla-rwm/?fbclid=IwY2xjawOvpH1leHRuA2FlbQIxMQBzcnRjBmFwcF9pZBAyMjIwMzkxNzg4MjAwODkyAAEeWD2oeThHMRFtpS-OyVZdGQDzBgolIMtJybYVupRFkBSTbZH3M9RFvwgYqzQ_aem_kUyXoSemEQqQXWOTHlNB4A )
La scelta pilatesca
Ma se dopo queste grottesche dichiarazioni credevamo di aver toccato il fondo del disimpegno da parte di una pasionaria pacifista di cartapesta, ci sbagliavamo di grosso. Le dichiarazioni di Todde alla conferenza dell’Arci hanno infatti scatenato una canea di reazioni interne alla sua stessa maggioranza “progressista”.
Fra le diverse reazioni è da segnalare quella di AVS che ha di fatto sconfessato pubblicamente le dichiarazioni della governatrice, minacciando di fatto di spaccare la maggioranza in Consiglio ( https://ilmanifesto.it/no-al-raddoppio-della-rwm-avs-avvisa-todde ): «Siamo contrari – si legge nel comunicato del partito – alla delibera che autorizzerebbe l’ampliamento della fabbrica di armi della società tedesca Rwm del gruppo Rheinmetall e conseguentemente voteremo contro quando verrà portata in giunta». «Non si può – prosegue il documento – potenziare un’industria di armi in una regione che sostiene già un carico militare sproporzionato. Significherebbe condannare l’isola a essere retrovia di un’economia di guerra, riproponendo il vecchio ricatto del lavoro in cambio di attività invasive che consumano territorio, dividono le comunità e non lasciano futuro».
Che tutto questo sia un penoso gioco delle parti e un teatrino ad uso e consumo di una opinione pubblica pacifista ma ancora agganciata elettoralmente al “campo largo” o che in effetti in casa “progressista” si sia consumato l’ennesimo psicodramma tra orizzonte dell’utopia di una “sinistra” che accetta le regole d’ingaggio del sistema coloniale e imperiale e la realpolitik di un ceto politico comunque prono davanti alle pressioni profonde dell’apparato militare-industriale che lasciano poco spazio alla retorica pacifista e ai selfie con la bandiera palestinese, non è dato sapere.
Ciò che invece è chiaro è il seguito di questa patetica vicenda. Di fronte alla minaccia esplicita di AVS e Sinistra Italiana di votare contro l’ampliamento RWM, Todde infatti decide di non affrontare il conflitto dentro la maggioranza, non apre uno scontro politico nel Consiglio regionale, non si assume la responsabilità della battaglia di popolo contro riarmo e militarizzazione dell’isola né tantomeno di una plateale rottura politica. Fa qualcosa di peggio: scarica la decisione sul Governo Meloni che – per bocca del Ministro delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso - prontamente coglie la palla al balzo per presentarsi nei panni del “dottor Wolf risolvo problemi” (https://www.unionesarda.it/news-sardegna/rwm-todde-non-decide-e-la-palla-passa-al-governo-urso-stallo-insostenibile-gncdfgid?fbclid=-vxFNwRnfL-DpIXWyAIwdGRjcAOudCxjbGNrA650KGV4dG4DYWVtAjExAHNydGMGYXBwX2lkDDM1MDY4NTUzMTcyOAABHuZoAjga2I7Vln3pALmL1VvF4Ul_Bpdnw99uNm1i6jgUfOYESku4DySt2hmT_aem_lrWt ).
A parte l’ironia di un ministro per il made in Italy di un governo di ultradestra che interviene in favore di una produzione bellica di marca tedesca, possiamo dire che in questa vicenda si è rivelata tutta l’insostenibile mediocrità di una giunta schizofrenica e ormai dissociata dalla realtà.
È un passaggio che andrebbe inciso nella cronaca politica sarda: una presidente che si proclama progressista, pacifista, antifascista, chiama in soccorso un governo di ultradestra per risolvere una questione che lei rifiuta di affrontare politicamente.
Pilato si lava le mani, Todde delega al governo Meloni. Ma l’effetto è lo stesso: la messa in pratica della violenza dell’occupazione militare, del ricatto lavorativo, del riarmo, dell’escalation bellica, della corsa agli armamenti, della complicità con Israele viene autorizzata dall’odiatissimo Governo Meloni, lo strappo non viene consumato, il baraccone “progressista” è salvo e AVS può raccontare ai suoi elettori di aver fatto il suo.
Il punto non è stabilire se Todde sia “a favore” o “contro” la guerra. Il punto è più radicale e più inquietante: ha rinunciato a esercitare il pensiero politico nel luogo della decisione.
Non c’è dramma, non c’è conflitto, non c’è scandalo. Solo procedure, competenze, pareri, deleghe. Solo la lingua grigia del potere che si autoassolve.
Ed è proprio questa normalità che fa paura.
Perché quando la guerra diventa una pratica amministrativa, quando la responsabilità viene spezzettata fino a scomparire, quando l’autonomia statutaria serve solo a ratificare decisioni altrui, allora non siamo di fronte a un errore politico contingente. Siamo di fronte a una sconfitta culturale epocale.
E la Sardegna, ancora una volta, paga il prezzo della rinuncia a decidere da parte dell’elite podataria e coloniale che la governa, tradendo la vocazione all’autodeterminazione e alla pace del suo popolo.
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UNO SGUARDO DAL FRONTE
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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.


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