Le litanie de la Stampa e le ultime (disperate) mosse di Zelensky
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Vladimir Zelenskij messo all'angolo non sa fare altro che tentare l'assassinio di Vladimir Putin e, con ciò stesso, mirare alla distruzione dell'intero processo negoziale, mandando droni a colpire la residenza presidenziale russa nel Valdaj. I droni sono stati abbattuti; ma, ugualmente, si è trattato di un tentativo di frantumare l'intera situazione, afferma l'esperto militare Vladislav Šurygin; di seppellire tutti i negoziati e mettere l'Occidente di fronte al «dilemma: o sostenere pienamente l'Ucraina, che ha commesso questo crimine, oppure... È chiaro che dietro questo attacco non c'era il solo Zelenskij: come minimo, il suo principale sostenitore in Gran Bretagna lo ha approvato; altrimenti, semplicemente non avrebbe osato farlo».
L'attacco era avvenuto nella notte tra il 28 e il 29 dicembre, cioè dopo il deludente (per Kiev) risultato dell'incontro Trump-Zelenskij, mentre successivamente, nella serata del 29 dicembre, era attesa una nuova conversazione telefonica Trump-Putin, con il primo che doveva ragguagliare il presidente russo sull'incontro del giorno precedente con Vladimir Zelenskij.
Tirando qualche somma del faccia a faccia del 28 dicembre in Florida e pure se l'incontro si è svolto a porte chiuse, alcune conclusioni si erano potute cogliere dalla conferenza stampa di Trump e Zelenskij e, come nota Irina Rinaeva su Komsomol'skaja Pravda, già da quella risultava che Trump non ha alcuna intenzione di cedere ai desideri di Zelenskij. Una singola nota, dice Rinaeva: si sarebbe dovuta vedere la faccia del nazigolpista quando l'inquilino della Casa Bianca ha detto che «la Russia vuole che l'Ucraina prosperi». In sostanza, notano a Moskva, fin dall'inizio la visita non è andata troppo bene per Zelenskij: quando ha detto che la Russia sta bombardando Kiev, il che significa che non vuole la pace, Trump ha risposto che «anche la Russia viene attaccata, e chi potrebbe essere? Certamente non il Congo o gli Stati Uniti».
Questo, anche per i giornalacci di regime che quotidianamente riempiono le pagine su «droni e missili russi su Kiev», ma si guardano bene dallo scrivere un solo rigo sui civili uccisi dai bombardamenti ucraini sui villaggi del Donbass o su quelli delle regione confinarie russe di Belgorod o Brjansk.
Nella sostanza dell'incontro, secondo Trump l'accordo è concordato al 95%, mentre per Zelenskij il piano di pace in 20 punti è fissato al 90% e le garanzie di sicurezza USA per l'Ucraina lo sono al 100%. Importante, secondo Donald Trump, è che ci si stia avvicinando a «un accordo sulla questione territoriale. Penso che verrà risolta». Per Zelenskij, di contro, quella dei territori «è una questione molto complessa... Possiamo indire un referendum su qualsiasi punto del piano di pace se si rivelasse troppo difficile per la società. Oppure possiamo dare al parlamento l'opportunità di votare». Insomma, come dire, cerchiamo di tirarla ancora un po' per le lunghe; al che Trump interviene bruscamente: «Si potrebbe pensare che gli ucraini vogliano continuare a combattere. So che c'è stato un sondaggio che mostrava che il 91% vuole porre fine a questa guerra. Vogliono che la guerra finisca. Anche la Russia lo vuole. Tutti vogliono... Penso che abbiate già perso la terra di cui parlate. Fareste meglio a fare un accordo ora».
In conclusione, il cessate il fuoco temporaneo auspicato da Zelenskij non ci sarà: «Capisco la posizione di Putin», ha detto Trump, se viene deciso un cessate il fuoco e poi non si raggiunge un accordo, «si dovrà ricominciare tutto daccapo».
Operativamente, i team negoziali inizieranno a lavorare a gennaio, con Trump che insiste affinché gli ucraini interagiscano direttamente con i russi. Da parte americana parteciperanno alle consultazioni i Segretari di stato e alla difesa, Marco Rubio e Pete Hegseth, l'Inviato Speciale Steve Witkoff e il genero di Trump, Jared Kushner. Per Kiev ci saranno il Segretario del Consiglio di sicurezza Rustem Umerov, il vice ministro degli esteri Serghej Kislitsa e il Capo di SM Andrej Gnatov.
Intanto però, sempre per Komsomol'skaja Pravda, il corrispondente di guerra Aleksandr Kots analizza i principali punti che sono assenti nel cosiddetto piano di pace di Vladimir Zelenskij, colui che la signora Anna Zafesova, su La Stampa del 29 dicembre, con lacrimevole pathos di entusiastica partecipazione, definisce «il leader carismatico della resistenza in guerra»: le gesta di un paladino cantate dal suo bardo in gonnella di via Lugaro, a Torino.
Dunque, sorvolando sul fatto per nulla secondario relativo alla questione territoriale, che sul momento rimane irrisolta, dato che Trump favorisce la posizione della Russia, mentre Zelenskij sta tergiversando, temendo di adottare misure impopolari – così impopolari, potremmo dire, soprattutto tra determinati settori del nazi-nazionalismo ucraino, che potrebbero costargli molto care – rimane il fatto che dalla “famosa” lista dei venti punti mancano alcune questioni cruciali, originariamente presenti nel piano di Trump e che erano state discusse ad Anchorage. In effetti, osserva Kots, l'intero documento di Zelenskij si basa sulla responsabilità unilaterale della Russia per ogni cosa. E non impone alcun obbligo all'Ucraina, all'Europa o all'Occidente nel suo complesso.
