La scuola italiana cala le braghe davanti a Microsoft

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La scuola italiana cala le braghe davanti a Microsoft


di Leo Essen

Stamattina presto tutte le scuole d’Italia hanno ricevuto l’avviso che le loro caselle mail istituzionali sono state migrate a office365. 

Si tratta delle caselle che noi cittadini usiamo per comunicare con la scuola dei nostri figli, e che le scuole usano per comunicare tra loro e con il resto del mondo. 

Da quel che si può capire sino ad oggi, la migrazione ha riguardato le sole caselle istituzionali, ovvero le caselle dei Dirigenti Scolastici, Dei Direttori amministrativi e le caselle legate al codice meccanografico della scuola. 

Il ministero precisa che «I DS e i DSGA e le scuole accedono usando l’user-name completo e il suffisso @istruzione.gov.it (per esempio mario.rossi@istruzione.gov.it.). Per quanto riguarda il personale dell’amministrazione (MI e MIM) l’accesso è garantito dalle credenziali composte da user-name completo e dal suffisso @istruzione.it (per esempio mi12345@istruzione.it).

Il motivo del cambiamento non è ancora chiaro, e non si capisce se esso si inquadri nel più generale impegno del Ministero dell’Istruzione verso la Didattica a Distanza (DaD).

Nel Piano Scuola 2020/2021, nel capitolo che riguarda la Didattica digitale integrata, si dice che «Il Ministero dell’Istruzione ha avviato uno studio approfondito la progettazione (sic!) di una piattaforma finalizzata all’erogazione di contenuti didattici a distanza, sulla quale saranno fornite successivamente le opportune informazioni di dettaglio».

Office365, con i suoi annessi e connessi (Teams, OneDrive, Microsoft SharePoint, Microsoft Bookings, Word, Excel, PowerPoint, etc), è anche – e visti i tempi, soprattutto - una piattaforma di Didattica digitale integrata. 

Non c’è nulla da dire contro questa piattaforma. Se noi, in Italia, non siamo capaci di mettere in piedi due server con uno strumento di E-Learning, oppure se ne siamo capaci, ma a costi esorbitanti, allora è giusto che si esternalizzi questo servizio e lo si affidi a Microsoft. Se invece queste competenze in Italia ci sono, se abbiamo i mezzi e le opportunità, è bene che questo servizio ce lo costruiamo da soli. Anche se queste competenze dovessero essere più scadenti di quelle dei concorrenti esteri, ripeto, è bene, anche in questo caso, che il servizio venga realizzato in Italia, con forza lavoro e intelligenza nostrana.

Sarà un’occasione per mettersi alla prova e crescere, per dare lavoro a impiegati e programmatori italiani, eccetera.

Sarà un’opportunità per il nostro Stato di crescere e di far crescere competenze diffuse. La gran parte delle industrie che in Italia si occupano di IT sono legate in qualche modo alla vecchia SIP, l’azienda PUBBLICA dei telefoni.

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In più, Office365 non è gratis. In ogni caso, non è gratis. Non c’è niente di gratis sul mercato. Bisogna pagare un prezzo, e anche salato – si parla di 5 euro (minimo) ad account, al mese, che moltiplicati per i milioni di alunni e professori delle scuole fanno un bel malloppo. 

Pensiamoci bene prima di fare una scelta del genere.

Infine, c’è una questione più grossa, che riguarda la nostra dimensione giurisdizionale. 

Il sistema mail della scuola non è un sistema tra gli altri. È un cosiddetto Big Data. Per iscrivere il figlio a scuola il genitore deve obbligatoriamente registrarsi sul portale del Ministero e ottenere le credenziali («Le iscrizioni on line sono obbligatorie per le scuole statali» - istruzione.it).

Senza queste credenziali non si può iscrivere il figlio a scuola. Ergo, tutti i genitori d'Italia hanno un account del Ministero, e se non hanno un account, debbono munirsi di un account Spid – e qui (con lo Spid) le cose si complicano, invece di semplificarsi (come viene promesso).

Perché a gestire lo Spid sono ancora una pluralità di soggetti privati, dei quali non si conoscono bene le ramificazioni. In particolare, non si conosce la gestione e allocazione delle macchine fisiche, dei computer, dell’hardware. 

Dove si trovano le nostre informazioni, dove sono locate? 

Dopo anni di ubriacatura sui benefici della de-territorializzazione e del modello rizomatico (alla Deleuze) oggi torna di attualità la domanda sul territorio, sul perimetro giurisdizionale.  

Non si tratta di questioni di lana caprina o di filosofia. Se domani, per un motivo qualsiasi, si dovesse interrompere la comunicazione tra l'Italia e questo luogo di conservazione (che non è una nuvole – cloud – non sta nell’iperuranio), come ci si connette con la scuola? come ci si connette con la pubblica amministrazione? 

Si tratta di una questione maledettamente vecchia e barbosa, che ha a che fare con il territorio, con le frontiere, con le dorsali di comunicazione. Va bene che siamo in un mondo globalizzato, va bene che ormai per ogni più minuta sciocchezza dipendiamo da questo e quest’altro sub-fornitore, e che anche la Germania se vuole mettere in strada le sue macchine deve aspettare che dall'Italia gli arrivino i bulloni e i cerchioni.

Va tutto bene, non vogliamo tornare indietro, non siamo nostalgici della campagna, di montagne verdi e conigli dal muso nero. Abbiamo il senso del tempo. 

Tuttavia, abbiamo sperimentato la frustrazione di non saper fare una cosa stupida come le mascherine. Non bisogna arrivare al punto di mordersi le mani quando, in questo mondo multi-polare, un piccolo staterello satellite della Germania si appropria della nostra commessa di mascherine provenienti dalla Cina.
 

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