L'importanza “politica” dell'accordo russo-cinese

L'importanza “politica” dell'accordo russo-cinese

La stretta di mano tra Putin e Xi Jinping ha mostrato che il treno della Storia non si è fermato alla stazione del trionfo universale della liberal-democrazia

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di Diego Angelo Bertozzi

Fonte: Marx21.it
 
 
Due segnali, pressoché contemporanei, ma di natura opposta hanno segnato la giornata successiva alla sigla dell'accordo tra Russia e Cina per la fornitura di gas. Il primo: l'ennesimo doppio veto di Mosca e Pechino ad una risoluzione per deferire Damasco al Tribunale penale internazionale, proprio quando le operazioni anti-terrorismo condotte da Damasco raccolgono successi. Stizzite come al solito le reazioni occidentali: per Samantha Power, ambasciatore Usa, il popolo siriano "non vede la giustizia, ma il crimine", mentre William Hague, ministro degli esteri della Gran Bretagna, si è detto "inorridito" dalla decisione di Russia e Cina. La giustizia per i popoli a cui si richiamano costoro è in questi giorni all'opera nella vicina Libia. Detto questo occorre ricordare che gli Usa non riconoscono la giurisdizione del Tribunale penale internazionale e che, proprio prima della presentazione della suddetta risoluzione, si sono assicurati che questa non coinvolgesse in alcun modo Israele per l'occupazione del Golan. Secondo: l'ennesimo attentato terroristico nello Xinjiang cinese che ha causato la morte di oltre 30 persone che si trovavano al mercato all'aperto di Urumqi; difficile ormai non pensare al dispiegamento di un vero e proprio piano di destabilizzazione in una regione strategica per la Cina popolare, territorio di partenza della nuova Via della Seta. Che sia un chiaro segnale fatto arrivare a Pechino proprio all'indomani dell'accordo?


 
Tenendo presente questi due fatti partiamo per una prima riflessione proprio sull'accordo siglato lo scorso 21 maggio.
 
I numeri, i dati...
 
Rappresentano la parte certo più conosciuta dell'accordo, sulla quale la stampa mondiale si è soffermata con maggiore insistenza, parlando di “accordo energetico del secolo” o di “patto del gas che fa paura all'Occidente”. Un accordo di trent'anni per fornire alla Cina, a partire dal 2018, 38 miliardi di metri cubi di gas all'anno per un valore complessivo di 400 miliardi di dollari, cui si aggiunge l'intesa per la costruzione di un nuovo gasdotto per fornire gas siberiano, su una via alternativa a quella che pompa verso l'Europa, al Paese asiatico, con Mosca che investirà ben 55 miliardi di dollari nella costruzione delle infrastrutture necessarie per il trasporto (il gasdotto “Forza della Siberia” con i suoi 4.000 km di tubi), mentre 20 saranno quelli impegnati da Pechino. Se la Russia, vittima delle sanzioni Occidentali, può ora diversificare e guardare all'Asia orientale come mercato alternativo (difficile non pensare all'arrivo di gas anche a Corea e Giappone via Siberia) passando attraverso un territorio come quello siberiano tutt'altro che aperto a facili “rivoluzioni colorate”, Pechino avrà a disposizione un flusso energetico meno inquinante e, soprattutto, al riparo da un possibile blocco commerciale ipotizzato dagli strateghi del Pentagono lungo le vie marittime del Mar cinese meridionale, sulle quali transita la gran parte delle forniture di petrolio.

 
Non è tutto. C'è quello che molti analisti hanno definito una vera e propria “arma termonucleare” a disposizione delle due potenze euroasiatiche: il pagamento in monete nazionali bypassando così il dollaro, mettendo in campo un'azione non solo conseguente alle rispettive posizioni sulla “de-dollarizzazione” del mondo (o “de-americanizzazione” per i cinesi), ma già ipotizzata in sede Brics nella prospettiva della costruzione di un nuovo paniere di valute per la sostituzione progressiva del dollaro, anche nell'ambito del finanziamento allo sviluppo tramite una banca alternativa al Fondo monetario internazionale.
 
