Le 2 manifestazioni di Tripoli e l’accordo Salvini-Rackete sulla Libia

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Le 2 manifestazioni di Tripoli e l’accordo Salvini-Rackete sulla Libia

 

In questi giorni ci sono a Tripoli 2 manifestazioni diverse. A dire il vero una prosegue ininterrottamente da quasi 3 mesi. L’altra si è tenuta nella giornata del 25 dicembre quando ormai le altre città della Libia già si erano mobilitate.

 

IL PRESIDIO DEI RIFUGIATI

 

Avevamo scritto un articolo lo scorso 19 ottobre dal titolo “I migranti in Libia: riportateci a casa”

In quei giorni la polizia di Tripoli aveva lanciato un’operazione su larga scala che aveva portato all’arresto di alcune migliaia di migranti in Libia.

In seguito alla fuga di molti di loro dal centro di detenzione di Al-Mabani, dove erano stati rinchiusi, avvenuta nelle settimane successive, coloro tra i fuggitivi che sono beneficiari, teoricamente, della protezione internazionale, hanno dato vita ad un sit-in permanente davanti alla sede dell’UNHCR a Tripoli, domandando non a torto che l’organizzazione si prenda carico della loro evacuazione. In totale sono circa 40 mila i rifugiati in Libia già censiti dall’UNHCR e destinatari della protezione internazionale, ma al momento, eccetto alcuni voli verso l’Europa a favore di poche migliaia di persone, l’unica via di fuga per loro è la traversata sui gommoni sgonfi.

Da quasi 3 mesi, come detto, si sono accampati e non intendono andarsene fino a che l’UNHCR non abbia dato loro una risposta.

 

CONTRO IL RINVIO DELLE ELEZIONI

Oltre ai migranti-schiavi, anche i Libici sono scesi in piazza in questi giorni. Coloro che stanno protestando denunciano il furto della loro democrazia e considerano il rinvio delle elezioni che si sarebbero dovute tenere lo scorso 24 dicembre come la negazione del loro diritto ad eleggere un nuovo presidente per il loro Paese.

Nell’articolo precedente dal titolo “La consegna del silenzio sulla Libia è un atto di guerra” abbiamo raccontato non solo come e chi ha deciso che queste elezioni non si tenessero, ma anche il vero motivo taciuto di questo rinvio: le proiezioni che davano Saif Gheddafi nettamente vincitore rispetto a tutti gli altri contendenti.

Come scritto in quell’articolo, in Libia la questione è militare, non politica.

Il potere concentrato a Tripoli città e dintorni è un potere militare. Se eletto fosse un presidente che intendesse smantellare le milizie di Tripoli (cosa che Saif Gheddafi farebbe), questi comunque non potrebbe fisicamente insediarsi a Tripoli, ma nemmeno entrarci fisicamente.

Khaled al-Zaydi, avvocato di Saif Gheddafi, ha denunciato il rinvio delle elezioni come un modo per prendere tempo e trovare il pretesto giusto per escludere Saif Gheddafi dalla corsa alla presidenza del Paese. In Libia lo sanno anche i muri perché le elezioni non si sono tenute. E molti ormai hanno capito che le elezioni tanto invocate dalla comunità internazionale riterranno un minuto dopo che Saif Gheddafi sarà stato messo fuori competizione.

Di conseguenza a Bengasi e in altre città della Libia, nella giornata stessa del 24 si sono tenute numerose manifestazioni. A Tripoli stessa, la gente si è mobilitata il giorno successivo.

Non solo, in tutta la Libia sta montando una protesta nei confronti dell’ambasciatrice britannica Caroline Hurendall la quale, senza pudore né vergogna, nei giorni scorsi ha dichiarato che dal momento che le elezioni non si sono tenute, il Regno Unito continuerà a considerare il governo Dabaiba, per altro decaduto la sera del 24 dicembre secondo la legge libica, come unico interlocutore.

Politici e giornalisti indipendenti in Libia si sono scagliati contro l’ingerenza straniera e hanno ribadito che il popolo libico ha diritto ad eleggere il proprio presidente.

 

LO STRABISMO DEI DIRITTI AL SERVIZIO DEGLI INTERESSI

 

Ebbene, perché accostare queste due manifestazioni tenutesi a Tripoli, quella dei migranti-schiavi e quella dei cittadini libici?

Perché ultimamente in Europa sta crescendo l’attenzione nei confronti della protesta dei migranti-schiavi, mentre viceversa nessuno si è posto domande sul rinvio delle elezioni.

