L’Europa delle disuguaglianze
La decadenza del vecchio continente confermata anche dai dati economici in merito alla distribuzione del reddito e al possesso dei titoli di studio.
di Federico Giusti
Una delle principali preoccupazioni degli economisti liberal di stampo keynesiano era legata alle disuguaglianze sociali e di reddito ritenute un fattore destabilizzante, alla lunga, per la tenuta del sistema capitalistico.
Interventi sociali, correttivi economici, mobilità sociale, politiche fiscali erano strumenti atti a raggiungere l’obiettivo di limitare le disuguaglianze che invece negli ultimi 40 anni hanno ripreso a crescere proprio per effetto delle politiche neoliberiste e dell’accelerazione avvenuta nei processi tecnologici e militari.
Il reddito reale pro capite delle famiglie è diminuito, le politiche salariali in molti Paesi europei sono disciplinate da regole atte a contenere i costi del lavoro, a pesare sulla erosione del potere di acquisto gli scarsi investimenti tecnologici e la ricerca, lo abbiamo ripetuto in tante occasioni, di accrescere la produttività solo con l’abbattimento del costo del lavoro e attraverso gli sgravi fiscali che poi saranno finanziati con i tagli al sociale.
Il reddito disponibile delle famiglie è la effettiva disponibilità economica delle stesse dopo avere pagato le tasse e i vari contributi, ebbene se in partenza il salario risulta inferiore a una cifra ipotetica calcolata in base al costo della vita non è sbagliato parlare di riduzione dei salari e dei redditi con oscillazioni di poco conto a confermare la lenta erosione.
Per questo le disuguaglianze di reddito e sociali crescono e negli ultimi 5 anni, oltre a registrare profonde differenze tra i vari paesi europei (prendendo la crescita del Pil come parametro di confronto) possiamo parlare di nazioni in grave difficoltà e altre decisamente in salute.
Il Global Wealth Report 2025 di Ubs rivela l'indice di Gini della disuguaglianza patrimoniale in Europa nel 2024. Il coefficiente Gini misura la disuguaglianza di ricchezza in un Paese con un numero compreso tra 0 e 1: un valore più alto indica una maggiore disuguaglianza, mentre un valore pari a 0 rappresenta la completa uguaglianza.Secondo il rapporto, la Svezia registra la più alta disuguaglianza di ricchezza con un punteggio Gini di 0,75, mentre la Slovacchia riporta il valore più basso, pari a 0,38. Oltre alla Svezia, la disuguaglianza di ricchezza è elevata anche in Turchia (0,73), a Cipro (0,72), in Repubblica Ceca (0,72) e in Lettonia (0,7), tutti con punteggi superiori a 0,7.In fondo, Belgio (0,47) e Malta (0,48) seguono la Slovacchia con un coefficiente Gini inferiore a 0,5. Tra le prime cinque economie europee, la Germania ha il livello più alto di disuguaglianza di ricchezza con 0,68, mentre i punteggi sono molto più vicini negli altri Paesi: La Spagna (0,56) è la più bassa, seguita da Italia (0,57), Regno Unito (0,58) e Francia (0,59)
Sono dati comunitari importanti per confutare alcuni luoghi comuni primo tra tutti uno: il welfare renano o quello scandinavo non svolgono più quella funzione sociale atta a ridurre le disuguaglianze assicurando al contempo un tenore di vita elevato alle classi media e bassa
Le disuguaglianze galoppano anche in paesi dove le politiche del lavoro sono state progressivamente smantellate (Irlanda) o dove sono arrivati i venti gelidi delle privatizzazioni fino alla porta d’Oriente (la Turchia) con la nascita di una classe di ricchi all’ombra del satrapo Erdogan.
Quanto poi al rapporto tra titoli di studio e disponibilità economica, sarebbe utile ricordare che una laurea in paesi come l’Italia non è sinonimo di sensibile miglioramento delle condizioni di vita, anzi è bene prendere atto dell’esistenza di tanti giovani, e meno giovani, con laurea o master e stipendi decisamente bassi che spingono loro a migrare verso altri paesi.
In Irlanda, al 2024, due persone su tre di età compresa tra i 25 e i 35 anni erano in possesso di un titolo di studio universitario (laurea, master o dottorato) mentre invece se la passa decisamente male l'Italia classificata,con l’Ungheria, all'ultimo posto, preceduta di poco dalla Repubblica Ceca (33 per cento).
https://www.oecd.org/en/publications/education-at-a-glance-2025_1c0d9c79-en.html
Da tempo troppi sono i giovani italiani che non studiano e sono senza un lavoro, abbiamo analizzato la inutilità dei numeri chiusi negli atenei per l’accesso ad alcune facoltà universitarie, neppure i dati Eurostat (https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/educ_uoe_fine06/default/table?lang=en) sono stati sufficienti a rivedere politiche errate e improduttive suggerendo ad esempio di accrescere le spese per la istruzione di ogni ordine e grado facendo leva sui processi formativi anche per affrontare i processi di innovazione tecnologica.