Oltre a questo Putin e Xi Jinping si sono impegnati a intensificare la propria cooperazione in “piattaforme” come la Sco (quindi a livello anche militare), per contrastare terrorismo, estremismo e separatismo, e l'Apec, per promuovere congiuntamente la crescita economica della regione Asia-Pacifico. Infine le due potenze, orientate da tempo sul versante dell'integrazione economica del continente euroasiatico, si impegnano a cercare “punti di congiunzione” tra l'Unione Euroasiatica (iniziativa russa) e la Nuova Via della seta (progetto cinese). L'ipotesi di un finanziamento cinese (circa 2,5 miliardi di dollari, in parte in yuan) per finanziare il ponte sullo stretto di Kerch per connettere la Crimea con la Russia Meridionale, potrebbe essere il primo simbolico passo in questo senso (nei fatti è un riconoscimento politico pieno dell'annessione russa).
 
La cornice
 
Descrivere l'accordo come il difficile parto di una gestazione decennale è operazione al contempo corretta quanto limitativa. Che l'“accordo energetico del secolo” sia stato sottoscritto ora e non qualche anno fa non è certo un caso, e non solo per motivazioni legate al prezzo. La sua natura prevalentemente “politica” è conseguenza delle azioni che le due potenze euroasiatiche si trovano ad affrontare ai loro confini o nelle aree dove insistono decisivi, quanto legittimi, interessi di sicurezza. Da una parte Mosca è minacciata di nuove sanzioni economiche, punizione per aver reagito con l'annessione della Crimea al colpo di Stato, sponsorizzato da Nato e Ue, che a Kiev ha portato al potere anche forze neonaziste e dichiaratamente anti-russe, e dalla progressiva marcia di avvicinamento del dispositivo militare Nato, inglobando, nei fatti, una nuova fetta dell'Est in quella che possiamo considerare l'immediata periferia di Mosca; dall'altra Pechino affronta da tempo le incendiarie conseguenze dell'obamiano “Pivot to Asia” che punta al rafforzamento di alleanze militari risalenti agli anni della prima guerra fredda, dando pure sponda al ritorno del nazionalismo e del militarismo giapponesi, e che soffia sempre più insistentemente sulle tante controversie territoriali che interessano i mari attorno alla Cina. L'idea di utilizzare i tanti lillipuziani asiatici (le Filippine su tutti) per circondare e immobilizzare il Gulliver cinese resta di piena attualità a Washington, mentre si pianifica il ridispiegamento nel teatro asiatico del 60% della propria marina militare.
 
L'intesa politica
 
In un suo recente e approfondito articolo Pepe Escobar, inviato di Asia Times a Hong Kong, aveva scritto di uno spettro che si aggirava per le stanze di Washington: lo spettro non del comunismo, ovviamente, ma quello dell'alleanza della Russia post-sovietica e la Cina governata dal più grande partito comunista del mondo. Ebbene questo spettro sta ormai prendendo sempre più carne e fa paura perché porta con sé il terribile scenario di un mondo prossimo a salutare quello dell'eccezionalismo unipolare statunitense. La stretta di mano tra Putin e Xi Jinping a Shanghai ha mostrato per l'ennesima volta che il treno della Storia non si è fermato alla stazione del trionfo universale della liberal-democrazia capitalista. Ha ripreso a sbuffare vapore e a mangiare rotaie. Washington non conduce più le danze, scrive Paolo Garimberti su la Repubblica: “Ora i giochi si sono invertiti, chi conduce le danze non è Washington, bensì Mosca. Non c'è miglior manifesto del ribaltamento del ruolo di playmaker mondiale della fotografia pubblicata in prima pagina dall'edizione europea del New York Times che mostra un marinaio cinese con i guanti bianchi mentre accoglie un gruppo di marinai russi a bordo di un cacciatorpediniere al termine di manovre militari congiunte”.