In Europa è stata spacciata la spiegazione dei soliti libici litigiosi e tutti si sono considerati soddisfatti, dev’essere per forza così. Peccato che il 94% dei Libici fosse contrario al rinvio delle elezioni e il consenso intorno a Saif Gheddafi fossi ben al di là della soglia del 50%.

Quindi semmai, c’è qualcuno da fuori della Libia che sta seminando zizzania, per usare un eufemismo.

Ma com’è sorta tutta questa attenzione intorno alla protesta dei migranti-schiavi di fronte alla sede dell’UNHCR. Sostanzialmente per un motivo. Alcuni ragazzi hanno dato vita ad un profilo Twitter che è ormai seguito da migliaia di pro-immigrazionisti in Europa. “Lotta contro i confini”, “Resistenza contro la repressione” sono titoli che rappresentano il tenore dell’approccio e della cavalcata che questi attivisti sperano di poter fare sulla sofferenza di queste persone.

Noi abbiamo avuto qualche scambio con questi stessi ragazzi animatori di questo profilo Twitter. Onestamente, ne siamo rimasti delusi. Forse ci hanno capito poco anche loro, forse sono stati plagiati dai tanti europei che li hanno contattati in questi mesi, ma sono convinti che in Europa ci siano buoni e cattivi, che da una parte ci siano i Governi e dall’altra i cittadini. Una volta forse era così. 

E non vedono come i Governi stiano giocando il ruolo del poliziotto cattivo e i movimenti quello del poliziotto buono ma che in definitiva perseguano lo stesso obiettivo.

A questo serve tutta la manfrina sulla Guardia costiera libica, sugli accordi, sul capitano Salvini e sulla capitana Rackete: a fingere un conflitto che però lascia tutto com’è, che non vuole indicare le vere cause perché continui ad autoalimentarsi, alimentando il consenso delle rispettive tifoserie.

 

L’ACCORDO SALVINI-RACKETE SULLA LIBIA

 

Gli Europei fingono di non capire che il rinvio delle elezioni e la schiavitù dei migranti-schiavi in Libia sono figli della stessa causa: il furto della democrazia in Libia al fine di saccheggiarne il petrolio. La storia non è difficile. E’ difficile trovare il coraggio per dirla. E in questo, Salvini e la Rackete sono perfettamente dalla stessa parte.

Entrambi (e i loro adepti di conseguenza) sono convinti che la migrazione sia un fenomeno spontaneo, come l’autocombustione dei boschi. C’è chi la asseconda, c’è chi la contrasta. Entrambi rimuovono la responsabilità diretta dell’Europa sul disastro libico nel momento in cui da 10 anni cerca in tutti i modi di negare ai Libici di esprimere la loro volontà. Così fu per le scorse elezioni nel 2014, così è questa volta, che nemmeno si sono tenute.

Entrambi rimuovono che la schiavitù in cui versano 700.000 africani ingannati e bloccati in Libia, non sia frutto degli accordi tra i Governi europei e quello di Tripoli per fermare i migranti, ma sia il frutto del sostegno a un potere militare in Libia anziché a un potere civile e regolarmente eletto. Un potere che mentre da un lato assicura all’Europa l’acquisizione di petrolio illegale, dall’altro può mettere in piedi una rete capillare per adescare ragazzini africani e trasferirli in Libia con la scusa dell’Europa e qui convertirli in schiavi.

Salvini e la Rackete (e tutti i loro adepti) mai si sognerebbero di raccontarvi quel che vi raccontiamo noi qui. Nessuno dei due si sognerebbe mai di dirvi che i Libici erano in piazza per reclamare la confisca della loro volontà popolare. E nessuno dei due si sognerà mai di dirvi che tutto ciò soddisfa i nostri interessi europei, sia quelli di Salvini che quelli della Rackete.

Sostenere i migranti-schiavi fuori dalla sede dell’UNHCR da un lato ed ignorare le migliaia di Libici in piazza a poche centinaia di metri, significa condannare entrambi, migranti-schiavi e Libici ad altri anni di indicibili sofferenze. Significa menar il can per l’aia con la speranza che il teatrino soddisfi tutti e lasci tutto così com’è.

Michelangelo Severgnini

Michelangelo Severgnini

Regista indipendente, esperto di Medioriente e Nord Africa, musicista. Ha vissuto per un decennio a Istanbul. Il suo film “L'Urlo" è stato oggetto di una censura senza precedenti in Italia.

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