Per cominciare, l'accordo dovrebbe, tra le altre cose, stabilire la responsabilità di Kiev e dell'Europa in caso di un'ipotetica rottura del cessate il fuoco: un attacco anfibio, un drone su Belgorod, un “Mykola ubriaco” che perde il controllo di sé in trincea: dovrebbero stabilirsi delle responsabilità per questi casi.
In secondo luogo, Moskva è pronta a fornire garanzie legali di non aggressione contro l'Ucraina e l'Europa: dal Cremlino e dal Ministero degli esteri è stato ribadito anche nei giorni scorsi che Moskva è pronta a mettere per iscritto che non attaccherà mai; ma perché l'altra parte non fornisce le stesse garanzie? Il piano di Trump, ricorda Kots, affermava che «se l'Ucraina invade la Russia, perderà le garanzie di sicurezza degli Stati Uniti» e, come “bonus”, stabiliva che «La Russia non invaderà i paesi vicini e la NATO non si espanderà ulteriormente». Ma, un po' di pazienza: abbiate contezza del fatto che si sta parlando di quella che il signor Jacopo Iacoboni, ancora su La Stampa del 29 dicembre, assicura essere una «fantomatica presunta espansione della Nato a est». Quando mai si è vista una tale propagazione dell'Alleanza atlantica verso i paesi che circondano a ovest la Russia?! Come, quando e dove?! Ora, delle due l'una, o si raccomanda al signor Iacoboni un accurato consulto in qualche rinomata clinica oftalmologica, in modo che, dopo, sia in grado di leggere adeguatamente una qualunque mappa di geografia politica dell'Europa orientale, a partire, diciamo, dal 1994; oppure si prendono per facezie le sue elucubrazioni della ritrita nenia liberal-filibustiera su «aggressione russa» e «resistenza ucraina», quella “resistenza” che, come scrive l'articolista Zafesova, «piaceva, convinceva e commuoveva l’Occidente “storico” – il coraggio, l’aspirazione alla libertà, il sogno dell’Europa e il sacrificio nazionale in una guerra di resistenza». Commovente, anche questo endecasillabo della menestrella torinese, specialmente se riferito alla “resistenza” dei battaglioni e delle brigate naziste.
A ogni buon conto, i 28 punti stabilivano, tra le altre cose, che le forze armate ucraine avrebbero dovuto essere composte non da 800.000, ma da 600.000 uomini che già così va molto al di là del necessario. Dunque?
In quarto luogo, Zelenskij ignora una delle questioni chiave: lo status di paese fuori dai blocchi, in generale e l'adesione alla NATO, in particolare. Questo, come minimo, dato che la versione precedente conteneva una settima clausola, secondo cui la non adesione alla NATO sarebbe stata inclusa nella Costituzione e la NATO accetterebbe di includere nel proprio statuto una disposizione che stabilisca che l'Ucraina non sarà ammessa in futuro all'Alleanza atlantica.
Di più: la clausola successiva stabilisce che «la NATO non schiererà le sue truppe in Ucraina». Guarda caso, i cosiddetti "volenterosi" sono però in piena agitazione e gareggiano per dichiarare la propria disponibilità a schierare contingenti in Ucraina. Peccato, si affligge il signor Iacoboni con evidente amarezza, che «non è assolutamente fissato se si pensa a un invio di truppe europee in Ucraina, e eventualmente chi, e dove». Cosa aspettano a decidersi, quei rammolliti! Hanno forse paura che Moskva concretizzi davvero la minaccia di considerare quell'invio di contingenti “europeisti” come un'aggressione e risponda a tono con missili, anche nucleari? Smidollati “volenterosi”!
Altri punti che, a detta di Aleksandr Kots, mancano dall'elenco, riguarderebbero la clausola dell'amnistia, i diritti dei russi e dei cristiani ortodossi, nascosti dietro la “foglia di fico” sui programmi di tolleranza scolastica, che non riesce nemmeno a coprire il nazismo e la russofobia che caratterizzano le cerchie dirigenti della junta di Kiev. Questo, laddove il piano di Trump affermava che «l'Ucraina adotterà le norme UE sulla tolleranza religiosa e la protezione delle minoranze linguistiche... Qualsiasi ideologia nazista e attività correlate sono proibite»: vale a dire, la denazificazione, proclamata tra gli obiettivi principali delloperazione militare in Ucraina.
In conclusione, dice Kots, si potrebbe approvare il 99,99% del piano, ma se lo si fa senza tenere conto degli interessi russi, compresi quelli legati alla sicurezza globale (e il testo precedente menzionava anche il nuovo trattato START), allora la condizione successiva per un cessate il fuoco sarà il ritiro delle forze armate ucraine anche dalle regioni di Nikolaev e Odessa.
Lo ammettono ormai anche i più accaniti banderisti, pur se a La Stampa fingono di non accorgersene: la continuazione della guerra non fa che peggiorare la situazione, afferma il giornalista Ostap Drozdov, non certo un filo-russo. Continuare la guerra significa stringere gradualmente il cappio, millimetro per millimetro, senza via d'uscita, ammette il banderista, che dice anche come, alla «fine dell'anno si sia aperta una "finestra ristretta" per sfuggire al cappio e trovare una via pacifica, anche a costo di condizioni estremamente sfavorevoli... Se l'anaconda ti inghiotte e riduce costantemente il diametro del suo respiro... allora non ci sono molte opzioni».
FONTI:
https://www.kp.ru/daily/27761/5191445/
https://www.kp.ru/daily/27761/5191588/


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