 
Una nuova architettura globale si sta delineando e lo mostrano alcune delle espressioni contenute nella dichiarazione congiunta prodotto al termine dell'incontro: impegno comune contro ogni interferenza nella politica interna, contrarietà alla pratiche delle sanzioni unilaterali e all'incoraggiamento di azioni tese a cambiare il sistema costituzionale di un paese straniero. Principi d'azione che guidano da decenni la prassi internazionale cinese (i “Cinque principi della coesistenza pacifica”) e che sono da tempo patrimonio del gruppo dei Brics e che, soprattutto, sono in manifesta opposizione alla condotta delle potenze occidentali, tanto da prefigurare il nucleo valoriale fondante di una nuova comunità internazionale più collaborativa, meno interventista e rispettosa delle vie di sviluppo scelte autonomamente dai singoli Paesi.
 
Va ricordato che la collaborazione russo-cinese su questa basi non è certo una novità. Risale alla metà degli anni '90, quelli successivi alla scomparsa dell'Urss, quando Pechino maturò, proprio in direzione di Mosca, la parola d'ordine del “Nuovo tipo di rapporto tra grandi potenze” (recentemente utilizzata da Xi Jinping per classificare – ma senza ottenere adeguata risposta - il tipo di relazione da instaurare con gli Stati Uniti) al fine di orientarsi nel panorama internazionale del post-guerra fredda. Nella dichiarazione congiunta russo-cinese del 1997 sul mondo multipolare si può leggere che “nessun Paese dovrebbe cercare l'egemonia e impegnarsi in un politica di potenza”. Successive dichiarazioni comuni si sono espresse a favore della “democratizzazione delle relazioni internazionali”, dell'integrità territoriale, della sovranità e del rispetto del percorso di sviluppo scelto dai singoli Paesi. Ma il fulcro del concetto si condensa nella dichiarata volontà di concentrarsi sempre più su aree di cooperazione di altro livello, sul coordinamento strategico sulle crisi internazionali all'interno del Consiglio di sicurezza dell'Onu e sul sostegno reciproco nella difesa degli interessi regionali fondamentali. Oltre che sul riconoscimento e sul rispetto dei propri interessi di sicurezza nei rispetti teatri regionali.
 
Difficile pensare che, su queste basi, un nuovo tipo di rapporto tra grandi potenze possa interessare Washington.
 
A questo si aggiungano anche i toni chiaramente antifascisti (o anti revisionisti in riferimento alla vittoria nella seconda guerra mondiale) dell'asse russo-cinese, rivelati dall'impegno a contrastare ogni tentativo di falsificare la storia. Putin era stato, in questo senso, assai chiaro nell'immediata vigilia dell'incontro: “Quattro anni fa la Russia e la Cina hanno adottato una dichiarazione comune sul 65°anniversario della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Condividiamo l'idea che è inaccettabile mettere in discussione i risultati della guerra, perché le conseguenze saranno estremamente gravi. Come è evidente dai tragici eventi che si svolgono attualmente in Ucraina, dove violenti neonazisti stanno conducendo una vera e propria campagna di terrore contro i civili. Vorrei esprimere la mia gratitudine ai nostri amici cinesi che tengono viva la memoria di migliaia di nostri connazionali, che hanno sacrificato la loro vita per liberare il Nord-est della Cina dagli invasori. Il prossimo anno terremo una serie di eventi congiunti per celebrare il 70° anniversario della vittoria sia sul piano bilaterale che all'interno della SCO. Durante questi eventi, i giovani saranno al centro del nostro lavoro. Continueremo certamente ad opporsi ai tentativi di falsificare la storia, glorificare fascisti e i loro complici, oscurare la memoria e la reputazione degli eroici liberatori”.
 
Insomma, come abbiamo detto, ad avere peso non sono solo i numeri del rapporto strategico tra Russia e Cina popolare. A Shanghai ha preso forma una alternativa comunità internazionale con alla testa la futura prima potenza economica mondiale (guidata dal più grande partito comunista) e che vede coinvolti Paesi – ed è bene non dimenticarlo – nei quali i partiti comunisti sono forze rilevanti e influenti. Se a voi pare poco..."
 
Che a qualcuno la prospettiva piaccia poco è comprensibile, ma a Mosca e Pechino spetta il difficile ruolo storico, di condurre il sistema internazionale fuori dalla parentesi del violento unilateralismo statunitense.

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