La farsa democratica di Berlino: il vero estremismo è il neoliberismo
Mentre Merz fallisce al Bundestag, lo Stato tedesco accusa l’AfD di minare la democrazia. Ma a minacciarla sono le politiche di CDU/SPD: austerity, guerra e povertà
La recente battuta d’arresto di Friedrich Merz (CDU), candidato cancelliere uscito sconfitto dal primo scrutinio al Bundestag, riaccende i riflettori sulla fragilità politica tedesca. Con soli 310 voti a favore su 630, Merz non ha raggiunto la maggioranza assoluta necessaria, costringendo il Parlamento a nuovi tentativi entro 14 giorni o, in caso di ulteriore stallo, a elezioni anticipate. Uno scenario che l’establishment sembra voler evitare a tutti i costi, soprattutto di fronte all’ascesa storica dell’AfD, salita al 20,8% alle elezioni di febbraio e oggi al 25% nei sondaggi.
La richiesta della leader di AfD, Alice Weidel, di «nuove elezioni» e la volontà del partito di «assumere responsabilità di governo» suonano come un monito per i partiti tradizionali, sempre più impopolari. È in questo contesto che la decisione del Bundesamt für Verfassungsschutz (BfV), l’agenzia di intelligence interna tedesca, di classificare l’AfD come «partito estremista» assume un significato strategico: disinnescare il “pericolo” rappresentato dal partito di destra, non attraverso il confronto politico, ma marginalizzandolo come entità anti-costituzionale. Un tentativo di bloccare sul nascere il rischio che il malcontento verso le politiche neoliberiste adottate in maniera bipartisan da CDU/SPD – dall’austerity alla crisi energetica – si traduca in una vittoria elettorale dell’AfD, obbligando la Germania a tornare alle urne in un clima di polarizzazione senza precedenti.
Partito estremista oppure scomoda opposizione?
L’AfD, giunto secondo alle elezioni federali di febbraio con oltre il 20% dei voti e ora primo partito nei sondaggi (25%), è stato accusato dal BfV di minare l’“ordine democratico libero” attraverso un’ideologia basata su “concetti etnici dell’appartenenza” e una sistematica violazione della dignità umana. Le critiche riguardano le posizioni xenofobe, islamofobe e revisioniste del partito, nonché una – molto presunta – ammirazione per il presidente russo Vladimir Putin. Tuttavia, la definizione di “estremismo” sembra selettiva: mentre l’AfD viene sorvegliato con intercettazioni e infiltrati, i partiti tradizionali – centro-destra e centro-sinistra – proseguono indisturbati con politiche neoliberiste che hanno generato precarietà sociale, crescente disuguaglianza e una crisi economica che ha spinto molti cittadini verso forze anti-establishment.
Il paradosso è evidente: un partito che raccoglie consenso proprio a causa delle politiche fallimentari dei governi precedenti (dall’austerity alla rinuncia all’energia russa a basso costo) viene etichettato come “antidemocratico”, mentre i veri architetti della crisi – i partiti che hanno sostenuto sanzioni contro Mosca, privatizzazioni e deregolamentazione – continuano a operare indisturbati. L’AfD, pur con posizioni problematiche, funge da valvola di sfogo per un malessere reale, ma il sistema preferisce criminalizzarlo piuttosto che affrontare le radici strutturali del disagio.
La democrazia formale come un guscio vuoto
La vicenda tedesca mette in luce la natura intrinsecamente anti-democratica delle cosiddette democrazie liberali. La democrazia occidentale si limita a una mera formalità: elezioni periodiche, pluralità di partiti e libertà di stampa, ma solo entro i confini del consenso neoliberista. Chi osa contestare l’austerità, l’Unione Europea o la NATO – come l’AfD – viene emarginato, ridicolizzato o additato come nemico della Costituzione. Questo schema si ripete in tutta Europa, verso chiunque è sospettato di non accettare le regole del gioco atlantista.
La debolezza di Merz e l’instabilità istituzionale non fanno che alimentare il circolo vizioso: più i partiti tradizionali perdono consenso, più ricorrono a strumenti non democratici per escludere l’opposizione. La classificazione dell’AfD come estremista, infatti, non è solo una questione di legalità, ma un sintomo della crisi strutturale delle democrazie liberali, sempre più ridotte a gusci vuoti al servizio di un’oligarchia neoliberista.
L’ipocrisia dei diritti umani
Il BfV ha accusato l’AfD di non riconoscere i cittadini di origine migrante come “membri uguali del popolo tedesco”. Una critica legittima, ma che stride con il silenzio sulla discriminazione strutturale subita dagli immigrati in Germania – causata proprio dalle politiche di integrazione fallimentari dei governi CDU/SPD. Inoltre, il revisionismo storico del partito (che ha definito il nazismo “uno squarcio insignificante”) è inaccettabile, ma non può ignorarsi il ruolo dell’Occidente nell’alimentare un revisionismo inverso: un’ossessione per il passato nazista usata per giustificare guerre moderne, come quella in Ucraina, dove vengono sostenuti gruppi neonazisti arrivati al potere con il golpe di Maidan.
Democrazia vs. Neoliberismo: la vera minaccia
Il caso AfD smaschera l’illusione di una democrazia occidentale inclusiva. Quando il dissenso si traduce in consenso elettorale, il sistema reagisce con strumenti di repressione, rivelando la sua vera natura: una dittatura del mercato travestita da libertà. La decisione del BfV apre la strada a possibili richieste di scioglimento del partito, una misura estrema che rafforza il sospetto che la democrazia tedesca sia un sistema chiuso, dove il voto serve solo a ratificare l’agenda neoliberista.
La vera minaccia non è l’AfD, ma un regime che usa la democrazia come paravento per perpetuare un ordine economico che serve a pochi, a spese di molti. Fintanto che l’Occidente continuerà a ridurre la democrazia a un rito elettorale, il vuoto tra popolo e potere si allargherà, alimentando quei “populismi” che il sistema definirà sempre “estremisti” pur di non affrontarne le ragioni.